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Bpco: i pazienti che vivono in montagna hanno prestazioni funzionali peggiori

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I pazienti con Bpco che vivono in montagna si connotano per prestazioni funzionali peggiori rispetto a quelli che vivono più vicino al livello del mare

I pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) che vivono ad alta quota si connotano per prestazioni funzionali peggiori rispetto a quelli che vivono più vicino al livello del mare. Questi i risultati di uno studio recentemente pubblicato su the American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine.

Razionale e obiettivi dello studio
Gli individui affetti da Bpco presentano, come è noto, un’ostruzione del flusso aereo e una cattiva distribuzione della ventilazione. Per coloro che vivono ad alta quota, qualsiasi anomalia degli scambi gassosi è aggravata dalle ridotte pressioni parziali dell’ossigeno inspirato.

L’obiettivo del nuovo studio è stato quello di verificare il possibile impatto della residenza ad alta quota sugli outcome legati alla Bpco, tra cui la funzione polmonare, alcune caratteristiche all’ imaging, i sintomi, lo stato di salute, la capacità di esercizio funzionale, le esacerbazioni o la mortalità.

Disegno dello studio
I ricercatori hanno analizzato i dati dello studio prospettico SPIROMICS (SubPopulation and InteRmediate Outcome Measures in COPD Study), attualmente in corso in 12 siti dislocati sul territorio degli Usa.
I componenti di questa coorte sono persone con e senza Bpco, di età compresa tra i 40 e gli 80 anni, e comprendono individui che non hanno mai fumato e quelli che hanno fumato almeno 20 pacchetti di sigarette nel corso della loro vita.

L’analisi condotta nello studio pubblicato ha valutato un sottogruppo di partecipanti con un rapporto FEV/FVC inferiore a 0,70 durante l’esame spirometrico al basale e che risiedevano in una località ad un’altitudine inferiore a 305 m o superiore a 1219 m.

I partecipanti allo studio sono stati sottoposti ad una visita al reclutamento e ad un massimo di 3 visite annuali di follow-up, che comprendevano la somministrazione di questionari, l’effettuazione della spirometria e misurazioni della distanza percorsa al del cammino di 6 minuti (6MWD). È stato utilizzato un modello di regressione per valutare l’associazione tra l’esposizione all’alta quota e gli outcome di malattia osservati.
L’analisi ha incluso 1.655 partecipanti (residenti ad alta quota, n=288; residenti a bassa quota, n=1.367). I membri del gruppo ad alta quota risiedevano ad un’altitudine mediana di 1.379 m, rispetto a quelli del gruppo a bassa quota, la cui altitudine mediana era di 116 m. L’età media era pari a 65 anni nel gruppo ad alta quota e a 66 anni nel gruppo a bassa quota.

Gli individui residenti ad un’altitudine superiore rispetto a quelli che vivevano ad un’altitudine inferiore erano più frequentemente di sesso maschile (63% vs 56%) e di etnia Caucasica (93% vs 78%), e meno frequentemente presentavano una storia di asma (17% vs 26%).

Risultati principali
L’analisi multivariabile ha mostrato che la residenza ad alta quota era associata ad una riduzione della capacità all’esercizio. I soggetti del gruppo ad alta quota si caratterizzavano per una distanza percorsa al test 6MWD più breve di 32,3 metri, in media (P <0,01) e per una probabilità maggiore di andare incontro a desaturazione di ossigeno (diminuzione ≥4% della saturazione di ossigeno [SpO2]) durante il test 6MWT.

La residenza in alta quota è risultata associata anche ad outcome peggiori relativi all’ossigenazione. Non sono state osservate differenze legate all’altitudine nei sintomi o nello stato di salute auto-riferiti, in base al punteggio della dispnea del Medical Research Council modificato, al punteggio del COPD Assessment Test e al St George’s Respiratory Questionnaire (SGRQ).

Dopo aver aggiustato i dati per la presenza di fattori confondenti rilevanti, la residenza ad alta quota, rispetto a quella a bassa quota, è risultata associata ad un rapporto di incidenza annuale (IRR) pari a 0,65 (P <0,01) per le esacerbazioni gravi ma non per le esacerbazioni totali (IRR: 0,85; P =0,17).

Non è stata riscontrata alcuna differenza correlata all’altitudine relativa ai tassi medi annualizzati di variazione di FEV1 (P =0,55) o della distanza percorsa al test 6MWD (P =0,37).  Inoltre, gli individui che risiedevano ad alta quota hanno mostrato un peggioramento numericamente maggiore dello stato di salute in base all’aumento dei punteggi totali SGRQ nel tempo (P <0,01).

Da ultimo, dopo aggiustamento dei dati per la presenza di fattori confondenti, l’ analisi di sopravvivenza ha documentato un hazard ratio pari 1,25 (IC95%: 1,0-1,55, P =0,04) per la residenza a un’altitudine maggiore.
Tuttavia, correggendo ulteriormente i dati per la presenza di inquinamento atmosferico, l’altitudine non è risultata associata alla mortalità (HR: 1,03; IC95%: 0,77-1,37; P =0,85).

Riassumendo
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso, tra i limiti del lavoro, il disegno dello studio di coorte e la presenza di possibili fattori confondenti non misurati. Inoltre, la maggior parte degli individui che vivevano ad alta quota proveniva solo da 2 centri (rendendo impossibile la generalizzazione dei risultati), mentre l’analisi longitudinale non è stata in grado di controllare le variazioni dell’esposizione all’altitudine dopo l’arruolamento, l’abitudine al fumo e l’inquinamento atmosferico.

Ciò detto, nel complesso lo studio ha dimostrato che la residenza stabile ad alta quota si associa ad un peggioramento degli outcome funzionali nei pazienti con Bpco, anche se ciò non si è tradotto in differenze relative alla sintomatologia auto-riferita, scrivono i ricercatori nelle conclusioni del lavoro. Anche in questo caso è stata dimostrata l’associazione con una mortalità più elevata; la forza di questa associazione, tuttavia, si è attenuata dopo aggiustamento dei dati dovuto al controllo dell’inquinamento.

Bibliografia
Suri R et al. The effect of chronic altitude exposure on COPD outcomes in the SPIROMICS cohort. Am J Respir Crit Care Med. Published online March 20, 2024. doi:10.1164/rccm.202310-1965OC
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