Minor rischio tumori ma maggior rischio cardiovascolare per le donne che assumono integratori di calcio e vitamina D per molti anni
Secondo i dati relativi a due decenni della Women’s Health Initiative (WHI), le donne che assumono integratori di calcio e vitamina D per molti anni possono, a lungo termine, effettivamente vedono un minor rischio di morte per cancro ma, nello stesso arco temporale, si è registrato un piccolo ma significativo aumento del rischio di morte per malattie cardiovascolari. I risultati sono stati pubblicati sugli “Annals of Internal Medicine”.
È importante mantenere i risultati in prospettiva, secondo gli autori dello studio, guidati da Cynthia A. Thomson, dell’Università dell’Arizona, a Tucson. «Dobbiamo solo ricordare che questa è un’analisi post hoc di uno studio clinico» sottolineano, aggiungendo che quando lo studio è stato progettato per la prima volta nei primi anni ’90, anche il concetto di «calcificazione dell’arteria coronaria era agli inizi».
I nuovi risultati si uniscono a una lunga serie di dati che tracciano un legame tra gli integratori di calcio e l’aterosclerosi, con alcune prove che suggeriscono che il meccanismo è correlato all’aumento della calcificazione delle arterie coronarie. Sebbene sembri che gli integratori di calcio siano relativamente sicuri, è anche improbabile che forniscano i benefici cardiovascolari che molte persone si aspettano. Mancano anche prove a favore degli integratori di vitamina D.
I dettagli dell’analisi: metodi e risultati
Per il WHI, i ricercatori hanno randomizzato 36.282 donne in postmenopausa senza storia di cancro al seno o al colon-retto a ricevere placebo o 1.000 mg di carbonato di calcio (400 mg di calcio elementare) più 400 UI di vitamina D3 assunti in mezze dosi due volte al giorno per un periodo medio di 7 anni.
Sia i dati dello studio principale che un rapporto successivo che esaminava ciò che era accaduto 5 anni dopo l’interruzione dell’intervento hanno mostrato risultati «in gran parte nulli», fanno notare Thomson e colleghi, anche se c’erano alcuni segni di differenze di sopravvivenza.
Questa analisi, con un follow-up cumulativo mediano di 22,3 anni, ha mostrato un aumento del 6% della mortalità per malattie cardiovascolari ma una diminuzione del 7% della mortalità per cancro. Non c’era alcun legame tra l’uso di integratori e la mortalità per tutte le cause.
I ricercatori hanno poi stratificato le donne in base al fatto che avessero assunto supplementi di calcio/vitamina D3 prima dell’ingresso nello studio. Coloro che avevano riferito l’uso di integratori hanno avuto una maggiore mortalità cardiovascolare quando randomizzati a calcio/vitamina D3 rispetto al braccio placebo (HR 1,09; IC 95% 1,02-1,16). Questa differenza di rischio tra i bracci dello studio non è stata osservata nelle donne che non avevano assunto integratori prima dello studio; questo dato, secondo i ricercatori, forse riflette il tempo che occorre perché la CVD si sviluppi.
Le implicazioni cliniche
Per quanto riguarda il motivo per cui il loro studio, contrariamente ai precedenti, ha scoperto un potenziale segnale, «può essere dovuto al fatto che occorrono molte donne che assumono integratori per molto tempo, e che l’effetto è piccolo» secondo Thomson e colleghi i quali, inoltre, sottolineano che il rapporto rischio-beneficio varia da individuo a individuo.
I medici che trattano pazienti note per avere depositi di calcio nelle arterie coronarie, per esempio, potrebbero «riconsiderare la loro integrazione di calcio e assicurarsi che non sia eccessiva» suggeriscono. Qualcuna con una storia familiare di cancro del colon-retto, d’altra parte, potrebbe decidere che vale la pena assumere calcio e vitamina D, anche se di conseguenza c’è un leggero aumento del rischio cardiovascolare. Per le persone con più fattori di rischio concorrenti, ciò che ha più senso, osservano gli autori, è ‘sbagliare’ per eccesso di cautela: se assumono integratori, dovrebbero assumere solo quantità che non superino i livelli raccomandati.
La prosecuzione del WHI
Sono passati 30 anni da quando è stata arruolata la prima donna in questi studi. La maggior parte della ricerca è ora finanziata in cicli di 5 anni, ma «non si troverà mai questo tipo di rischio in 5 anni, perché non c’è abbastanza dose per un periodo abbastanza lungo da far sì che si svolgano i processi fisiologici» osservano Thomson e colleghi, aggiungendo che gli sperimentatori e i finanziatori devono essere aperti fin dall’inizio alla progettazione di studi in grado di cogliere come la malattia si evolva nel corso dei decenni.
E a differenza del Nurses’ Health Study e di altri studi osservazionali, con il disegno randomizzato del WHI, «abbiamo avuto il vantaggio di sapere in modo più specifico quale fosse la loro effettiva esposizione, in particolare durante quel periodo di prova, e abbiamo giudicato i risultati». È stato importante aver avuto «l’integrità scientifica per poter studiare un gruppo di donne davvero ben caratterizzato per 30 anni» osservano Thomson e coautori.
Sebbene il WHI originale si sia concluso nel 2005, gli studi di estensione in corso hanno continuato a misurare aspetti come la funzione, la vista, l’udito e altre metriche di salute.
Fonte:
Thomson CA, Aragaki AK, Prentice RL, et al. Long-Term Effect of Randomization to Calcium and Vitamin D Supplementation on Health in Older Women : Postintervention Follow-up of a Randomized Clinical Trial. Ann Intern Med. 2024 Mar 12. doi: 10.7326/M23-2598. Epub ahead of print. leggi