Fibrosi polmonare idiopatica: secondo nuovi dati, un’elevata eterogeneità del microbiota orale si associa a peggioramento della funzione polmonare e della mortalità
Stando ai risultati di uno studio pubblicato su the American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, una maggiore eterogeneità microbica a livello della bocca avrebbe non solo un impatto negativo sulla funzione polmonare ma aumenterebbe anche la mortalità nei pazienti sottoposti a trattamento standard e non trattati con antibiotici a lungo termine.
Razionale e disegno dello studio
Il microbiota orale, come è noto, si associa alle malattie della bocca e funge da fonte del microbiota polmonare, scrivono i ricercatori nell’introduzione allo studio. Tuttavia, il ruolo del microbiota orale nelle malattie polmonari è ancora oggi sconosciuto.
Su queste premesse è stato implementato il nuovo studio, che si è proposto di determinare le associazioni esistenti tra il microbiota orale, la gravità di malattia e la mortalità in pazienti affetti da fibrosi polmonare idiopatica (IPF).
Utilizzando i dati di uno studio multicentrico, pragmatico e condotto su larga scala (CleanUP-IPF trial), i ricercatori hanno valutato 511 pazienti con IPF, includendo una coorte sottoposta alle terapie standard e un’altra sottoposta ad antibioticoterapia a lungo termine.
Questi sono stati sottoposti a tamponi buccali per le successive analisi del microbiota, tramite sequenziamento genico. Inoltre, hanno fatto ricorso ad analisi matematiche e statistiche ad hoc per valutare la relazione tra i dati del microbioma e la gravità dell’IPF, nonché il collegamento tra il microbioma orale e la mortalità (analisi di regressione lineare, modelli di Cox, analisi di Kaplan Meier).
Risultati principali
Dall’analisi del microbioma orale, è emersa una maggiore prevalenza di batteri del genere Steptococco (49,43% nei campioni clinici, valore medio percentuale). Rispetto al totale dei 511 pazienti reclutati, erano disponibili i dati sulla funzionalità polmonare per 490.
Dall’analisi di regressione multivariata è emersa l’esistenza di una relazione tra una maggiore eterogeneità della flora microbica orale e la riduzione della FVC. In particolare, ad ogni incremento unitario dell’indice diversità di Shannon corrispondeva un peggioramento della percentuale predetta di FVC (differenza media: -3,6; IC95%: da -5,92 a -1,29 percentuale predetta).
Il legame tra la diversità microbica e il FEV1 ha seguito lo stesso trend, mentre il legame tra la diversità e la percentuale predetta della capacità di diffusione di monossido di carbonio nei polmoni (n = 483) non ha raggiunto la significatività statistica.
Esaminando specificamente lo Streptococco in questo modello, i ricercatori hanno scoperto che ogni aumento del 10% della percentuale dei batteri di questo genere contribuiva a preservare la FVC (differenza media: 0,8; IC95%: 0,16-1,43 per cento previsto).
Quanto alla mortalità, questa è risultata maggiore nei pazienti con una maggiore diversità microbica nella coorte di cura abituale: nello specifico, ad ogni incremento di 1 unità dell’indice di diversità di Shannon corrispondeva un aumento del rischio (HR = 1,73; IC95%: 1,03-2,9).
La presenza di batteri del genere Streptococco ha continuato ad essere vantaggiosa nei pazienti con IPF nella valutazione della sopravvivenza. Infatti, la presenza di una quantità maggiore di batteri appartenenti a questo genere batterico (oltre il 70%) era correlata ad una mortalità inferiore (HR = 0,85; IC95%:0,73-0,99).
Nello specifico, i ricercatori hanno osservato che i batteri della specie Streptococcus mitis erano quelli maggiormente rappresentati del genere Streptococco.
Invece, a differenza dei pazienti sottoposti alle cure standard, nei pazienti sottoposti ad antibioticoterapia a lungo termine (cotrimoxazolo o doxiciclina) non è risultato significativo il legame tra diversità microbica orale e mortalità.
Da ultimo, i ricercatori hanno inoltre scoperto che la relazione tra prevalenza di Streptococco e la mortalità non era significativa, indipendentemente dall’antibiotico scelto.
Riassumendo
Nel complesso, lo studio ha dimostrato che una specie batterica in particolare, lo Streptococcus mitis, tende a prevalere sulla flora orale in alcuni pazienti con IPF non trattati con antibiotici e che questi pazienti tendono a presentare una migliore funzionalità polmonare, una malattia meno grave e tempi di sopravvivenza migliori.
Questi risultati sono in parte sorprendenti dal momento che, in letteratura, vi sono dati che hanno legato l’eterogeneità del microbioma intestinale e di quello delle vie aeree inferiori (quest’ultimo proprio in pazienti con IPF) ad un miglioramento dello stato di salute ed evidenziano uno dei limiti metodologici dello studio (la mancanza di campioni di lavaggio broncoalveolare da confrontare con quelli dei tamponi buccali).
I ricercatori, a tal proposito, hanno ipotizzato che lo S. mitis fungerebbe da “guardiano” (gatekeeper) rispetto ad altre minacce batteriche, comprese quelle che possono essere causa di malattia parodontale.
Lo studio, invece, non ha documentato la stessa relazione protettiva tra Streptococco mitis orale e IPF nei pazienti sottoposti a terapia antibiotica.
A questo punto, sarà necessario condurre nuovi studi finalizzati a caratterizzare meglio le varie popolazioni batteriche presenti all’interno della flora orale e polmonare nei pazienti con IPF per comprendere il legame tra questi microbiomi e gli outcome di malattia.
Bibliografia
O’Dwyer DN, et al. Am J Respir Crit Care Med. 2023;doi:10.1164/rccm.202308-1357OC.
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