Per la prima volta è stata rilevata la presenza di acqua anche sugli asteroidi fatti di silicati, quelli più propriamente rocciosi, formatisi più vicino al Sole
La composizione dei pianeti del Sistema solare cambia in funzione della distanza dal Sole: i pianeti più interni come Mercurio, Venere, Terra e Marte sono di piccole dimensioni, ad alta densità, con atmosfere rarefatte e sono poveri d’acqua. Al contrario Giove, Saturno, Urano e Nettuno sono pianeti di grandi dimensioni, a bassa densità, ricchi di gas e materiale volatile con satelliti ricchissimi d’acqua, basta pensare a Europa ed Encelado. Un andamento analogo vale anche per gli asteroidi, la cui composizione cambia in funzione della distanza di formazione dal Sole: i corpi che si sono formati più vicini al Sole sono fatti per lo più di silicati, mentre quelli più distanti dal Sole hanno anche una componente di materiali volatili come l’acqua. Ad esempio, il maggiore asteroide di tipo C, Hygiea, ha un diametro dell’ordine di 430 km, è composto di un materiale simile a quello delle meteoriti del tipo condrite carbonacea e sulla sua superficie sono stati rilevati composti alterati dalla presenza di acqua. Anche sull’asteroide carbonaceo Themis (diametro di circa 200 km), nel 2009 è stata rilevata la presenza di ghiaccio d’acqua in superficie. La distribuzione dell’acqua sugli asteroidi è di particolare interesse perché può far luce su come l’acqua sia stata portata sulla Terra, con implicazioni importanti anche per i pianeti che si trovano nella fascia di abitabilità di altre stelle. In effetti, in base al diverso rapporto deuterio/idrogeno dell’acqua delle comete rispetto a quella degli oceani terrestri, si pensa che l’acqua sia stata portata sul nostro pianeta per lo più in seguito alle collisioni con asteroidi primordiali di tipo C avvenute quasi cinque miliardi di anni fa.
Chiaramente gli asteroidi che hanno portato l’acqua sulla Terra sono andati distrutti al momento della “consegna”, ma è possibile andare alla ricerca dei loro “cugini” che sono riusciti a sopravvivere, come è stato fatto per Hygiea e Themis. Durante l’evoluzione del Sistema solare, questi asteroidi hanno subito alterazioni acquose, formando fillosilicati, solfati, ossidi, carbonati, idrossidi e i composti possono essere identificati mediante la spettroscopia nel visibile e nel vicino infrarosso nel range 0,4–4,0 μm. Un metodo ampiamente utilizzato per determinare l’eventuale idratazione degli asteroidi è attraverso il rilevamento di una caratteristica banda di assorbimento nell’infrarosso alla lunghezza d’onda di 3 μm.
Questa banda è dovuta all’assorbimento della radiazione solare da parte dello stato vibrazionale fondamentale del legame O–H e può essere causata da qualsiasi molecola che abbia O e H, come l’acqua (H2O) o l’idrossile (OH). Tuttavia ci sono altre molecole che hanno bande di assorbimento in questa regione, come lo ione ammonio, il metano e composti organici complessi, rendendo complicata l’identificazione della molecola che crea la banda. Sono stati scoperti centinaia di asteroidi che hanno questo assorbimento e per lo più si tratta di corpi carbonacei di tipo C: sono asteroidi primitivi che si sono formati lontano dal Sole, quindi che abbiano la banda di assorbimento a 3 μm, che potrebbe essere dovuta all’acqua, non sorprende.
Più recentemente però è stato riscontrato l’assorbimento a 3 μm anche nel caso degli asteroidi di tipo S, quelli propriamente rocciosi da cui si originano le meteoriti del tipo condrite ordinaria che, essendosi formati più vicino al Sole, dovrebbero essere molto poveri d’acqua. Si tratta degli asteroidi Iris, Melpomene e Massalia, ma come risolvere l’ambiguità nella specie molecolare? In realtà basta spostarsi di qualche micron verso lunghezze d’onda maggiori e si arriva a una banda a 6 μm, dovuta al livello energetico vibrazionale del legame H-O-H. A questa lunghezza d’onda non ci sono interferenze con altre molecole e la sua presenza indicherebbe sicuramente l’esistenza di acqua alla superficie dell’asteroide. Alla temperatura degli asteroidi main belt la banda a 6 μm è in emissione e non in assorbimento.
Le osservazioni infrarosse sugli asteroidi di tipo S alla ricerca della emissione a 6 μm sono state fatte da un team di ricercatori guidato da Anicia Arredondo (Southwest Research Institute), fra gennaio e maggio 2022, utilizzando la Faint Object infraRed CAmera di Sofia, lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy. Si tratta di un telescopio del diametro di 2,5 metri che volava su un Boeing 747 – oppurtunamente modificato – a 12 km di quota, così da trovarsi al di sopra dello strato di vapore acqueo della troposfera e poter osservare il cielo nell’infrarosso nel range da 1 a 210 μm. Per gli asteroidi di tipo S le osservazioni sono state fatte fra 4,9 e 13,7 μm e per mettere in evidenza l’emissione a 6 μm è stato necessario mettere a punto un modello della luce solare riflessa dalla superficie dell’asteroide per toglierne il contributo. In questo modo sono usciti dei forti picchi di emissione per Iris e Massalia, mentre per Melpomene lo spettro è troppo rumoroso per poter dire qualcosa. Le abbondanze d’acqua stimate per i due asteroidi di tipo S sono di 454 ± 202 μg/g per Iris e 448 ± 209 μg/g per Melpomene, valori simili a quelli trovati da Sofia in uno dei più grandi crateri dell’emisfero meridionale della Luna.
Quindi l’acqua c’è, ma non bisogna immaginarsi l’esistenza di pozze d’acqua libere: sugli asteroidi l’acqua può essere legata ai minerali di superficie così come adsorbita dai silicati oppure intrappolata o disciolta nei vetri da impatto. Per ricavare un grammo di acqua su Iris sarebbe necessario trattare 2,2 kg di materiale quindi, per ottenerne un litro, supponendo di avere un rendimento del processo di estrazione del 100 per cento, bisognerebbe scavarne più di 2 tonnellate. In ogni caso si tratta della prima detection senza ambiguità della presenza di acqua anche negli asteroidi di tipo S. Adesso saranno necessarie osservazioni mirate con il telescopio spaziale infrarosso Webb per confermare i risultati e allargare la statistica su altri asteroidi “aridi”.
Per saperne di più:
- Leggi su The Planetary Science Journal l’articolo “Detection of molecular HO on nominally anhydrous asteroids”, Anicia Arredondo et al.