Utilizzare gli scarti della torrefazione del caffè come ingrediente ad alto valore aggiunto nei prodotti da forno: lo consente un progetto ENEA
Utilizzare gli scarti della torrefazione del caffè come ingrediente ad alto valore aggiunto nei prodotti da forno consentirebbe di ridurre del 73%[1] l’impatto ambientale delle lavorazioni e di dimezzare i costi di smaltimento a carico delle aziende. È quanto emerge da uno studio ENEA sulla sostenibilità economica e ambientale dello smaltimento della silverskin, il principale scarto organico della torrefazione del caffè, che i torrefattori hanno l’obbligo di trasformare in compost. La ricerca è stata condotta nell’ambito del progetto europeo Biocircularcities e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista Sustainability.
“L’analisi del ciclo di vita ha evidenziato che l’utilizzo alimentare della silverskin consentirebbe di evitare circa 250 kg di CO2 equivalente per ogni tonnellata di farina sostituita con lo scarto del chicco del caffè, pari a un quantitativo di CO2 che può essere assorbito da 22 alberi. Invece, la sua valorizzazione come compost determina l’emissione di circa 236 kg di CO2 equivalente e il suo impatto ambientale non è compensato dai vantaggi di utilizzare il compost ottenuto al posto dei fertilizzanti sintetici”, spiega Giuliana Ansanelli, ricercatrice ENEA e coautrice dello studio insieme alle colleghe Gabriella Fiorentino e Amalia Zucaro del Laboratorio ENEA Tecnologie per il riuso, riciclo, recupero e valorizzazione di rifiuti e materiali.
“Sul fronte economico, i risultati dell’Analisi dei Costi del Ciclo di vita indicano che l’azienda di torrefazione campana, analizzata nello studio, può conseguire una riduzione di quasi il 60% dei costi legati allo smaltimento della silverskin, passando da 448 €/ton a 190 €/ton, se valorizzata come ingrediente funzionale piuttosto che come compost”, sottolinea Gabriella Fiorentino.
Nel 2019 il settore agro-industriale della Città Metropolitana di Napoli ha generato circa 30mila tonnellate di rifiuti organici, di cui quasi il 3% proveniva da aziende di torrefazione del caffè (in gran parte silverskin). “Attualmente questo rifiuto organico viene inviato agli impianti di compostaggio, con elevati costi di trattamento. Ma in Campania c’è carenza di infrastrutture per il trattamento della frazione organica e quindi sarebbe auspicabile individuare modalità di gestione alternative dello scarto della torrefazione del caffè, in accordo con i principi della bioeconomia circolare e della simbiosi industriale, che permettano di ridurre impatto ambientale, costi di smaltimento a carico delle aziende e della regione e pressione sugli impianti di compostaggio”, afferma Amalia Zucaro. “Il nostro studio – conclude – evidenzia proprio questo: l’impiego della silverskin nei prodotti da forno potrebbe rappresentare una valida soluzione a beneficio non solo dell’ambiente e dell’economia ma anche della salute dei consumatori, visto che è ricca in fibre (35%), proteine (19%) e antiossidanti”.
Nonostante i risultati incoraggianti sul suo uso come ingrediente funzionale, la silverskin deve prima superare la procedura di approvazione per essere utilizzata nei prodotti alimentari in commercio[2]. Ad oggi, la procedura non è ancora conclusa, nonostante numerosi studi abbiano evidenziato bassi rischi e molti benefici legati al suo consumo.
Note
[1] La produzione evitata della farina, sostituita dalla silverskin, determina una riduzione dell’impatto sull’ambiente del 73%.
[2] Tale procedura stabilita dal Regolamento (UE) 2015/2283 è supervisionata dalla Commissione europea (CE) e comporta la verifica dell’assenza di contaminanti chimici e biologici che potrebbero avere effetti dannosi sulla salute umana. In aggiunta, la CE potrebbe richiedere all’Autorità europea per la sicurezza alimentare di condurre una valutazione del rischio, per una maggiore tutela dei consumatori.