Remibrutinib efficace per idrosadenite suppurativa moderata/grave


Nei pazienti con idrosadenite da moderata a grave il trattamento con remibrutinib, un inibitore orale della tirosina chinasi di Bruton, ha ridotto la gravità della malattia

idrosadenite suppurativa recalcitrante

Nei pazienti con idrosadenite da moderata a grave il trattamento con remibrutinib, un inibitore orale della tirosina chinasi di Bruton, ha ridotto la gravitò della malattia rispetto al placebo dopo 16 settimane con entrambe le dosi testate. È quanto emerso da uno studio di fase II presentato come abstract al congresso 2024 dell’American Academy of Dermatology (AAD).

Remibrutinib è un inibitore orale altamente selettivo della proteina tirosina chinasi di Bruton (BTK), fondamentale per lo sviluppo delle cellule B e la produzione di anticorpi e citochine. L’indicazione principale del farmaco è l’orticaria cronica spontanea, una malattia infiammatoria della pelle caratterizzata da prurito e gonfiore, ma è in valutazione in altre condizioni immuno-mediate, tra cui l’orticaria cronica inducibile, la sclerosi multipla, le allergie alimentari e l’idrosadenite suppurativa.

Uno studio di fase intermedia nell’idrosadenite
Lo studio statunitense di fase IIb ha coinvolto un totale di 77 pazienti con idrosadenite suppurativa da moderata a grave, 66 dei quali hanno ricevuto remibrutinib alla dose di 50 o 100 mg di al giorno per 16 settimane, mentre 11 sono stati sottoposti a placebo e raggruppati con altri 50 controlli provenienti da altri studi di coorte.

L’endpoint primario era la percentuale di pazienti che soddisfaceva i criteri per il punteggio della simplified Hidradenitis Suppurativa Clinical Response (sHiSCR), definito come una riduzione di almeno il 50% nel conteggio totale degli ascessi e dei noduli infiammatori (AN) a 16 settimane.

Risultati superiori al placebo con entrambe le dosi testate
Dopo 16 settimane ha raggiunto l’endpoint primario il 72,7% dei partecipanti trattati con la dose più bassa di remibrutinib, rispetto al 48,5% di quanti hanno assunto la dose più alta e al 34,7% dei controlli.

L’analisi dei pazienti che hanno ottenuto le migliori risposte ha mostrato che il 42,4% dei soggetti trattati con 25 mg di remibrutinib ha avuto un miglioramento del 75% rispetto al basale (HiSCR 75), rispetto al 27,3% e al 18,4% dei gruppi ad alto dosaggio e placebo. I tassi di miglioramento del 90% (HiSCR 90) sono stati rispettivamente del 36,4%, 15,2% e 8,2%.

La dose più bassa di remibrutinib ha portato anche a maggiori riduzioni del conteggio dei tunnel drenanti (55,6% con la dose da 50 mg rispetto al 43,0% con la dose da 100 mg e al 10,2% con il placebo). Al contrario con la dose più alta una percentuale maggiore di pazienti (57,1%) ha ottenuto una riduzione del 30% del dolore cutaneo auto-riferito, rispetto al 44,4% con la dose più bassa e al 30,4% con il placebo.

In termini di sicurezza sono stati segnalati cinque casi di eventi avversi di grado tre e quattro nel gruppo remibrutinib e quattro tossicità di grado tre nel braccio placebo. È stato riscontrato che in un paziente a cui era stata somministrata la dose di remibrutinib da 25 mg erano aumentati i livelli degli enzimi epatici, il che potrebbe suggerire un danno epatico, anche se questo esito non è stato ritenuto correlato al farmaco in studio. Nessun paziente ha interrotto il trattamento con remibrutinib 25 mg rispetto a due nel gruppo 100 mg e due nel gruppo placebo.

«I risultati complessivi sono in linea con quanto stiamo vedendo con le terapie più efficaci di cui disponiamo, ma è troppo presto per fare confronti» ha fatto presente la relatrice Alexa Kimball, del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston. «Il fatto a mio parere più entusiasmante è che si tratta di un diverso meccanismo d’azione, che riteniamo forse complementare ad alcune delle nostre altre terapie. Mentre cerchiamo di portare i pazienti a livelli di efficacia più elevati, essere in grado di combinare potenzialmente terapie o adattare la terapia al loro stadio di malattia è davvero un’opportunità».