Tumore al seno: il trattamento con l’inibitore selettivo di PARP1 di ultima generazione saruparib sembra avere un’attività promettente e una buona tollerabilità
In un gruppo di pazienti con carcinoma mammario che presentano alterazioni nei geni coinvolti nella riparazione dei danni del DNA mediante il meccanismo della ricombinazione omologa (Homologous Recombination Repair, HRR), il trattamento con l’inibitore selettivo di PARP1 di ultima generazione saruparib sembra avere un’attività promettente e una buona tollerabilità. È quanto emerge dai risultati di un’analisi ad interim dei dati di una coorte di espansione di pazienti dello studio di fase 1/2, PETRA, presentati di recente a San Diego all’ultimo congresso annuale dell’American Association for Cancer Research (AACR).
In particolare, il farmaco sperimentale (noto in precedenza con la sigla AZD 5305) ha mostrato un profilo di sicurezza favorevole se paragonato a quelli degli inibitori di PARP di prima generazione.
Tra i 31 pazienti con cancro al seno valutabili per l’efficacia trattati con saruparib alla dose raccomandata per la fase 2, pari a 60 mg, il tasso di risposta obiettiva (ORR) è risultato del 48,4%, con una durata mediana della risposta (DOR) di 7,3 mesi, mentre la sopravvivenza libera da progressione (PSF) mediana è risultata di 9,1 mesi.
Le analisi farmacocinetiche condotte in un gruppo più ampio di pazienti con tipi di tumore diversi hanno evidenziato che a tutti i livelli di dose le concentrazioni ematiche di saruparib sono state più elevate rispetto a quelle osservate di solito con altri inibitori di PARP, ha riferito Timothy Yap, della University of Texas MD Anderson Cancer Center di Houston, durante una conferenza stampa al congresso. Inoltre, a livello molecolare, saruparib ha mostrato di inibire circa il 90% dell’attività dell’enzima PARP a livello del tessuto tumorale dei reperti bioptici.
Lo sperimentatore ha anche sottolineato che i benefici terapeutici di saruparib sono stati raggiunti a fronte di un profilo di sicurezza favorevole, nonostante sia stato impiegato in una popolazione di pazienti pesantemente pretrattati.
«Il profilo di sicurezza favorevole di saruparib, associato al basso tasso di riduzioni della dose (osservato nello studio, ndr) rispetto agli inibitori di PARP approvati, può consentire ai pazienti di rimanere in trattamento con una dose ottimale per più tempo, con un’esposizione al farmaco superiore e un coinvolgimento massimo del bersaglio, il che può tradursi in un’efficacia maggiore», ha detto Yap. «Quello che abbiamo visto in questo studio… è che si fa davvero un affare in termini di sicurezza».
Suraparib, PARP-inibitore di nuova generazione
Saruparib è un inibitore di PARP1 first-in-class che negli studi preclinici ha mostrato una selettività e un’efficacia eccellenti nei confronti di PARP1.
Yap ha ricordato come gli inibitori di PARP approvati, sebbene certamente utili per i pazienti, abbiano come bersaglio sia PARP1 sia PARP2 e siano associati a tossicità, tra cui mielosoppressione, tossicità gastrointestinali e affaticamento. Tuttavia, ha precisato l’autore, «l’inibizione di PARP1 da sola è sufficiente alla letalità sintetica in presenza di un deficit dell’HRR», e ciò ha fornito al team il razionale per ‘escludere’ PARP2 e porre il focus sull’inibizione di PARP1 con saruparib.
«In particolare, abbiamo potuto osservare una copertura più elevata e un’esposizione farmacocinetica maggiore rispetto a tutti gli inibitori di PARP approvati, a riprova del fatto che abbiamo somministrato ai pazienti dosi molto più alte di farmaco», ha aggiunto. «Ripensando agli studi iniziali di fase 1 che abbiamo condotto, non eravamo stati in grado di superare determinati livelli di dose a causa delle tossicità, tossicità limitanti che avevamo osservato durante l’escalation della dose. Ma con saruparib siamo stati certamente in grado di spingere le dosi molto, molto più in alto e anche di vedere effetti farmacodinamici davvero robusti, e di efficacia dimostrata … che sembra indubbiamente molto promettente».
