Oncologia: in Emilia-Romagna migliora accesso a terapia con radioligandi


Oncologia di precisione: la sfida è definire i percorsi e i modelli organizzativi migliori per garantire l’accessibilità e sostenibilità della terapia con radioligandi

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Definire i percorsi e i modelli organizzativi migliori per garantire l’accessibilità e sostenibilità della terapia con radioligandi (RLT), una nuova frontiera dell’oncologia di precisione. È una necessità impellente e lo si sta già facendo in Emilia-Romagna, all’interno del progetto ‘Make RLT Reality’, realizzato da Advanced Accelerator Applications (AdAcAp), azienda del Gruppo Novartis, in collaborazione con Edra S.p.A.

Nel prossimo futuro, infatti, con l’arrivo di una nuova indicazione della RLT, per il carcinoma della prostata resistente alla castrazione metastatico (mCRPC) – indicazione già autorizzata dall’Ema, e che va ad aggiungersi a quella già esistente per i tumori neuroendocrini (NET) – la platea di pazienti che potrebbero beneficiare di questo approccio innovativo è destinata ad aumentare. Il sistema, dunque, deve prepararsi a fronteggiare un maggior numero di richieste di accesso a questa terapia, che potrebbe arrivare già nel corso del 2024, e non farsi cogliere impreparato.

Nello specifico, il progetto ‘Make RLT Reality’ prevede otto appuntamenti con amministratori, manager della sanità pubblica e stakeholder in otto Regioni italiane, impegnati a tracciare una ‘road map’ per migliorare gli assetti organizzativi regionali e portare la RLT nella pratica clinica, rendendola fruibile a tutti i pazienti che la necessitano. Gli incontri si sono già tenuti in alcune delle Regioni partecipanti, tra cui, appunto l’ Emilia-Romagna.

La RLT
La RLT è un nuovo approccio per la cura delle neoplasie, basato su radiofarmaci a uso diagnostico e terapeutico, in grado di riconoscere selettivamente le cellule tumorali ed eliminarle limitando gli effetti collaterali. Può essere considerata un’evoluzione della medicina nucleare, grazie alla quale il momento della diagnosi e quello della terapia si integrano sequenzialmente.

È un trattamento preciso e personalizzato, perché colpisce in modo selettivo le cellule malate offrendo a ogni paziente un farmaco per il quale viene attivata una catena organizzativa che ne garantisce la consegna non oltre le 120 ore dalla produzione.

L’Emilia-Romagna e il progetto ‘Make RLT Reality’
L’Emilia-Romagna è stata considerata fino ad oggi una tra le Regioni italiane all’avanguardia nel campo della RLT, grazie alla presenza sul territorio regionale di quattro centri di altissima specializzazione, dall’IRST ‘Dino Amadori’ di Meldola all’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola, dall’IRCCS di Reggio Emilia all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, realtà che attraggono pazienti anche fuori dal territorio regionale. A questi, si aggiunge una rete di altri centri specializzati nella diagnostica medico-nucleare, che erogano prestazioni di PET con traccianti quali il PSMA o il DOTATOC, indispensabili per avviare il paziente al percorso della RLT.

Delineare i percorsi da mettere in atto per la corretta e migliore gestione della RLT sul territorio regionale e fare il punto sulla situazione dei centri per l’oncologia di precisione e la terapia con radioligandi nella Regione Emilia-Romagna erano gli obiettivi del tavolo tecnico che si è svolto a Bologna nell’ambito del progetto ‘Make RLT Reality’.

All’incontro, accanto a Mattia Altini, Responsabile Assistenza Ospedaliera Regione Emilia-Romagna, erano presenti Stefano Fanti, Direttore della Medicina Nucleare del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, Valentina Di Iorio, Radio farmacista dell’IRST “Dino Amadori” di Meldola, Giuseppe Longo, Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena e Coordinatore del Gruppo Regionale Farmaci Oncologici (GREFO), Lorenzo Maffioli, Direttore Generale dell’IRST “Dino Amadori” di Meldola, Federica Matteucci, Direttore della Medicina Nucleare dell’IRST “Dino Amadori” di Meldola & Medicina Nucleare dell’AUSL Romagna, Carmine Pinto, Direttore della Struttura Complessa dell’Oncologia Medica Provinciale dell’AUSL-IRCCS di Reggio Emilia e Lidia Strigari, Direttore della Fisica Medica del Policlinico di Sant’Orsola di Bologna.

Emilia-Romagna pronta a raccogliere le sfide organizzative
«I temi trattati dimostrano che la medicina nucleare possiede un grande potenziale innovativo», ha dichiarato Altini. «Stiamo assistendo a una significativa evoluzione del sistema, che apre prospettive importanti per l’utilizzo di questa terapia per il trattamento di un numero sempre crescente di patologie».

«L’Emilia-Romagna è pronta a raccogliere le sfide organizzative che si aprono con queste nuove frontiere di terapia. In particolare, riteniamo che sarà fondamentale favorire l’ulteriore sviluppo dei centri di eccellenza nella ricerca e nell’innovazione tecnologica già presenti in Emilia-Romagna e il loro inserimento sempre maggiore nella Rete Oncologica Regionale. Inoltre, sarà necessario tenere conto dell’impatto economico di queste terapie nell’allocazione delle risorse nei budget regionali e soprattutto, a monte, nei fondi che verranno messi a disposizione da parte del fondo sanitario nazionale», ha aggiunto.

