L’inizio precoce di un trattamento con dapagliflozin durante il ricovero per insufficienza cardiaca acuta non aumenta la decongestione
Nello studio DICTATE-AHF – i cui risultati sono stati pubblicati sul “Journal of American College of Cardiology” – si dimostra che l’inizio precoce di un trattamento con dapagliflozin durante il ricovero per insufficienza cardiaca acuta non aumenta la decongestione, anche se sembra ridurre le dosi di diuretico dell’ansa e aumentare la diuresi rispetto alle cure abituali.
L’efficienza diuretica – variazione cumulativa del peso per dose cumulativa di diuretico dell’ansa – non è risultata significativamente migliore con l’inibitore SGLT2 (SGLT2i) rispetto alla titolazione diuretica standard (OR 0,65, IC 95% 0,41-1,02, P = 0,06), riportano i ricercatori, guidati da Zachary Cox, del Lipscomb University College of Pharmacy di Nashville, Tennessee.
Tuttavia, i pazienti trattati con dapagliflozin nello studio in aperto hanno avuto tali effetti a dosi di diuretico dell’ansa più basse (560 vs 800 mg, P=0,006) e con un minor numero di titolazioni di diuretici per via endovenosa (P</=0,05).
Inoltre, la strategia di inizio del trattamento con dapagliflozin entro 24 ore dal ricovero in ospedale è apparsa sicura, senza eccessi di eventi di sicurezza diabetica, renale o cardiovascolare, sottolineano i ricercatori. Nonostante i risultati neutri per l’endpoint primario, «i risultati di sicurezza dovrebbero incoraggiare l’uso precoce in ospedale, che può tradursi in un miglioramento della prescrizione cronica di SGLT2i, dell’aderenza e dei benefici a lungo termine» scrivono Cox e colleghi.
Che cosa dicono le linee guida
L’inizio del trattamento in ospedale degli inibitori SGLT2 raggiunge solo circa il 20% dei pazienti eleggibili con scompenso cardiaco acuto a causa in gran parte di problemi di sicurezza, precisano Cox e colleghi. Infatti, «le linee guida di endocrinologia e gli esperti internazionali di sconsigliano l’uso routinario di SGLT2i durante il ricovero, sollevando preoccupazioni per l’aumento dei rischi di infezioni genito-urinarie, chetoacidosi e danno renale acuto».
L’evidenza degli studi clinici è forte per l’uso degli inibitori SGLT2 nello scompenso cardiaco cronico e per l’inizio del trattamento in ospedale con scompenso cardiaco acuto, osservano Maria Rosa Costanzo, del Midwest Cardiovascular Institute di Naperville, Illinois, e James Januzzi, del Massachusetts General Hospital e dell’Università di Harvard a Boston, in un editoriale di commento.
Con precedenti prove da studi, «il motivo per cui il trattamento con un SGLT2i dovrebbe essere iniziato durante il ricovero che il trattamento è sicuro e facilita l’aderenza» specificano. Questo studio conferma risultati simili dello studio pilota con l’altro inibitore SGLT2 empagliflozin, aggiungendo il razionale della riduzione delle dosi per endovena di diuretici dell’ansa, che secondo Costanzo e Januzzi può attenuare il contributo al «circolo vizioso dell’attivazione neuro-ormonale che accelera la progressione dell’insufficienza cardio-renale»
Inoltre, «gli effetti di questi farmaci vanno ben oltre una maggiore decongestione: gli inibitori SGLT2 producono benefici distinti sulla progressione della cardiomiopatia e della nefropatia» con comprovati benefici a lungo termine sugli esiti, scrivono gli editorialisti.
Tuttavia, Costanzo e Januzzi mettono in guardia sui limiti dello studio che non possono essere trascurati. «Dei 3.672 pazienti sottoposti a screening per l’idoneità, solo il 7% è stato randomizzato. Ciò solleva interrogativi sul fatto che i soggetti arruolati siano rappresentativi della popolazione AHF [insufficienza cardiaca acuta] osservata nella pratica clinica e quindi sulla generalizzabilità dei risultati dello studio».
