Meglio non interrompere le statine nei pazienti anziani e fragili


Le statine riducono il rischio di eventi cardiovascolari avversi tra gli anziani, indipendentemente dalla malattia renale cronica e dallo stato di fragilità

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Le statine riducono il rischio di eventi cardiovascolari avversi tra gli anziani, indipendentemente dalla presenza di malattia renale cronica (CKD) e dallo stato di fragilità, secondo due nuovi studi retrospettivi condotti sui veterani statunitensi e pubblicati online l’uno sul “Journal of the American Geriatrics Society”, l’altro su “JAMA Network Open”. I ricercatori sostengono che i loro risultati dovrebbero incoraggiare i medici a non essere riluttanti a somministrare i farmaci ipolipemizzanti a queste popolazioni.

I rischi e i benefici delle statine negli anziani sono al centro di un dibattito in corso in cardiologia preventiva, a causa in particolare dei potenziali effetti collaterali dei farmaci e del carico determinato dall’assunzione di molti medicinali nei pazienti con condizioni concomitanti.

Le preoccupazioni per la non aderenza ad altri farmaci o la percezione che i benefici delle statine richiedano troppo tempo per instaurarsi hanno portato molti medici a sospenderne la prescrizione o a evitarli del tutto nei pazienti più anziani, specie nei soggetti con CKD.

Fatta eccezione per i pazienti in stadio terminale – affermano gli autori di entrambi gli studi, di cui Ariela R. Orkaby, del VA Boston Healthcare System, è stata coautrice – le statine non dovrebbero essere prescritte negli anziani. «La grande maggioranza delle persone con CKD, anche se vivono in condizione di fragilità, non va incontro a un rischio imminente di decesso» spiega Orkaby. «Possono avere un’aspettativa di vita dai 2 ai 5 anni e l’obiettivo è che non sviluppino un infarto o un ictus ovvero che muoiano prematuramente di malattie cardiovascolari a causa di una condizione prevenibile».

Su questo punto è concorde Richard Bach, della Washington University School of Medicine di St. Louis, non coinvolto in alcuno dei due studi. «L’atteggiamento secondo cui – qualora la malattia fosse già avanzata, non si trarrebbe necessariamente beneficio da una statina o che il rischio di effetti collaterali avversi supererebbe il potenziale beneficio – è essenzialmente un convincimento errato» afferma. «Questi pazienti che sono ad alto rischio traggono al contrario un beneficio sostanziale».

Ampie valutazioni retrospettive condotte sui veterani USA
Nel primo studio citato, quello pubblicato sul “Journal of the American Geriatrics Society”, Orkaby e colleghi hanno incluso 710.313 veterani statunitensi (età media 75,3 anni; 98% maschi) senza malattie cardiovascolari (CVD) o precedente uso di statine i quali sono stati arruolati tra il 2002 e il 2012. Complessivamente, il 12,1% è stato considerato fragile.

Dopo un periodo medio di follow-up di 8 anni, si sono registrati meno decessi e una minore incidenza di eventi avversi maggiori cardiaci (MACE) per 1.000 anni-persona, indipendentemente dallo stato di fragilità, nei pazienti che hanno assunto statine rispetto a quanti non le avevano assunte. Inoltre, l’uso di statine è risultato associato a minore rischio di mortalità per tutte le cause (HR 0,61; IC 95% 0,60-0,61) e di MACE (HR 0,86; IC 95% 0,85-0,87) senza interazioni significative per fragilità.

Nel secondo articolo, su “JAMA Network Open”, Odeya Barayev, della Ben Gurion University of the Negev, a Be’er Sheva (Israele), Orkaby e colleghi hanno incluso retrospettivamente 14.828 veterani statunitensi, concentrandosi su quelli con diagnosi di CKD in stadio 3 o 4 e nessun precedente di CVD aterosclerotiche o di uso di statine. L’età media alla diagnosi di CKD era di 76,9 anni e il 99% della popolazione era costituita da uomini.

I pazienti che avevano iniziato l’assunzione di statine presentavano un rischio inferiore di mortalità per tutte le cause all’analisi aggiustata per punteggio di propensione rispetto a quelli che non le avevano utilizzate lungo un periodo medio di follow-up di 3,6 anni (HR 0,91; IC 95% 0,85-0,97). I soggetti trattati con statine hanno anche evidenziato una tendenza verso un minor rischio di MACE (HR 0,96; IC 95% 0,91-1,02).

