Sinner numero 1 del ranking: è il primo italiano sul tetto del mondo


Al Roland Garros Djokovic si ritira prima delle semifinali. E’ italiano il nuovo numero 1 del tennis e si chiama Jannik Sinner

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Non ci sono più “se”. E pure i “ma”, a questo punto, non se la passano benissimo. Per mesi ci siamo esercitati nel ricalcolo esausto d’una possibilità: “Sinner diventa numero 1 se…“. Ha unito i puntini, il condizionale è un tempo scaduto. Sinner E’ il numero 1 del mondo. Presente. Magari futuro prossimo, ma insomma il migliore. Il numero primo senza l’annessa solitudine letteraria: troppi carri, troppi vincitori, il trabocchetto del “made in Italy” in agguato. Sinner è un campione a dispetto del contesto, in fuga, come quelli del ciclismo romantico contenti “d’essere arrivati uno“. Ha scalato il ranking dell’Atp quasi in contumacia: al Roland Garros Djokovic s’è offerto in sacrificio per lui, ritirandosi dopo due maratone da 5 set e un ginocchio traballante. Un forfait che arriva mentre Sinner è in campo con Dimitrov, al terzo set, per guadagnarsi la sua semifinale. Mentre parte la fanfara delle celebrazioni, a lui nessuno l’ha ancora comunicato. Qualcuno, tra il pubblico, prova a spoilerare. Il pc aggiornerà ufficialmente i ranking solo lunedì prossimo. Un titolo storico, quasi a sua insaputa.

Mai l’Italia aveva avuto il numero 1, nel tennis. Era sempre stato uno sport di miti altrui. Ora la smetteranno di intervistare Panatta o Pietrangeli. Sinner passa ad un altro club, un posto frequentato dai vari Nastase, Connors, Borg, McEnroe, Lendl, Sampras, Federer, Nadal, Djokovic. Solo 29, in tutto. Si entra solo sfondando la porta, in quel pantheon. Ma nella nostra percezione della storia fa parte anche di un’altra collezione d’eroi, più trasversale. In Italia Sinner vale Tomba, Coppi, Nuvolari, Valentino Rossi, Jury Chechi, Mennea, Federica Pellegrini e Sara Simeoni. In cima al tennis è Messner. E’ una prospettiva diversa, una dimensione parallela abitata da tutti, per lucro o passione.

Jannik Sinner è lo zeitgeist di questo Paese, se sapessimo esprimere con una parola un concetto, come fanno i tedeschi. E’ lo spirito del nostro tempo, molto più di quanto siamo capaci d’ammettere. E’ una “vittima” piacevolmente consapevole di appropriazione indebita: non vedevamo l’ora di potercelo rivendere “italiano” per il marketing dell’orgoglio patrio. Il “caso nazionale” della Gazzetta dello Sport è carta straccia, ormai. E così il “no” blasfemo a Sanremo, le polemiche per la casa a Montecarlo come un qualunque cognato di Fini, il rinfaccio di un’evasione immaginaria più che fiscale: tutto risolto, amnistiato dal successo. Siamo fatti così, noi. Lui no.

Lui nel frattempo non ha fatto altro che giocare a tennis. Lavorare, impegnarsi, migliorare. E vincere. Il primo Masters 1000, la Coppa Davis, lo Slam australiano. Ad un certo punto l’abbiamo aggettivato. E’ spuntato un Sinner per ogni sport, per ogni federazione. Il Sinner del basket, il Sinner del tiro al piattello. Persino Spalletti l’ha convocato ad esempio dei suoi nuovi Nazionali (Chiesa è stato per un po’ “il nostro Sinner”…). Un passaggio di stato simbiotico, dall’italiano medio al campione universale. Una rivincita per delega: rottamiamo l’armamentario della sconfitta, per una volta. Non ci appartiene più. Tutto sommato basta fare come lui, che ci vuole?

Sinner è diventato un maestro, fa scuola tennis: non solo adesso gli italiani guardano le sue partite in tv, ma grazie alla combo con l’algoritmo premiante delle ricerche di Google ogni turno che supera, partorisce sui siti dei giornali un “chi è”. “Chi è Kotov l’avversario di Sinner”; “Chi è Eubanks l’avversario di Sinner”. Visto che lui li batte più o meno tutti, gli italiani a rimorchio si stanno facendo una cultura enciclopedica, di sponda.

Di lui sappiamo tutto. Ne conosciamo la fame, le variabili del suo tennis, il rumore della palla che colpisce – un’esplosione, BUM: quella sì da registrarne il marchio. La timida famiglia altoatesina, qualche fiamma senza gossip eccessivo. Frequentiamo Cahill e Vagnozzi più dei nostri legami di sangue. Gli invidiamo la straordinaria stabilità emotiva mentre isterici divoriamo divani in eco-pelle alla chiamata sbagliata del giudice di sedia. E’ il nostro stabilizzatore dell’anima: le vittorie non sono mai esagerate, e le sconfitte non sono mai tragedie. La sua non è una battuta, è un servizio pubblico.

Sinner numero 1, finalmente, darà tregua all’ansia dei feticisti del primato. Gli restano davanti gli obiettivi meno aritmetici, i trofei, le vittorie. Non c’è più nulla da calcolare, i conti tornano.

FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)