I ricercatori hanno attribuito questo fatto alle procedure di screening con l’arruolamento durante la pandemia di COVID-19 e hanno notato che un terzo dei fallimenti dello screening erano collegati a pazienti senza scompenso cardiaco acuto e un altro quinto senza diabete di tipo 2 prima che il protocollo di sperimentazione fosse modificato per consentire il loro arruolamento.
Il disegno e i limiti dello studio DICTATE-AHF
Lo studio multicentrico in aperto DICTATE-AHF ha incluso 238 persone con scompenso cardiaco acuto che sono state randomizzate nelle prime 24 ore di ricovero ad assumere 10 mg di dapagliflozin al giorno o ad avere una titolazione diuretica guidata dal protocollo fino al giorno 5 o alla dimissione.
Lo studio inizialmente includeva solo pazienti adulti con diabete di tipo 2 e una velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) di almeno 30 ml/min/1,73m2 insieme ad almeno due misure oggettive di ipervolemia, ma il protocollo è stato modificato per consentire l’arruolamento dei pazienti senza diabete di tipo 2 e un eGFR di soli 25 ml/min/1,73m2 dopo la pubblicazione dei dati di sicurezza dello studio DAPA-HF.
Infatti, osservano Cox e colleghi, «nonostante la diuresi endovenosa aggressiva in DICTATE-AHF, dapagliflozin non ha peggiorato l’eGFR né ha causato eventi significativi di danno renale acuto rispetto alle cure abituali. È importante sottolineare che questo non è stato il risultato di una down-titolazione empirica dei diuretici dell’ansa per via endovenosa nel braccio dapagliflozin. Può darsi che i cambiamenti acuti e lievi dell’eGFR con SGLT2i siano oscurati dalle comuni fluttuazioni sottostanti nell’aumento e nella diminuzione dell’eGFR durante la decongestione dell’AHF».
L’incidenza degli eventi avversi nel complesso è stata simile tra i gruppi randomizzati. Dapagliflozin non ha aumentato il rischio di ipoglicemia (sette vs nove casi) e non si è verificata chetoacidosi in nessuno dei due bracci di trattamento.
I ricercatori mettono in evidenza che, tra gli endpoint secondari, «il braccio di cura abituale richiedeva ulteriori 80 mg di furosemide EV per ottenere una natriuresi equivalente a 24 ore come il braccio dapagliflozin». Dapagliflozin ha anche aumentato significativamente la produzione di urina nelle 24 ore (mediana 634 vs 403 mL per furosemide EV da 40 mg, P=0,005).
I ricercatori riconoscono che il disegno dello studio in aperto sia una limitazione, così come la modesta dimensione del campione che potrebbe aver portato alla mancanza di significatività statistica per l’effetto moderato del trattamento a favore di dapagliflozin.
Gli editorialisti sottolineano anche la mancanza di dati sulle dosi delle terapie di base pertinenti, la mancanza di una misurazione obiettiva dell’ipervolemia e della decongestione come condizione per la dimissione e una scelta inadeguata dell’endpoint primario, «perché è stato a lungo riconosciuto che le misurazioni del peso sono inaffidabili nei pazienti con scompenso cardiaco sia in ambito ospedaliero che ambulatoriale».
«In questa fase, i medici dovrebbero capire sia quando iniziare trattamenti comprovati per l’AHF sia quali trattamenti, come gli inibitori SGLT2, possono essere iniziati precocemente» concludono Costanzo e Januzzi. «Ora sappiamo perché: gli inibitori SGLT2 migliorano la decongestione e garantiscono un uso ambulatoriale favorevole a lungo termine».
Fonti:
Cox ZL, Collins SP, Hernandez GA, et al. Efficacy and Safety of Dapagliflozin in Patients With Acute Heart Failure. J Am Coll Cardiol. 2024 Apr 9;83(14):1295-1306. doi: 10.1016/j.jacc.2024.02.009. leggi
Costanzo MR, Januzzi JL. Early SGLT2 Inhibitors in Acute Heart Failure: Safe Diuretic-Sparing Strategy. J Am Coll Cardiol. 2024 Apr 9;83(14):1307-1309. doi: 10.1016/j.jacc.2024.02.012. leggi