I risultati sono andati oltre l’atteso, secondo Orkaby. «Non ci si aspettava che tra gli anziani fragili si vedesse un’associazione protettiva così forte come quella che è stata rilevata» dichiara «ma ciò è in realtà un riflesso del gruppo di persone a più alto rischio, per l’appunto quelle fragili e anziane».

Dati emergenti di real world supportano il mantenimento degli ipolipemizzanti
Orkaby si dice consapevole dell’idea crescente che le statine possano causare danni in alcuni pazienti, pur sostenendo che tale convinzione è spesso «sovrastimata». Questa preoccupazione, afferma, ha portato a un “misunderstanding” tra i medici, alcuni dei quali hanno sospeso il trattamento con statine negli anziani, in particolare in quelli con fragilità, demenza e CKD.

«La carenza di dati al proposito non implica però alcun beneficio o danno. Piuttosto, ora abbiamo studi emergenti nel mondo reale che mostrano come non ci sia motivo di ritenere che le statine non continueranno a essere efficaci come lo erano nelle persone più sane arruolate negli studi clinici randomizzati controllati».

Diversi studi hanno osservato un aumento dei tassi di eventi quando le statine vengono diminuite, specialmente nei soggetti ad alto rischio, conferma Bach. Considerando che i pazienti anziani «hanno bisogno di una terapia individualizzata», non sarebbe appropriato evitare sistematicamente le statine in questa popolazione a causa delle preoccupazioni sulla polifarmacia o sulle interazioni farmaco-farmaco, aggiunge.

In futuro, prosegue Bach, le linee guida dovrebbero approvare un uso più flessibile delle statine negli anziani. «C’era carenza di dati, e tale carenza ha portato incertezza sull’approvazione nelle linee guida di un abbassamento più aggressivo dei lipidi negli anziani» sostiene. «Sono però convinto che gli anziani siano ad alto rischio e che quando – a causa di timori di conseguenze avverse – si negano terapie efficaci agli anziani, che si tratti di prevenzione primaria o secondaria, ciò potrebbe non portare beneficio, soprattutto in termini di riduzione del rischio assoluto».

Per questo Bach incoraggia ulteriori studi nelle popolazioni anziane, per quanto ciò possa essere impegnativo. «Ora che abbiamo più strategie per abbassare i lipidi, oltre alla sola terapia con statine, vorrei vedere un’applicazione più diffusa di diversi approcci per abbassare i lipidi in modo aggressivo in questa popolazione per vedere se applicando questa strategia a un gruppo che considererei ad alto rischio, fosse effettivamente possibile migliorare gli esiti clinici e ridurre la mortalità» osserva lo specialista.

Anche Orkaby vorrebbe che fossero svolte più ricerche volte a comprendere meglio la relazione tra fragilità e CVD. E domanda a se stessa e ai colleghi: «i farmaci che stiamo prescrivendo, come le statine, prevengono le CVD e possono anche fare la differenza, in generale, per un invecchiamento in salute?”. Inoltre, «se questi farmaci di uso comune, indubbiamente economici e sicuri, possono prevenire infarti e ictus, possono essere benefici anche per altre funzioni dell’organismo?».

I medici dovrebbero smettere di focalizzarsi sull’età come motivo per non intraprendere i dovuti trattamenti preventivi cardiologici, conclude Orkaby, e piuttosto guardare oltre il dato anagrafico e valutare sempre, in modo obiettivo, le condizioni dei singoli pazienti.

Fonti:
Orkaby AR, Lu B, Ho YL, et al. New statin use, mortality, and first cardiovascular events in older US Veterans by frailty status. J Am Geriatr Soc. 2023 Dec 6. doi: 10.1111/jgs.18700. [Epub ahead of print] leggi

Barayev O, Hawley CE, Wellman H, et al. Statins, Mortality, and Major Adverse Cardiovascular Events Among US Veterans With Chronic Kidney Disease. JAMA Netw Open. 2023 Dec 1;6(12):e2346373. doi: 10.1001/jamanetworkopen.2023.46373. leggi