Linfoma cutaneo a cellule T: il rischio di sepsi sembra essere più alto nei pazienti afroamericani secondo nuovi studi
Alcuni tipi di tumore, come il linfoma cutaneo a cellule T (CTCL), sono generalmente meno aggressivi di altri, tra cui, ad esempio, la leucemia acuta, ma vi sono elementi che gravano in maniera significativa sulla prognosi di un paziente con CTCL: su tutti le infezioni della pelle, che incrementano il rischio di sepsi e arrivano a costituire fino al 60% delle cause di decesso nelle persone affette da questa patologia. Pertanto, isolare e identificare i fattori associati al rischio di sepsi non solo aiuta a fare chiarezza su alcuni aspetti del linfoma cutaneo a cellule T ma permette anche di prevenire l’instaurarsi di situazioni patologiche potenzialmente molto gravi per i pazienti.
Qualsiasi specializzando che abbia visto entrare in Pronto Soccorso una persona affetta da sepsi acuta difficilmente dimenticherà le manifestazioni di quella che, di fatto, è un’eccessiva risposta infiammatoria dell’organismo generatasi come conseguenza di un’infezione. In casi come questi, che possono esporre il paziente a un serio rischio di morte, a fare la differenza sono spesso la prontezza e l’esperienza del personale medico, unite a un tempestivo uso delle terapie disponibili. Nella maggior parte dei casi le sepsi sono scatenate da infezioni batteriche, ma non è escluso che possano dipendere anche dal contatto con virus o funghi: ognuno di questi agenti patogeni rappresenta un potenziale rischio per gli individui affetti da CTCL, accentuando la progressione del tumore e la probabilità di morte.
Pertanto, i ricercatori statunitensi del Dipartimento di Dermatologia della Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago, insieme ai colleghi microbiologi della Loyola University, hanno realizzato uno studio in cui sono stati messi a confronto due gruppi di pazienti oncologici in cui era stato documentato almeno un episodio di sepsi: il primo gruppo era composto da 97 persone affette da CTCL, il secondo da 88 individui colpiti da altre forme di linfoma non-Hodgkin (NHL). Inoltre, le persone con CTCL e sepsi sono state confrontate anche con una generica coorte di 1094 pazienti affetti da linfoma cutaneo a cellule T. I dati raccolti nello studio spaziavano da etnia, sesso ed età alla diagnosi dei pazienti fino allo stadio clinico del tumore e alla concentrazione plasmatica di enzimi come la lattato deidrogenasi (LDH), i cui livelli elevati fungono da indicatore di danni a cellule e tessuti. Inoltre, i ricercatori hanno estratto informazioni sui microrganismi, isolati nei campioni microbiologici, ritenuti responsabili delle infezioni, e sull’eventuale presenza di batteri nel circolo sanguigno. L’obiettivo era di far luce su possibili fattori implicati nello sviluppo della sepsi correlata a CTCL.
Gli autori dell’indagine hanno osservato che la sepsi da linfoma cutaneo a cellule T sembra mostrare alcune caratteristiche demografiche, cliniche e microbiologiche distintive, concorrendo a definire uno specifico gruppo di pazienti con CTCL che sono potenzialmente ad alto rischio e sul quale è possibile intervenire precocemente o con terapie più aggressive.
Un dato interessante emerso nello studio è che tra i batteri più frequentemente riscontrati nelle persone con CTCL e sepsi figuravano quelli Gram-positivi, e su tutti lo Staphylococcus aureus, responsabile dei casi di infezione nel 26% di questi pazienti: si tratta di un organismo che può raggiungere il circolo sanguigno, provocando severi episodi di setticemia e rappresentando un serio pericolo per i pazienti immunocompromessi. Inoltre si è visto che, nei 30 giorni seguenti al prodursi della sepsi, i pazienti con CTCL presentavano tassi di ospedalizzazione o di decesso più alti rispetto a quelli affetti da altre forme di linfoma non Hodgkin; questi stessi pazienti manifestavano anche una maggior frequenza di episodi di sepsi rispetto a tutti gli altri.
Un secondo risultato interessante è che, nel confronto con tutti i pazienti affetti da linfoma cutaneo a cellule T, quelli con sepsi presentavano il più delle volte uno stadio avanzato di malattia, il coinvolgimento di una maggior superficie corporea e livelli più elevati di LDH; inoltre, erano più frequentemente di etnia afroamericana. Nel tentativo di fornire una possibile spiegazione a quest’ultimo dato, gli autori dello studio hanno messo in rilievo i risultati di un’indagine che è stata condotta in sei Stati degli USA e che ha rilevato un tasso più alto di sepsi nella popolazione di etnia afroamericana. Inoltre, alcuni studi scientifici hanno riscontrato, nelle cellule della pelle di pazienti neri, l’attivazione di meccanismi pro-infiammatori intrinseci distinti da quelli dei pazienti caucasici, capaci di contribuire all’aumento dell’incidenza di alcune malattie della pelle. In aggiunta a questo rischio pro-infiammatorio di base, è quindi ipotizzabile che l’alterazione cronica della barriera cutanea e lo stato di infiammazione della pelle dovuti al CTCL possano aumentare la suscettibilità alla sepsi nelle persone afroamericane affette da questo tumore.
“Poiché i dati del nostro studio indicano che l’incidenza della sepsi è maggiore nei pazienti di colore affetti da CTCL anche rispetto ai pazienti di colore con altre forme di linfoma non-Hodgkin – spiegano i ricercatori – è plausibile che sul rischio di infezione possano incidere in modo particolare alcuni fenomeni biologici specifici del linfoma cutaneo a cellule T”.
In aggiunta alle informazioni sugli organismi patogeni più diffusi e pericolosi e a quelle relative agli stadi più avanzati di malattia, l’evidenza relativa all’etnia può contribuire a circoscrivere un gruppo di pazienti con CTCL a maggior rischio di infezione, nei quali l’impiego di adeguate misure preventive e di strategie di trattamento più potenti potrebbe limitare il rischio di complicanze potenzialmente letali come la sepsi.