L’epatite delta è una grave forma di epatite virale che evolve in forma più grave e più veloce quando è presente anche l’infezione da HIV
L’epatite delta è una grave forma di epatite virale che, se non trattata adeguatamente, può far progredire velocemente il fegato verso la cirrosi e anche il decesso del paziente. Tale infezione evolve in forma più grave e più veloce quando è presente anche l’infezione da HIV. Se ne è parlato durante la edizione 2024 del congresso CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections) a Denver.
Coinfezione epatite delta-HIV nelle lineeguida
Esiste un’interferenza reciproca tra co-infezione da epatite virale e HIV, che porta a una progressione più rapida della malattia epatica con morte correlata complessiva.
La co-infezione da epatite delta rappresenta ancora la peggiore forma di epatite nelle persone con HIV.
Per quanto riguarda le linee guida attuali, queste consigliano uno screening basato sul rischio per i pazienti con antigeni HBs positivi che mostrano fattori di rischio come HIV, abuso di droghe per via endovenosa, MSM o immigrati da paesi ad alta endemia, nonché individui con ALT elevata, DNA basso o non rilevabile per l’HBV.
A livello europeo viene raccomandato il test per l’epatite delta in tutte le persone con HIV positive per l’antigene HBs.
Le linee guida dell’EASL raccomandano anche di valutare almeno una volta tutte le persone con antigene HBs positivo. Tutte le linee guida raccomandano inoltre di eseguire test ripetuti se ci sono rischi persistenti.
Ricordiamo che il virus dell’epatite delta, HDV, è un virus molto particolare: si tratta infatti di un virus difettivo, che ha bisogno di una porzione di un altro virus, quello dell’epatite B, per poter entrare nell’epatocita e una volta all’interno della cellula epatica, replicarsi con delle modalità che coinvolgono gli enzimi cellulari.
Prevalenza di epatite delta in chi vive con l’HIV
L’epatite delta è stata oggetto di discussione fin dal 1988, quando in una pubblicazione furono esaminati 65 pazienti affetti da epatite B cronica per la co-infezione da epatite delta. Cinque di essi risultarono positivi, corrispondenti al 7,7%. È importante sottolineare che, riguardo al rischio di trasmissione, tre su cinque avevano fattori di rischio legati all’uso di droghe per via endovenosa.
Nel 2023, sono emersi dati significativi sulla prevalenza dell’epatite delta tra le coorti europee di persone con co-infezione da HIV e HBV.
Partendo dalla coorte Athena nei Paesi Bassi, ben consolidata e composta da persone con HIV, è emerso un tasso di infezione da epatite delta del 14%. Se consideriamo che ogni persona con HIV dovrebbe essere sottoposta a test, questo tasso risulta piuttosto basso.
In generale, nella coorte francese di persone con HIV, la prevalenza è stata del 15,6%. In particolare, si è osservata una prevalenza più elevata tra gli utilizzatori di droghe per via endovenosa e tra i pazienti co-infetti con epatite C.
La coorte Icona in Italia ha registrato un elevato tasso di screening, con una prevalenza ancora più alta, del 18,8%. È importante notare che più di due terzi di coloro con replicazione dell’RNA dell’epatite delta, noto per essere correlato alla progressione della malattia epatica, erano presenti nella coorte italiana.
I dati provenienti dalla coorte Switch fanno emergere una prevalenza simile, del 15,2%.
Inoltre, è emerso il più alto tasso di utilizzo di farmaci per via endovenosa tra gli utenti.
I dati provenienti da un’analisi retrospettiva dal Veterans Affairs Medical System degli Stati Uniti dei pazienti positivi all’antigene HBsAg tra il 2000 e il 2021 evidenziano 67.000 persone conosciute per essere positive all’antigene HBs, solo il 7% ha effettuato i test.
Ciò ha portato comunque a un numero piuttosto elevato di persone, pari a 158, e persino tra coloro che non hanno eseguito il test per l’antigene HBs, sono stati individuati 142 pazienti con contatto positivo per l’HDV.
