Leucemia linfatica cronica: beneficio confermato a 6 anni per acalabrutinib con o senza l’aggiunta di obinutuzumab in prima linea
Nei pazienti affetti da leucemia linfatica cronica non trattati in precedenza, un trattamento con acalabrutinib in combinazione con obinutuzumab o in monoterapia continua a dimostrare un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla chemioimmunoterapia con obinutuzumab e clorambucile, indipendentemente dalla presenza di caratteristiche genetiche sfavorevoli, nell’ultima analisi dello studio di fase 3 ELEVATE-TN. I dati aggiornati dello studio, con un follow-up di 6 anni, sono stati presentati durante il convegno annuale della American Society of Hematology (ASH), a San Diego.
«I regimi contenenti acalabrutinib hanno migliorato la PFS rispetto al trattamento di controllo con obinutuzumab più clorambucile. Inoltre, l’aggiunta di obinutuzumab ad acalabrutinib ha determinato tassi di risposta e PFS migliori rispetto al solo acalabrutinib», ha dichiarato Jeff P. Sharman, del Willamette Valley Cancer Institute (Oregon), durante la presentazione dei dati. «Il raggiungimento di una risposta completa con i regimi contenenti acalabrutinib nei pazienti con leucemia linfatica cronica naïve al trattamento determina un miglioramento della PFS, con un profilo di sicurezza che rimane coerente con quanto già riportato in precedenza».
In particolare, rispetto al regime obinutuzumab-clorambucile, con il quale si è registrata una mediana di PFS pari a 27,8 mesi, con acalabrutinib più obinutuzumab la mediana di PFS non è stata raggiunta (NR) (HR 0,14; IC al 95% 0,10-0,20; P < 0,0001) così come non è stata raggiunta con il solo acalabrutinib (HR 0,24; IC al 95% 0,17-0,32; P < 0,0001).
Analogamente, con acalabrutinib, in combinazione o in monoterapia, sono stati registrati tassi di risposta obiettiva (ORR) significativamente più alti (differenza 6,1%; IC al 95% 0,9%-11,4%; P = 0,022), così come tassi di risposta completa significativamente più elevati (differenza 17,9%; IC al 95% 8,8%-27,0%; P = 0,022). Inoltre, nei pazienti che hanno raggiunto una risposta completa o una risposta completa con recupero ematologico incompleto il trattamento con acalabrutinib si è associato a una riduzione del rischio di progressione della malattia del 77% (HR 0,23; IC al 95% 0,12-0,42; P < 0,001).
Beneficio di acalabrutinib anche con immunoglobuline non mutate
Il beneficio di acalabrutinib si è riscontrato anche nel sottogruppo di pazienti (337) con immunoglobuline (IGHV) non mutate, una caratteristica prognostica notoriamente sfavorevole. In questi pazienti, infatti, acalabrutinib ha continuato a conferire un vantaggio di PFS, sia in combinazione con obinutuzumab (PFS mediana NR; HR 0,08; IC al 95% 0,05-0,12; P < 0,0001) sia in monoterapia (PFS mediana NR; HR 0,12; IC al 95% 0,08-0,18; P < 0,0001), rispetto a obinutuzumab-clorambucile (PFS mediana 22,2 mesi), con tassi stimati di PFS a 72 mesi rispettivamente del 75%, 60% e 5%.
Anche nei pazienti (73) portatori di una delezione del cromosoma 17p e/o di mutazioni di TP53, acalabrutinib in monoterapia o in combinazione si è dimostrato vantaggioso rispetto alla chemioimmunoterapia di confronto. Infatti, la PFS mediana è risultata di 73,1 mesi con acalabrutinib più obinutuzumab (HR 0,28, IC al 95% 0,13-0,59; P = 0,0009), non è stata raggiunta con il solo acalabrutinib (HR 0,23; IC al 95% 0,10-0,52; P = 0,0009), mentre è risultata di 17,5 mesi con obinutuzumab-clorambucile, con tassi stimati di PFS a 72 mesi del 56% sia con acalabrutinib più obinutuzumab sia con il solo acalabrutinib, a fronte del 18% con obinutuzumab-clorambucile.
