Ricercatori del Cnr hanno dimostrato che è possibile ridurre la massa del carcinoma colon-rettale agendo su un complesso proteico noto come coesina
Un gruppo di ricerca coordinato dall’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Itb) di Pisa ha dimostrato che è possibile diminuire la massa tumorale in topi con carcinoma colon-rettale a partire dall’inibizione del gene SMC1A, il cui prodotto proteico fa parte di un complesso proteico noto come coesina. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research, è stato condotto finora con animali di laboratorio ed è stato sostenuto dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. “Il nuovo approccio consiste nel somministrare molecole sintetiche di RNA, dette “short hairpin RNA” o in breve shRNA, in grado di silenziare il gene SMC1A, al fine di ridurre i livelli di proteina all’interno della cellula tumorale. In contemporanea abbiamo anche somministrato ai topini il bevacizumab, un farmaco antitumorale costituito da un anticorpo monoclonale, che ci ha consentito di potenziare gli effetti della terapia a base di RNA. Nell’insieme il trattamento ha aumentato la sopravvivenza degli animali trattati e ridotto la massa del carcinoma. Questo effetto sembra dovuto al fatto che la cura provoca anomalie cromosomiche nelle cellule tumorali, che per questo muoiono”, spiega Antonio Musio, ricercatore del Cnr-Itb e coordinatore dello studio.
In una precedente ricerca i ricercatori avevano osservato che il malfunzionamento della proteina codificata dal gene SMC1A destabilizza la crescita cellulare. “La coesina è un complesso proteico che contribuisce a una corretta divisione cellulare, all’organizzazione tridimensionale del nucleo e alla regolazione dell’espressione genica. Quando però la coesina non funziona adeguatamente, la cellula comincia a crescere in maniera incontrollata, trasformandosi in tumorale”, continua Musio.
Il cancro del colon-retto è in crescita in tutto il mondo: secondo le statistiche dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, è al quarto posto per incidenza e al terzo per mortalità. Pertanto è necessario identificare nuovi biomarcatori prognostici e bersagli terapeutici al fine di sviluppare trattamenti farmaceutici più efficaci per i pazienti. “Nell’era della medicina di precisione, comprendere i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo tumorale è diventato di fondamentale importanza. In questo senso il gene SMC1A potrebbe rappresentare un bersaglio molecolare per impedire il processo neoplastico e aprire nuove prospettive per la cura di questo tipo di tumore”, conclude il ricercatore.
Allo studio hanno partecipato anche l’Irccs Ospedale policlinico San Martino, l’Irccs Istituto nazionale tumori Regina Elena, l’Università dell’Insubria di Varese, l’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr di Milano e l’Università di Genova.
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