La competenza nell’inglese rimane una delle abilità più richieste nel mercato del lavoro. L’Italia, tuttavia, si colloca tra gli ultimi paesi nell’area dell’OCSE
Il bilinguismo non è soltanto un asset nel mondo del lavoro, ma una vera e propria conditio sine qua non.
Secondo un sondaggio dell’emittente americana CNN, la padronanza dell’inglese si posiziona tra le skills più richieste e a confermarlo è anche Cambridge Assessment English, i cui risultati parlano chiaro: il 96% delle imprese lo ritiene requisito fondamentale e il 64% lo considera un ingrediente chiave per avanzamenti di carriera.
Con più di 942 milioni di parlanti quotidiani, la lingua inglese si conferma come la chiave d’accesso a nuove sfide globali e anche le aziende italiane, sempre più inserite in contesti internazionali, richiedono competenze linguistiche in inglese per la comunicazione con clienti, partner e colleghi, nonché per accedere a risorse e opportunità al di là dei confini.
Ciononostante, la richiesta non è adeguatamente soddisfatta dalla forza lavoro attuale, in quanto solo un neodiplomato italiano su 5 possiede competenze linguistiche sufficienti.
A evidenziare il divario è anche un rapporto dell’Osservatorio Cultura Lavoro, che colloca il nostro Paese al 30° posto su 34 per quanto riguarda l’apprendimento dell’inglese, a cui si sommano previsioni allarmanti del British Council: nel 2025 le comunicazioni in inglese cresceranno ancora, ma a studiare la lingua saranno molte meno persone.
Questa tendenza preoccupante per il futuro ha quindi fatto emergere l’importanza di approcci innovativi all’apprendimento linguistico, prendendo spunto da metodi scientifici come il simulare il naturale processo di apprendimento dei bambini, consentendo a chiunque di avvicinarsi alla lingua inglese indipendentemente dall’età o dal presunto talento linguistico.
“Grazie alla padronanza della lingua inglese – spiega il poliglotta Fabio Maccagnan, fondatore del Metodo Toddler – è possibile superare le barriere linguistiche e acquisire competenze necessarie per eccellere nel mondo del lavoro, risolvendo così il problema dell’inglese sul posto di lavoro”.
Basato su oltre 70 anni di ricerche scientifiche, il metodo sfrutta quattro principi cardine e due shortcuts (scorciatoie), ritenuti ingredienti fondamentali per parlare una lingua straniera nel minor tempo possibile.
“Uno dei limiti più grandi che chi vuole imparare l’inglese (soprattutto in ambito lavorativo) si trova a dover affrontare è il classico studio della grammatica, responsabile di abbandoni dello studio e scarsa fluidità nel parlato, che è invece la vera essenza di ogni lingua.
Il metodo Toddler si compone invece di lezioni che hanno un solo obiettivo: insegnare a parlare e capire l’inglese il più velocemente possibile, iniziando a migliorare pronuncia e comprensione sin dall’approccio iniziale.
Per riuscirci, si utilizzano quattro principi cardine e il primo, quello dei feedback, aiuta a creare le prime frasi e a ricevere i feedback da un madrelingua pronto a capire l’errore e a supportare nel miglioramento della pronuncia. Questo momento – racconta l’esperto e poliglotta Fabio Maccagnan – reincarna il feedback che un genitore dà al bambino durante l’apprendimento nei primi anni di vita.
Il secondo principio è l’utilizzo di parole comuni, che costituiscono il 94.1% della lingua parlata e aiutano lo studente a creare frasi già dal primo giorno di lezione.
L’interazione a voce alta, obiettivo del terzo principio, aiuterà quindi lo studente ad attivare l’area di Wernicke e di Broca, ovvero aree del cervello che ci permettono di imparare sempre più lingue; è fondamentale per migliorare le competenze di parlato quotidiano e ricalca l’approccio pratico dei bambini, che provano a parlare nonostante non conoscano regola grammaticali.
Il quarto e ultimo principio, invece, include la ripetizione spaziata, ovvero l’inserimento di frasi ripetute all’interno del corso in modo sequenziale, per costringere la mente ad assorbirne la forma e pronuncia, in modo inconscio”.
Puntare sul lavoro linguistico attivo, riducendo l’apprendimento passivo (come le serie sottotitolate), grammatica o liste di parole, risulta come uno dei metodi più efficaci anche grazie a due scorciatoie, veri e propri trucchi di memorizzazione, “per associare ogni parola a un’immagine, così da velocizzare il processo di memorizzazione, e l’utilizzo di gruppi di parole, in quanto il vocabolario inglese conta ben 30.058 parole di origine latina. Riuscendo a cambiare il finale e adattando la pronuncia, lo studente sarà in grado di trasformare vocaboli italiani in termini inglesi in modo rapido e intuitivo”, conclude Maccagnan.
Un investimento, lo studio della lingua inglese, indispensabile sotto il profilo professionale: a riconoscerla come lingua del futuro sono proprio i governi europei, che hanno indicato come prioritario il raggiungimento di alti standard per accedere a tutte le opportunità del mondo del lavoro.