Nel dibattito sulla salute in Italia si parla poco di dolore cronico


Il dolore cronico rappresenta uno dei grandi aspetti trascurati della società italiana, spesso inascoltato o sottovalutato e relegato a una questione privata

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Il dolore cronico rappresenta uno dei grandi aspetti trascurati della società italiana, spesso inascoltato o sottovalutato e relegato a una questione privata. Tuttavia, i dati emersi dal 1° Rapporto Censis-Grünenthal ‘Vivere senza dolore’ sottolineano l’urgenza di cambiare questa percezione sociale, iniziando dal riconoscimento del dolore cronico come patologia specifica che richiede un’adeguata gestione.

E’ ormai noto e confermato da diverse fonti che circa il 20% degli adulti in Italia è affetto da dolore cronico di intensità moderata o severa e che l’impatto è rilevante nella quotidianità (basti pensare che il 16% delle persone ne soffre sempre, di continuo; il 27,6% ogni giorno e il 37,1% più volte a settimana) e persino nelle più semplici attività (il 60,2% ha difficoltà a sollevare oggetti; il 59,3% nello svolgere attività fisica; il 50,5% a dormire e circa il 49% nella mobilità in generale e nello svolgere faccende domestiche).

Ma cosa chiedono i pazienti con dolore?

Non sottovalutare il significato e le conseguenze del dolore cronico e riconoscere ora la sua cronicità:
·       il 72,5% dei malati ritiene che il dolore sia sottovalutato nella società e il dato sale a 84% tra i più giovani;
·       l’81,7% ritiene che il dolore dovrebbe essere riconosciuto come una patologia a sé stante;
garantire un supporto capillare e multidisciplinare, per uscire dalla solitudine:
la grande maggioranza dei malati si è attrezzata ad affrontare la patologia da sola ma per l’86,2% degli intervistati è fondamentale istituire uno specialista o un servizio dedicato per il dolore nel Servizio Sanitario.

“I dati raccolti nel Rapporto sono fondamentali innanzitutto perché da troppo tempo mancava un quadro preciso del dolore in Italia; – spiega il Prof. Gabriele Finco, Presidente dell’Associazione italiana per lo studio del dolore – in secondo luogo perché forniscono alle istituzioni gli strumenti per capire la reale problematica ed evidenziano la necessità interventi, in linea con la Legge 38 e con i bisogni espressi dai pazienti. In primis, è auspicabile il riconoscimento del dolore cronico come patologia ad hoc e l’inclusione nel nuovo Piano Nazionale delle Cronicità.”

Il dolore cronico non è, infatti, riconosciuto nel Piano Nazionale delle Cronicità, che aveva l’ambizione di armonizzare su scala nazionale le modalità assistenziali delle cronicità, con appropriato coinvolgimento delle Regioni.

“Di rilevante importanza – aggiunge il Prof. Finco – è, anche, l’istituzione di appropriati percorsi specialistici, che abbiano l’obiettivo di garantire una presa in carico capillare sul territorio e continuativa nel tempo. Per questo è necessario standardizzare soluzioni, on line, via chat o in telemedicina, per supportare in tempi cadenzati il monitoraggio del paziente a distanza. Un aspetto di vicinanza empatica, che sappiamo essere fondamentale per lo stato di benessere del paziente.”

“L’insieme delle informazioni veicolate nel Rapporto, rendono più visibile l’impatto del dolore in Italia e l’urgenza della sua presa in carico da parte dell’intero sistema salute. – commenta Laura Premoli, General Manager di Grünenthal Italia – Il nostro supporto a questa iniziativa nasce dalla volontà di evolvere la cultura sul dolore nel nostro Paese ed è coerente con altre nostre progettualità di informazione scientifica e di sensibilizzazione che supportano pazienti e caregivers nel quotidiano e contribuiscono a colmare il deficit culturale.”

In conclusione, sottostimato o al massimo ritenuto un fattore sentinella che annuncia un pericolo da esso distinto, il dolore cronico raccontato dai numeri del 1° Rapporto Censis-Grünenthal ‘Vivere senza dolore’ riflette, quindi, l’urgenza di affrontare il problema con interventi mirati e coordinati e mette in luce l’ampia diffusione della patologia e il suo impatto significativo che genera oneri rilevanti per la società, le dimensioni famigliari e personali, fino ad impattare la sfera emotiva e il senso di solitudine. Il 48,8% dei malati ha, infatti, provato apatia, perdita di forze, debolezza; il 38,2% sensazione di fragilità, tendenza alla facile commozione; il 37% stati di ansia e depressione.

E’ ora il tempo di riconoscere e rispondere coralmente ai bisogni di 10 milioni di persone in Italia.