Crossover ad acalabrutinib-obinutuzumab vantaggioso
Nella popolazione che ha effettuato il crossover, per i pazienti che sono passati dalla monoterapia con acalabrutinib alla combinazione acalabrutinib-obinutuzumab il tasso di PFS a 72 mesi è risultato del 62%, con una mediana di PFS non raggiunta, mentre nei pazienti che hanno effettuato il crossover da obinutuzumab-clorambucile alla combinazione con acalabrutinib il tasso di PFS a 72 mesi è risultato del 54%, con una mediana di PFS anche in questo caso non raggiunta.
Infine, la mediana di OS non è stata raggiunta in nessun braccio di trattamento, tuttavia l’uso combinato di acalabrutinib e obinutuzumab ha mostrato di ridurre il rischio di decesso del 38% rispetto a obinutuzumab-clorambucile (HR 0,62; IC al 95% 0,39-0,97; P = 0,0349).
Profilo di sicurezza e tollerabilità invariato
Dal punto di vista della sicurezza e tollerabilità, ha osservato Sharman, l’incidenza degli eventi avversi di interesse speciale è risultata simile nei due bracci trattati con acalabrutinib e l’incidenza di eventi avversi di tipo cardiaco è rimasta bassa anche dopo 6 anni di follow-up.
Gli eventi avversi di grado 3 o superiore più comuni nei bracci trattati con acalabrutinib-obinutuzumab e acalabrutinib in monoterapia sono stati diarrea (6,2% contro 0,6%, rispettivamente), cefalea (1,1% contro 1,1%), artralgia (2,2% contro 1,1%), neutropenia (30,9% contro 11,7%), affaticamento (1,2% contro 1,7%), tosse (0,6% contro 0,6%), COVID-19 (9,0% contro 7,3%), trombocitopenia (8,4% contro 3,4%), polmonite (7,3% contro 6,1%), ipertensione (4,5% contro 5,0%) e sincope (5,1% contro 2,2%).
Lo studio ELEVATE-TN
Lo studio ELEVATE-TN (NCT02475681) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato e controllato, in cui i pazienti sono stati assegnati secondo un rapporto di randomizzazione 1:1:1 al trattamento con acalabrutinib 100 mg due volte al giorno più 6 cicli di obinutuzumab a durata fissa oppure acalabrutinib 100 mg in monoterapia due volte al giorno o 6 cicli di obinutuzumab a durata fissa più clorambucile a durata fissa.
In caso di progressione della malattia confermata da parte di un comitato di revisori indipendenti, i pazienti potevano passare al trattamento con obinutuzumab-clorambucile.
Potevano essere arruolati nello studio pazienti con un’età pari o superiore a 65 anni oppure di età compresa tra i 18 e i 65 anni se avevano una clearance della creatinina compresa tra 30 e 60 ml/min e un punteggio CIRS-G superiore a 6. Inoltre, i pazienti dovevano avere leucemia linfatica cronica non trattata in precedenza che secondo i criteri iwCLL del 2008 richiedeva un trattamento e un punteggio del performance status ECOG pari o inferiore a 2. La presenza di una malattia cardiovascolare significativa rappresentava, invece, un criterio di esclusione.
L’endpoint primario dello studio era rappresentato dal confronto della PFS ottenuta con i regimi acalabrutinib-obinutuzumab e obinutuzumab-clorambucile, mentre gli endpoint secondari comprendevano il confronto della PFS della con acalabrutinib in monoterapia rispetto a obinutuzumab-clorambucile, la PFS valutata dallo sperimentatore, l’ORR, il tempo al trattamento successivo, il tasso di non rilevabilità della malattia minima residua e la sicurezza.
Complessivamente, ha rigerito Sharman, 96 pazienti nel braccio assegnato ad acalabrutinib-obinutuzumab (53,6%) e 84 nel braccio assegnato ad acalabrutinib in monoterapia (46,9%) erano ancora in trattamento al momento della presentazione dei dati, mentre nessun paziente era in trattamento con obinutuzumab-clorambuciel. In totale, hanno potuto beneficiare del crossover 79 pazienti (44,6%) che sono passati dal trattamento con obinutuzumab più clorambucile alla combinazione acalabrutinib-obinutuzumab.
Bibliografia
J.P. Sharman, et al. Acalabrutinib ± Obinutuzumab Vs Obinutuzumab + Chlorambucil in Treatment-Naive Chronic Lymphocytic Leukemia: 6-Year Follow-up of Elevate-TN. Blood 2023; 142(1):636; doi:10.1182/blood-2023-174750. https://ashpublications.org/blood/article/142/Supplement%201/636/499274/Acalabrutinib-Obinutuzumab-Vs-Obinutuzumab