Questo ha portato a un totale di 300 persone trovate positive per l’anti-HDV, di cui 297 hanno mostrato anche la replicazione dell’RNA dell’HDV. Ciò che è particolarmente interessante in questo contesto è l’analisi delle disparità nei test. È emerso che i partecipanti con maggiori probabilità di essere valutati erano quelli che ricevevano cure da un epatologo per l’epatite C.
Le persone con nota infezione da epatite C e co-infezione da HIV avevano meno probabilità di essere sottoposte al test. Questo è preoccupante, poiché è proprio in questo gruppo che è già osservato un rischio più elevato di progressione. Ciò significa che potrebbe esserci un numero maggiore di casi non diagnosticati che devono essere valutati.
Ulteriori dati evidenziano che la probabilità di avere una morte correlata al fegato aumenta quando si è positivi all’HDV.
Questo è stato osservato anche per la morte complessiva e la possibilità di sviluppare un carcinoma epocellulare. Considerando che la co-infezione da epatite delta nelle persone con HIV è associata a mortalità generale, morte correlata al fegato e sviluppo di HCC, nei dati riportati di recente dalla coorte Icona, follow-up di 5,1 anni, hanno anche esaminato gli eventi gravi correlati al fegato, definiti come scompenso epatico, sanguinamento varicoso, trapianto di fegato o HCC.
Hanno dimostrato che c’è un rischio molto più elevato per coloro che hanno un’infezione cronica da epatite D. Inoltre, i ricercatori italiani hanno scoperto che una soglia di RNA dell’epatite D inferiore a 1.000 unità internazionali è significativo per l’incidenza cumulativa di eventi gravi correlati al fegato. La co-infezione tripla da HBV, HCV e HDV ha avuto l’esito peggiore. Inoltre, avere un CD4 nadir inferiore a 200 sarebbe correlato negativamente con il rischio di un grave evento correlato al fegato.
Terapia
Per quanto riguarda il trattamento, l’interferone alfa è ancora raccomandato, ma le nuove linee guida europee indicano l’uso di bulevirtide in combinazione con TDF.
Questo farmaco blocca il recettore NTCP che permette l’ingresso dei virus HBV e HDV all’interno dell’epatocita. Viene somministrato alla dose di 2 mg sottocute al giorno insieme a TDF/TAF. È approvato in Europa ed in Italia è rimborsabile dallo scorso anno. Per ora non si conosce la durata ottimale del trattamento. Non è ancora raccomandato dalle lineeguida americane mentre è entrato nell’aggiornamento di quelle europee (EACS-EASL).
Un piccolo studio condotto in Francia presentato ad EASL 2023 ha valutato il trattamento con bulevirtide da solo o in combinazione con peg interfeone, coinvolgendo 38 persone con HIV, e 68 che avevano cirrosi.
Sia nell’analisi intention to treat che per protocol, si è registrata una buona risposta virale e una buona risposta combinata riguardo alla normalizzazione delle ALT.
Si attendono ulteriori dati a 96 settimane che verranno presentati a questo CROI.
Inoltre, dati provenienti da un programma di uso compassionevole in Italia, dove cinque persone con HIV e cirrosi epatica significativa e varici esofagee, oltre a un conteggio piastrinico inferiore a 100.000, hanno mostrato una buona risposta combinata al trattamento, pari al 60%, senza differenze significative rispetto alle persone senza HIV.
È importante sottolineare che è stata anche valutata la rigidità epatica, riscontrando una diminuzione.
Conclusioni
L’obiettivo principale nella futura gestione della co-infezione da HDV dovrebbe essere l’aumento della consapevolezza, lo screening per tutti i soggetti con co-infezione HBV/HIV e l’avvio del trattamento nelle persone con fibrosi significativa.
La sorveglianza dovrebbe essere eseguita con ecografia addominale ogni 6 mesi in pazienti con epatite cronica Delta con fibrosi avanzata o cirrosi, indipendentemente dal trattamento e i pazienti con cirrosi scompensata dovrebbero essere valutati per il trapianto di fegato. Inoltre, si dovrebbero sviluppare farmaci più facili da somministrare, possibilmente per via orale, per aumentare la compliance.
Kathrin van Bremen. Hepatitis Delta: What to Know, What to Do?University of Bonn, Bonn, GermanyCROI 2024