Prepararsi a fronteggiare l’aumento della domanda di RLT
Da parte loro, gli specialisti oncologi e medici di medicina nucleare presenti al tavolo tecnico hanno sottolineato come sia necessario intervenire al più presto per prepararsi a fronteggiare l’aumento della domanda di accesso alla RLT al quale si assisterà già nel 2024, quando questo approccio prevedibilmente potrà essere impiegato anche per la cura del tumore della prostata, oltre che dei NET. Nella sola Regione Emilia-Romagna si stimano circa 200 nuovi pazienti l’anno potenziali beneficiari della RLT, senza considerare le possibili difficoltà per le liste d’attesa.

«Qualora la domanda dovesse aumentare in modo esponenziale, diventerebbe necessario rivedere l’intera gestione dei pazienti; la possibilità di lavorare in regime di day hospital o ambulatoriale potrebbe essere utile anche ad attutire i costi e a garantire quindi un migliore accesso alle cure», ha detto Fanti, facendosi portavoce dei colleghi su queste tematiche.

Implementare l’organizzazione del sistema attraverso la Rete Oncologica Regionale
Lo specialista ha voluto sensibilizzare sul rischio che gli attuali reparti con degenza protetta, non siano più sufficienti quando l’RLT sarà estesa anche ai pazienti affetti da cancro alla prostata. «In primo luogo, è necessario implementare ulteriormente l’organizzazione del sistema, avvalendosi della Rete Oncologica Regionale, ufficializzata un anno fa. Da questo punto di vista l’RLT potrebbe rappresentare il primo vero test, portando alla creazione di un Team Multidisciplinare Regionale per la presa in carico del paziente, di Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA) regionali e di un Registro dei pazienti sottoposti alla terapia. In questo modo, l’Emilia-Romagna si proporrebbe a pieno titolo come un modello di riferimento per tutte le Regioni che non hanno expertise specifica per la somministrazione della RLT, come quelle del versante adriatico».

Prossimamente, infatti, quando l’impiego della RLT per il tumore della prostata sarà autorizzato anche in Italia e rimborsato dal Sistema sanitario nazionale, potrebbe configurarsi un problema di mobilità tra Regioni, se non tutte si saranno organizzate adeguatamente. «Sotto questo profilo, l’Emilia Romagna è una Regione attrattiva, in termini di mobilità in entrata. Tuttavia, a fronte di una situazione logistica che per ora è buona, sì, ma non sovradimensionata, e del fatto che la RLT al momento non è ancora rimborsata per il tumore della prostata, ma dovrebbe esserlo a breve, in futuro per noi potrebbe essere un problema ricevere pazienti da altre Regioni; ovviamente, il nostro Sistema sanitario nazionale deve tenere conto di questa prospettiva», ha sottolineato Fanti in un’intervista a PharmaStar.

Promuovere la mobilità tra Regioni, ma anche  la creazione di centri attrezzati
«In Italia abbiamo una buona tradizione sulla RLT anche in altre Regioni, oltre all’Emilia Romagna: anche in Lombardia, Campania e Sicilia, per citarne alcune; ma è altrettanto vero che altre aree hanno una copertura di centri per l’RLT e una disponibilità di posti letto idonei per somministrare questa terapia insufficienti», ha precisato lo specialista.

Pertanto, ha proseguito Fanti, «occorre promuovere la creazione di questi centri anche nelle Regioni dove non ce ne sono, o sono pochi, e, quantomeno in una fase iniziale, favorire lo spostamento dei pazienti, perché la costruzione e attivazione di un reparto di degenza protetta (necessario per la somministrazione di farmaci radioattivi come i radioligandi, ndr) è qualcosa di molto articolato, che richiede tempo e non si può fare semplicemente dalla sera alla mattina: per esempio, servono vasche per il controllo degli scarichi e serve personale, adeguatamente formato».

«Delineare un patient journey preciso»
Durante l’incontro, nella realtà dell’Emilia-Romagna Carmine Pinto ha messo l’accento sulla necessità di «delineare un patient journey preciso, tramite la condivisione di processi e criteri di accesso e di appropriatezza prescrittiva che dovranno essere omogenei a livello regionale e aggiornati periodicamente. Un compito – ha detto l’oncologo – che può essere svolto efficacemente solo dal GOM (Gruppo Oncologico Multidisciplinare), insieme ai colleghi della Medicina Nucleare».
Infine, Giuseppe Longo ha ribadito che «sarà utile avere un PDTA regionale per facilitare l’accesso alla terapia».

Le misure proposte
A conclusione del tavolo, questa la proposta delle misure da adottare affinché i centri dell’Emilia-Romagna non si trovino impreparati di fronte alla crescente domanda di RLT:
• istituire un PDTA che renda omogeneo il patient journey a livello regionale e un registro dei pazienti immessi nel percorso terapeutico;
• razionalizzare le risorse umane, incentivando meccanismi di task-shifting;
• nell’ottica della somministrazione in regime ambulatoriale, individuare eventuali posti letto destinati alla gestione delle urgenze;
• considerare il prevedibile aumento della platea, che potrebbe superare l’attuale capacità del sistema regionale;
• risolvere il problema della mobilità sanitaria tra Regioni;
• usare la ricerca in modo produttivo, obiettivo ritenuto raggiungibile grazie alle strutture di eccellenza presenti in Emilia-Romagna;
• infine, rivedere la programmazione del budget sanitario, alla luce delle innovazioni in arrivo.
Una serie di provvedimenti che, almeno in parte, potrebbero essere validi anche su scala nazionale e che costituiscono le basi portanti di un modello organizzativo condivisibile ed esportabile ad altre realtà regionali.