Psoriasi refrattaria: terapia precoce a dosaggi più elevati è la soluzione


Psoriasi: in una quota minoritaria di pazienti tutti i trattamenti falliscono. C’è la possibilità di superare questo limite con un trattamento di induzione precoce e ad alti dosaggi

psoriasi genitale

Nonostante l’ampia disponibilità di terapie per la psoriasi che consentono di raggiungere un’attività minima di malattia, in una quota minoritaria di pazienti tutti i trattamenti falliscono. Dai trial clinici recenti emerge la possibilità di superare questo limite con un trattamento di induzione precoce e ad alti dosaggi.

Secondo le linee guida Treat-to-Target della National Psoriasis Foundation, l’obiettivo di una terapia efficace è raggiungere l’1% della superficie corporea interessata dalla psoriasi entro 3 mesi dall’inizio del trattamento.

«C’è un margine di manovra tale che, se si è riscontrato un miglioramento significativo del 75% o anche superiore oppure se la superficie corporea interessata dalla psoriasi è del 3%, si può aspettare un po’ più di tempo, ma al giorno d’oggi disponiamo di ottimi trattamenti e dovremmo davvero essere in grado di portare la malattia a un livello minimo» ha affermato George Han della Zucker School of Medicine a Hofstra/Northwell a New Hyde Park, New York.

Han distingue tra fallimenti terapeutici primari e secondari. Nel primo caso, come fattori di rischio per il mancato miglioramento con un biologico entro un arco di tempo compreso tra 3 e 6 mesi si considerano fattori come un maggiore peso corporeo e la precedente mancata risposta ai farmaci biologici.

«La mancata risposta secondaria è un po’ più difficile da definire, dato che potrebbero essere coinvolti più meccanismi» ha osservato. «Forse il più semplice da comprendere sarebbe lo sviluppo di anticorpi anti-farmaco che, se neutralizzanti, potrebbero inattivare il medicinale stesso, ed è stato dimostrato che questo riduce l’efficacia nella pratica clinica. Un’altra possibilità è che la psoriasi semplicemente peggiori da sola a causa della naturale progressione della malattia».

Nonostante queste suscettibilità, i tassi di fallimento del trattamento primario sono piuttosto bassi grazie ai farmaci moderni. «Stiamo parlando di risposte PASI 75, ovvero di un miglioramento di almeno il 75% rispetto al basale, nel 90% o più dei pazienti, con un miglioramento medio nell’intervallo del 95%» ha aggiunto. «Tuttavia una piccola percentuale di pazienti, intorno al 10%, non ottiene una grande risposta, quindi c’è ancora del lavoro da fare».

Superare il fallimento terapeutico
Due dei principali fattori predittivi del fallimento terapeutico sono il fallimento di un precedente farmaco biologico e l’aumento di peso. Uno studio ha rilevato che le pazienti di sesso femminile, la durata più breve della psoriasi, il precedente utilizzo di terapie sistemiche e una storia di iperlipidemia erano tutti fattori che influenzavano il fallimento di più terapie biologiche.

Un altro studio ha rilevato che altri fattori di rischio come l’acne, la psoriasi inversa inizialmente nella fessura del gluteo e la psoriasi eritrodermica erano associati alla necessità di utilizzare tre o più farmaci biologici.

I pazienti che non rispondono a più farmaci sistemici alla fine trovano il controllo della malattia attraverso un approccio per tentativi ed errori che prevede il passaggio a una classe diversa. La medicina personalizzata probabilmente svolgerà un ruolo importante in futuro, riducendo la quantità di cambi di farmaco e identificando quali citochine sono sovraregolate nel percorso della psoriasi di un paziente specifico.

«Adesso disponiamo di alcuni dati sui cosiddetti siti speciali, quindi se il paziente ha una psoriasi inversa recalcitrante o una psoriasi del cuoio capelluto, ad esempio, potremmo scegliere farmaci con dati migliori in quelle aree corporee» ha detto Han. «Potrebbe quindi essere aggiunto un farmaco non biologico come metotrexato, acitretina, apremilast o deucravacitinib».

«Quando si cambia farmaco biologico, vale la pena pensare in modo meccanicistico. Ad esempio l’inibitore dell’interleuchina (IL)-17 brodalumab prende di mira il recettore piuttosto che l’anticorpo circolante, mentre bimekizumab blocca la IL-17A e F» ha continuato. «Questi due farmaci, in particolare bimekizumab, hanno tassi di risposta tra i più alti tra tutti i farmaci biologici disponibili, quindi dal punto di vista dell’efficacia pura potrebbero funzionare bene. Così come ha senso considerare il potenziale di un farmaco di coprire percorsi che potrebbero non essere rilevati dal medicinale originale».

Una possibilità è il trattamento di induzione precoce e ad alte dosi
Il fallimento del trattamento verrà risolto solo quando sarà disponibile una cura, ma ci sono in sviluppo nuove soluzioni, come i farmaci peptidici, che offrono ai pazienti nuove scelte e contro i quali l’organismo non può sviluppate anticorpi.

Vi sono inoltre studi di induzione più recenti, ha indicato Han, come quelli con risankizumab e guselkumab, incentrati sulla somministrazione ai pazienti di nuova diagnosi di una dose più elevata di farmaci biologici per interrompere il processo infiammatorio. «Anche con i farmaci biologici efficaci c’è un sottoinsieme di cellule T della memoria che risiedono nella pelle, così quando il trattamento viene interrotto la psoriasi si ripresenta nella stessa sede. Esiste la possibilità che il trattamento rapido e con un farmaco molto efficace possa arrestare la generazione di queste cellule infiammatorie residue» ha spiegato.Nonostante l’ampia disponibilità di terapie per la psoriasi che consentono di raggiungere un’attività minima di malattia, in una quota minoritaria di pazienti tutti i trattamenti falliscono. Dai trial clinici recenti emerge la possibilità di superare questo limite con un trattamento di induzione precoce e ad alti dosaggi.

