A 46 anni dal tragico giorno del rapimento di Aldo Moro, la cerimonia in via Fani con le autorità e la consueta deposizione di fiori. Meloni: “Anni bui che non devono tornare”
Oggi, 16 marzo, cade l’anniversario del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse, che uccisero cinque uomini della sua scorta: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Raffaele Jozzino e Giuliano Rivera. Avvenne il 16 marzo di 46 anni fa, nel 1978. L’allora presidente della Democrazia cristiana fu poi ucciso il 9 maggio. Oggi la cerimonia con le autorità e la deposizione di una corona di fiori in onore ai caduti.
MELONI: “ANNI BUI CHE NON DEVONO TORNARE, RICORDARE SACRIFICIO”
“Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino. Sono i nomi dei cinque agenti barbaramente assassinati dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 durante il vigliacco rapimento di Aldo Moro, anch’egli ritrovato senza vita il 9 maggio dello stesso anno. Servitori dello Stato che hanno dato la vita per difendere la nostra democrazia, la nostra Repubblica e le sue Istituzioni. A loro e a tutte le vittime di quella drammatica stagione della nostra storia, va il nostro commosso ricordo e la nostra profonda gratitudine. A noi tutti spetta il compito di ricordare e onorare il loro sacrificio, affinché quegli anni bui non tornino mai più“. Così sui social, la premier Giorgia Meloni.
PIANTEDOSI: “VIOLENZA CIECA PER DESTABILIZZARE DEMOCRAZIA”
“Il 16 marzo del 1978 in via Fani le brigate rosse assassinarono Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, gli agenti della scorta di Aldo Moro, servitori dello Stato uccisi nel compimento del loro dovere. In quell’agguato fu rapito il presidente della Democrazia Cristiana”, ha dichiarato il Ministro dell’interno, Matteo Piantedosi. E ha proseguito: “Il 9 maggio successivo la mano omicida dei terroristi pose fine alla vita dello statista, il cui corpo venne fatto ritrovare in via Caetani. Sei uomini rimasero vittime di una violenza cieca, perpetrata nel tentativo, fallito, di destabilizzare la nostra Repubblica. Fu un attacco al cuore della democrazia, una ferita che lasciò cicatrici profonde nella storia del Paese. L’Italia tutta ne fu segnata ma le solide fondamenta, su cui poggiano le nostre istituzioni democratiche, seppero resistere al peso della barbarie grazie alla forza di coesione che tutte le forze politiche e la società civile misero in campo per difendere i valori consacrati nella nostra Costituzione. È nostro dovere oggi ricordare e onorare coloro che, 46 anni fa, pagarono con la vita il folle disegno brigatista. A tutti i loro familiari va la mia commossa vicinanza”.
LA RUSSA: “RICORDIAMO PAGINA TRA LE PIÙ BUIE NOSTRA STORIA”
“Oggi, a distanza di 46 anni, rinnoviamo il ricordo di una delle pagine più buie della nostra Repubblica: il rapimento di Aldo Moro e l’uccisione dei suoi 5 agenti della scorta. Quel giorno l’attacco allo Stato, alla nostra democrazia, toccò il punto più alto. E’ nostro dovere non dimenticare, e’ nostro compito tramandare il dolore che il terrorismo e gli Anni di Piombo provocarono ma anche la forza con la quale la nostra Nazione seppe reagire. A nome mio personale e del Senato della Repubblica esprimo la mia vicinanza ai familiari delle vittime”. Così il Presidente del Senato, Ignazio La Russa.
MOLLICONE (FDI): “SU STRAGE VIA FANI ANCORA TROPPE OMBRE E MISTERI”
“Oggi, 16 marzo, ricorre il 46° anniversario della strage di via Mario Fani e il rapimento di Aldo Moro. È una data tragica nella nostra storia nazionale. Le Brigate Rosse guidate da Mario Moretti e Barbara Balzerani (la compagna Luna scomparsa di recente e celebrata dalla professoressa Donatella Di Cesare, docente all’Università di Roma), insieme ad altri terroristi alcuni dei quali ancora oggi non identificati, sterminarono i cinque uomini della scorta del presidente della Democrazia cristiana: il maresciallo Oreste Leonardi e l’appuntato Domenico Ricci dei carabinieri, il vice brigadiere Francesco Zizzi e le guardie di Pubblica Sicurezza Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Nonostante i processi, le indagini della magistratura e il lavoro delle Commissioni parlamentari d’inchiesta, permangono ancora troppi lati oscuri e zone d’ombra sull’agguato di via Fani. A distanza di tanti anni, non c’è ancora certezza sul numero e sull’identità di tutti i partecipanti all’operazione Fritz, nome in codice usato dalle BR per il blitz del 16 marzo. Anche per questo presenterò un’interrogazione ai ministri competenti per sapere a che punto sono le indagini che sta svolgendo la Procura di Roma nell’ambito del nuovo filone d’inchiesta sul caso Moro. La scena del crimine è stata pesantemente alterata dalle tante bugie e omissioni degli ex brigatisti che hanno deciso di collaborare. Tutti gli altri hanno preferito l’omertà”. Lo dichiara Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati.
