Festa del 25 aprile: dopo la cerimonia all’Altare della Patria, Mattarella è partito per Civitella in Val di Chiana, in provincia di Arezzo, per ricordare la strage del 29 giugno 1944
Questa mattina il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha deposto una corona d’alloro al sacello del Milite Ignoto all’Altare della Patria, a Roma, nell’ambito delle celebrazioni della festa della Liberazione. Una cerimonia differente, senza il consueto seguito di pubblico a causa del grande cantiere in piazza Venezia per la realizzazione della stazione della linea C della metropolitana della Capitale.
Insieme alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al presidente del Senato, Ignazio La Russa, al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, al presidente della Corte costituzionale, Augusto Barbera e al ministro della Difesa, Guido Crosetto, il capo dello Stato ha ricevuto gli onori del Reparto interforze delle Forze armate. Un momento di raccoglimento di fronte al Milite Ignoto, l’inno nazionale e il saluto alle autorità presenti, poi Mattarella è partito alla volta di Civitella in Val di Chiana, in provincia di Arezzo, per partecipare alla cerimonia in occasione del 25 aprile e rendere omaggio alle vittime della strage del 29 giugno del 1944.
“Il 25 aprile è per l’Italia una ricorrenza fondante: la festa della pace, della libertà ritrovata, e del ritorno nel novero delle nazioni democratiche. Quella pace e quella libertà che, trovando radici nella resistenza di un popolo contro la barbarie nazifascista, hanno prodotto la Costituzione repubblicana, in cui tutti possono riconoscersi, e che rappresenta garanzia di democrazia e di giustizia, di saldo diniego di ogni forma o principio di autoritarismo o totalitarismo”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo in occasione delle celebrazioni per il 25 aprile a Civitella in Val di Chiana, a ottant’anni dalla strage del 29 giugno del 1944.
“Aggiungo, utilizzando parole pronunciate da Aldo Moro nel 1975- ha proseguito Mattarella- che ‘intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico’”.
“5MILA STRAGI CRUDELI, LA PROPAGANDA FASCISTA NEGAVA L’INNEGABILE”
“All’infamia della strage di Marzabotto, la più grande compiuta in Italia, seguì un corollario altrettanto indegno: la propaganda fascista, sui giornali sottoposti a controlli e censure, negava l’innegabile, provando a smentire l’accaduto, cercando di definire false le notizie dell’eccidio e irridendo i testimoni. Occorre, oggi e in futuro, far memoria di quelle stragi e di quelle vittime e sono preziose le iniziative nazionali e regionali che la sorreggono. Senza memoria, non c’è futuro“. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo in occasione delle celebrazioni per il 25 aprile a Civitella in Val di Chiana, a ottant’anni dalla strage del 29 giugno del 1944.
Mattarella ha ricordato che “la magistratura militare e gli storici, dopo un difficile lavoro di ricerca durato decenni, hanno finora documentato sul territorio italiano 5mila crudeli e infami episodi di eccidi, rappresaglie, esecuzioni sommarie. Con queste barbare uccisioni, nella loro strategia di morte, i nazifascisti cercavano di fare terra bruciata attorno ai partigiani per proteggere la ritirata tedesca: cercavano di instaurare un regime di terrore nei confronti dei civili perché non si unissero ai partigiani, cercavano di operare vendette nei confronti di un popolo considerato inferiore da alleato e, dopo l’armistizio, traditore”.
Per il capo dello Stato “si trattò di gravissimi crimini di guerra, contrari a qualunque regola internazionale e all’onore militare e, ancor di più, ai principi di umanità. Nessuna ragione, militare o di qualunque altro genere, può infatti essere invocata per giustificare l’uccisione di ostaggi e di prigionieri inermi. I nazifascisti ne erano ben consapevoli: i corpi dei partigiani combattenti, catturati, torturati e giustiziati, dovevano rimanere esposti per giorni, come sinistro monito per la popolazione. Ma le stragi di civili cercavano di tenerle nascoste e occultate, le vittime sepolte o bruciate. Non si sa se per un senso intimo di vergogna e disonore o per evitare d’incorrere nei rigori di una futura giustizia, oppure, ancora, per non destare ulteriori sentimenti di rivolta tra gli italiani”.
“I PARTIGIANI FECERO USO DELLE ARMI PERCHÈ UN GIORNO TACESSERO”
“A differenza dei loro nemici, imbevuti del culto macabro della morte e della guerra, i patrioti della Resistenza fecero uso delle armi perché un giorno queste tacessero e il mondo fosse finalmente contrassegnato dalla pace, dalla libertà, dalla giustizia. Oggi, in un tempo di grande preoccupazione, segnato, in Europa e ai suoi confini, da aggressioni, guerre e violenze, confidiamo in quella speranza. E per questo va ribadito: viva la Liberazione, viva la libertà, viva la Repubblica”.