Secondo le linee guida Treat-to-Target della National Psoriasis Foundation, l’obiettivo di una terapia efficace è raggiungere l’1% della superficie corporea interessata dalla psoriasi entro 3 mesi dall’inizio del trattamento.

«C’è un margine di manovra tale che, se si è riscontrato un miglioramento significativo del 75% o anche superiore oppure se la superficie corporea interessata dalla psoriasi è del 3%, si può aspettare un po’ più di tempo, ma al giorno d’oggi disponiamo di ottimi trattamenti e dovremmo davvero essere in grado di portare la malattia a un livello minimo» ha affermato George Han della Zucker School of Medicine a Hofstra/Northwell a New Hyde Park, New York.

Han distingue tra fallimenti terapeutici primari e secondari. Nel primo caso, come fattori di rischio per il mancato miglioramento con un biologico entro un arco di tempo compreso tra 3 e 6 mesi si considerano fattori come un maggiore peso corporeo e la precedente mancata risposta ai farmaci biologici.

«La mancata risposta secondaria è un po’ più difficile da definire, dato che potrebbero essere coinvolti più meccanismi» ha osservato. «Forse il più semplice da comprendere sarebbe lo sviluppo di anticorpi anti-farmaco che, se neutralizzanti, potrebbero inattivare il medicinale stesso, ed è stato dimostrato che questo riduce l’efficacia nella pratica clinica. Un’altra possibilità è che la psoriasi semplicemente peggiori da sola a causa della naturale progressione della malattia».

Nonostante queste suscettibilità, i tassi di fallimento del trattamento primario sono piuttosto bassi grazie ai farmaci moderni. «Stiamo parlando di risposte PASI 75, ovvero di un miglioramento di almeno il 75% rispetto al basale, nel 90% o più dei pazienti, con un miglioramento medio nell’intervallo del 95%» ha aggiunto. «Tuttavia una piccola percentuale di pazienti, intorno al 10%, non ottiene una grande risposta, quindi c’è ancora del lavoro da fare».

Superare il fallimento terapeutico
Due dei principali fattori predittivi del fallimento terapeutico sono il fallimento di un precedente farmaco biologico e l’aumento di peso. Uno studio ha rilevato che le pazienti di sesso femminile, la durata più breve della psoriasi, il precedente utilizzo di terapie sistemiche e una storia di iperlipidemia erano tutti fattori che influenzavano il fallimento di più terapie biologiche.

Un altro studio ha rilevato che altri fattori di rischio come l’acne, la psoriasi inversa inizialmente nella fessura del gluteo e la psoriasi eritrodermica erano associati alla necessità di utilizzare tre o più farmaci biologici.

I pazienti che non rispondono a più farmaci sistemici alla fine trovano il controllo della malattia attraverso un approccio per tentativi ed errori che prevede il passaggio a una classe diversa. La medicina personalizzata probabilmente svolgerà un ruolo importante in futuro, riducendo la quantità di cambi di farmaco e identificando quali citochine sono sovraregolate nel percorso della psoriasi di un paziente specifico.

«Adesso disponiamo di alcuni dati sui cosiddetti siti speciali, quindi se il paziente ha una psoriasi inversa recalcitrante o una psoriasi del cuoio capelluto, ad esempio, potremmo scegliere farmaci con dati migliori in quelle aree corporee» ha detto Han. «Potrebbe quindi essere aggiunto un farmaco non biologico come metotrexato, acitretina, apremilast o deucravacitinib».

«Quando si cambia farmaco biologico, vale la pena pensare in modo meccanicistico. Ad esempio l’inibitore dell’interleuchina (IL)-17 brodalumab prende di mira il recettore piuttosto che l’anticorpo circolante, mentre bimekizumab blocca la IL-17A e F» ha continuato. «Questi due farmaci, in particolare bimekizumab, hanno tassi di risposta tra i più alti tra tutti i farmaci biologici disponibili, quindi dal punto di vista dell’efficacia pura potrebbero funzionare bene. Così come ha senso considerare il potenziale di un farmaco di coprire percorsi che potrebbero non essere rilevati dal medicinale originale».

Una possibilità è il trattamento di induzione precoce e ad alte dosi
Il fallimento del trattamento verrà risolto solo quando sarà disponibile una cura, ma ci sono in sviluppo nuove soluzioni, come i farmaci peptidici, che offrono ai pazienti nuove scelte e contro i quali l’organismo non può sviluppate anticorpi.

Vi sono inoltre studi di induzione più recenti, ha indicato Han, come quelli con risankizumab e guselkumab, incentrati sulla somministrazione ai pazienti di nuova diagnosi di una dose più elevata di farmaci biologici per interrompere il processo infiammatorio. «Anche con i farmaci biologici efficaci c’è un sottoinsieme di cellule T della memoria che risiedono nella pelle, così quando il trattamento viene interrotto la psoriasi si ripresenta nella stessa sede. Esiste la possibilità che il trattamento rapido e con un farmaco molto efficace possa arrestare la generazione di queste cellule infiammatorie residue» ha spiegato.