“Come ha giustamente sottolineato Giovanni Ricci, figlio dell’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci – prosegue Mollicone – il cosiddetto Memoriale di Valerio Morucci è in larga parte inattendibile se non falso, soprattutto quando si afferma che in via Fani erano presenti 11 brigatisti. Vi sono, invece, plurimi e concordanti riscontri ed elementi probatori che smentiscono questa versione. Sempre più consistenti sono gli indizi sulla presenza in via Fani quella mattina di un tiratore scelto (colui che sparò la maggior parte dei colpi contro la scorta) e terroristi tedeschi, presumibilmente della RAF (la Rote Armee Fraktion), a supporto del commando delle BR. Sarebbe utile sapere a questo punto se la Procura di Roma ha promosso rogatoria in Germania per ascoltare la terrorista tedesca Daniela Kettel, militante della RAF arrestata dopo trent’anni di latitanza. Tante sono le tracce che da via Fani portano in Germania. I brigatisti molto probabilmente non furono né i primi né i soli a sparare quel giorno. È arrivato il momento di fare chiarezza”.
“Un altro grande mistero- sottolinea Mollicone- riguarda la presenza di una Mini Minor di colore verde con un ordigno ad alto potenziale nascosto nel bagagliaio, parcheggiata in prossimità dell’incrocio tra via Fani e via Stresa dove venne compiuta la strage. La circostanza venne riferita ai cronisti nella tarda mattinata del 16 marzo dall’allora procuratore di Roma Giovanni De Matteo, ripresa da un’agenzia di stampa e poi pubblicata da Roberto Chiodi sul settimanale ‘L’Europeo’. La notizia sulla presenza di quella auto-bomba in via Fani venne insabbiata per poi riemergere misteriosamente a Berlino Est: la Stasi la riportò in un dettagliato rapporto datato 8 giugno 1978. Nell’ultima pagina di quel documento, gli esperti antiterrorismo della polizia segreta della Germania Est mettevano a confronto la piantina dell’azione terroristica del 5 settembre 1977 di Vincenz-Statz-Strasse a Colonia, durante la quale la RAF, dopo aver annientato i quattro uomini della scorta, rapì il presidente degli industriali tedeschi Hanns-Martin Schleyer, con la piantina del blitz del 16 marzo 1978 in via Fani a Roma. La stessa Stasi metteva in evidenza una impressionante serie di analogie di carattere tecnico-militare-operativo tra i due agguati”.
“Auspico- aggiunge Mollicone- che la legge istitutiva per la costituzione della Commissione monocamerale d’inchiesta sulla Guerra Fredda, all’esame della Commissione Affari Costituzionali, venga al più presto approvata per poter completare la ricerca proprio sull’affare Moro, una delle più grandi e complesse operazioni compiute sul nostro territorio durante il confronto Est-Ovest, proseguendo i lavori nel solco tracciato dalla Commissione Moro 2, presieduta da Giuseppe Fioroni durante la XVII Legislatura”.
“Il nostro pensiero va oggi ai familiari delle vittime di via Fani e dell’on. Moro, rapito quel giorno e sottoposto per 55 giorni a una disumana prigionia. Molti dei responsabili di quella carneficina studiata meticolosamente a tavolino non si sono mai pentiti né hanno mai rinnegato la lotta armata e l’aberrante ideologia alla quale si ispiravano, sognando la rivoluzione con l’abbattimento dello Stato borghese e l’eliminazione dei nemici di classe. Per troppi anni purtroppo – conclude Mollicone – i familiari delle vittime di via Fani sono stati abbandonati al loro destino, spesso dimenticati anche dalle istituzioni, mentre si è data voce, visibilità e notorietà in modo inopinato soltanto ai carnefici”.
FONTE: Agenzia di stampa Dire (www.dire.it).