«Ancora necessarie strategie di combinazione»
Patricia LoRusso, della Yale School of Medicine di New Haven, nel Connecticut, invitata come discussant dello studio, ha precisato che, nonostante la straordinaria risposta terapeutica osservata con saruparib, i pazienti con malattia metastatica finiscono prima o poi per sviluppare una esistenza al trattamento. «Come possiamo ritardare o superare questo fenomeno, in modo da aumentare i benefici terapeutici nei nostri pazienti?», si è chiesta l’esperta. «Nel 2024, penso siano ancora necessarie strategie di combinazione», ha affermato.
Secondo LoRusso, considerato il profilo di tossicità di saruparib in monoterapia osservato sia nella fase preclinica sia negli studi clinici, ci si deve chiedere se potrà essere combinato in modo sicuro con altri farmaci, in particolare con i chemioterapici, e, in tal caso, se una somministrazione concomitante sia la strategia più appropriata.
Lo studio PETRA
Lo studio PETRA (NCT04644068) è un trial multicentrico, in aperto, nel quale si sono valutate la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia di saruparib in 306 pazienti con tumori della mammella, dell’ovaio, del pancreas o della prostata trattati in precedenza e che presentavano un deficit del sistema dell’HRR, in coorti di dose-escalation e di espansione.
I partecipanti, che dovevano presentare mutazioni in uno dei cinque geni coinvolti nella HRR (BRCA1, BRCA2, PALB2, RAD51C o RAD51D), avevano un’età mediana di 57 anni ed erano stati trattati con una mediana di tre linee di terapia precedenti.
Nella coorte di espansione della dose erano inclusi 31 pazienti con carcinoma mammario HER2-negativo e naïve agli inibitori di PARP, ma senza alcun limite al numero di linee di chemioterapia effettuate in precedenza nel contesto metastatico.
Nella fase di dose-escalation dello studio, dove sono stati valutati pazienti trattati con dosi comprese tra 10 e 140 mg al giorno, è stato stabilito che saruparib era ben tollerato fino a 90 mg. La fase di espansione della dose ha valutato le dosi di 20, 60 e 90 mg e come dose raccomandata per un ulteriore sviluppo clinico è stata scelta la dose pari a 60 mg al giorno.
Buona tollerabilità
Nella coorte di 141 pazienti con tutti i tipi di tumori trattati con saruparib alla dose di 60 mg sono stati osservati eventi avversi nel 92,2% dei pazienti, mentre il 12,1% ha sperimentato un evento serio. Tuttavia, per dosi di saruparib fino a 60 mg le tossicità ematologiche e gastrointestinali sono state basse.
L’incidenza complessiva degli eventi avversi correlati a saruparib è risultata del 76,6% e quella degli eventi di grado ≥3 del 27,7%, mentre eventi avversi seri si sono manifestati nel 2,1% dei partecipanti.
Il 3,5% dei pazienti ha dovuto interrompere il trattamento a causa di un evento avverso correlato a saruparib, mentre il 14,2% ha richiesto riduzioni della dose e il 29,1% un’interruzione della somministrazione.
Yap ha concluso riferendo che saruparib è tuttora in fase di valutazione alla dose raccomandata di 60 mg nello studio di fase 3 Evo-PAR-PR01 (NCT06120491).
Bibliografia
T. Yap, et al. PETRA: First-in-human phase 1/2a trial of the first-in-class next-generation poly(ADP-ribose) polymerase-1 selective inhibitor (PARP1i) saruparib (AZD5305) in patients (pts) with advanced solid tumors with BRCA1/2, PALB2 or RAD51C/D mutations. AACR 2024, abstract CT014.
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