Giulia Cotterli con la sua prima mostra personale romana a Casa Vuota, in via Maia 12 al Quadraro. La mostra si intitola Ritorno alle origini
La famiglia, reale o inventata, è una storia tutta da scoprire, da ricostruire e da raccontare per Giulia Cotterli, che presenta il suo Ritorno alle origini in forma di mostra a Casa Vuota a Roma (via Maia 12), con la cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo e un testo critico di Osservatorio Futura (Francesca Disconzi e Federico Palumbo).
La personale si può visitare fino al 30 giugno 2024, prenotando un appuntamento ai numeri 3928918793 o 3284615638 oppure all’email vuotacasa@gmail.com.
Per anni Giulia Cotterli si è concentrata su una ricerca volta a interrogare il suo cognome paterno, che ha sempre significato per lei per molto poco perché il padre è stato adottato. A partire da scarni elementi anagrafici, l’artista ha cercato di ricostruire, tramite le sue opere, una storia familiare immaginaria, di avi inventati e provenienze ipotetiche. «Pensavo – racconta Cotterli – che, recuperando quello che non avevo mai potuto avere, avrei scoperto realmente chi sono, dando per scontato di sapere tutto sulla mia famiglia materna». Per la mostra di Casa Vuota, invece, il punto focale della sua attenzione cambia. Il Ritorno alle origini evocato dal titolo è, stavolta, un’immersione nella storia della sua famiglia materna, narrata con gli strumenti della scultura, della pittura, del disegno e dell’installazione, a partire da una vacanza trascorsa a casa dei nonni a Sermoneta, in provincia di Latina, nell’estate del 2023.
«Nelle stanze di Casa Vuota – scrivono Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo – Giulia Cotterli porta la terra della campagna dove i genitori di sua madre vivono, reinventandola come elemento commestibile, impastato di farina, olio, acqua e cacao. Evoca il duro lavoro che esige per coltivarla, i sacrifici e gli scontri per il suo possesso, l’inizio e la fine, con lo stupore fiabesco dei giochi infantili, che trasformano gli ortaggi seminati dal nonno in sculture di stoffa che vivono in un tempo interiore slegato dal ciclo delle stagioni. In questa terra e nella casa che da generazioni su di essa si poggia l’artista si immerge, tra autobiografia e straniamento, specchiandosi nell’immagine di sé bambina e riecheggiando storie da sempre conosciute ma mai ascoltante con attenzione».
Intorno a questo orto domestico coltivato nelle stanze di Casa Vuota, si dispiega un romanzo familiare per immagini. «Disegni e tele – spiega Giulia Cotterli – raccontano storie che parlano di amore, tradizioni, occasioni perse, litigi e dolore. Passato e presente si mescolano: il confine tra ciò che sono le mie memorie e quelle dei miei nonni è labile, il passaggio dall’interno all’esterno della mia persona è mescolato. Il tema centrale è la ricerca identitaria, la memoria come fondamento dell’essere e la famiglia come incubatrice della personalità».
«Il lavoro di Cotterli – scrivono Francesca Disconzi e Federico Palumbo di Osservatorio Futura – parte da un microcosmo personale fatto di ricordi in grado di occupare uno spazio denso e tangibile, da cui l’artista può attingere materia da riplasmare. In questo processo, l’immaginazione ha il grande compito di colmare i vuoti dell’irrisolto e del rimosso, producendo un racconto verosimile e articolato, in bilico tra il dato oggettivo e l’immaginifico. Cotterli si muove su di un filo teso tra il personale e il collettivo: la storia della sua famiglia materna, filtrata dalla memoria personale e dai racconti della nonna, è in realtà una narrazione dell’Italia rurale novecentesca. Sullo sfondo della Storia, costellata di vicende terribili come l’ascesa del Fascismo, si librano con leggerezza le storie dei personaggi; esse vengono tramandate come si tramanda una tradizione: attraverso gesti semplici e quotidiani, scanditi da un tempo lontano dalla frenesia cittadina e più vicini al flusso naturale e vitale. Attraverso il filtro della memoria anche lo spazio in cui si districano le dinamiche familiari diventa un Eden privo di tracce antropiche, salvo la casa e l’orto del nonno».
«Mi sono posta come uno spettatore esterno che guarda e studia la vita di qualcun altro», dichiara Giulia Cotterli. «La mostra si compone di alcune di queste storie, mischiate con frammenti di aneddoti e con gli stati d’animo dei miei nonni. Tre sculture in cartapesta evocano gli oggetti che hanno accompagnato mia nonna in vent’anni di convivenza nella casa in campagna con mio nonno: la sediolina dove sedeva per cucire, ricamare e lavorare a maglia, i calzettoni di lana che faceva per tutta la famiglia, secondo una tradizione familiare tramandatale da sua madre, e il telefono, la sua vera ancora, il mezzo con il quale mettersi in contatto con la famiglia mentre passava lì su le sue giornate».
Vite, storie e legami si radicano nella terra e alla terra sempre riportano. «La terra, intesa sia come luogo di appartenenza ma anche come elemento organico dalla quale nasce la vita e sulla quale si può costruire, è uno degli elementi centrali all’interno della mostra», secondo Cotterli, che traccia per gli spettatori «una sorta di mappa del tesoro» fatta di «disegni di piante e funghi, di racconti, di giornate passate all’ombra di un albero e sensazioni scaturite dalla brezza estiva». È il suo modo di immaginare quel «posto sicuro» che si fa, per i curatori, «proiezione ideale di una casa anelata e ritrovata all’interno della casa dell’arte».
Giulia Cotterli (www.giuliacotterli.com) è nata a Latina nel 1994 e vive a Torino. Si è diplomata in Arti Visive Contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Urbino. La sua ricerca si sviluppa attorno al tema della memoria, con particolare attenzione all’elemento autobiografico. Ritorno alle origini a Casa Vuota a Roma nel 2024 è la sua seconda mostra personale, dopo Ho fottuto le stelle (?) tenutasi alla Galleria Moitre di Torino nel 2022 a cura di Federico Palumbo. Ha partecipato a diverse mostre collettive, tra le quali Biennolo – Talitha Kum curata da Giacinto di Pietrantonio nello spazio Mosso di Milano The Clown Sprit – the traveling exhibition curata da Joanna De Vos alla Galleria Mucciaccia di Roma e Antropomachie a cura di Ado Brandimarte al Palazzo dei Capitani del Popolo di Ascoli piceno. È cofondatrice del progetto editoriale Zuper.