Dopo un infarto, minore rischio di mortalità in pazienti molto anziani con terapia ipolipemizzante ad alta intensità
I pazienti più anziani che sono stati dimessi dall’ospedale dopo un infarto del miocardio hanno un rischio significativamente inferiore di mortalità per tutte le cause se trattati con una terapia ipolipemizzante ad alta intensità, secondo una nuova analisi del registro FAST-MI pubblicata su “Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes”.
In questo studio osservazionale condotto su 2.258 pazienti di età pari o superiore a 80 anni, la terapia ipolipemizzante ad alta intensità, che poteva includere una potente statina o una terapia combinata, è stata associata a un rischio di morte inferiore del 22% a 5 anni rispetto a nessun trattamento di questo tipo. In ogni caso, l’uso di statine di intensità convenzionale non è risultato associato ad alcuna riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause a 5 anni.
«In attesa dei risultati di specifici studi randomizzati controllati negli anziani, i nostri dati suggeriscono che la prescrizione di una terapia ipolipemizzante ad alta intensità alle persone anziane che subiscono un infarto miocardico acuto non dovrebbe essere limitata sulla sola base della loro età avanzata» scrivono Antoine Fayol, dell’Assistance Publique-Hôpitaux de Paris/Hôpital Européen Georges-Pompidou (Francia), e colleghi.
Il ricercatore senior Nicolas Danchin, dello stesso Istituto, afferma che non si aspettava di vedere una riduzione della mortalità in questo gruppo di pazienti anziani. «Il mio pregiudizio personale era che sentivo che l’uso di agenti ipolipemizzanti ad alta intensità nelle persone molto anziane era probabilmente inutile perché avrebbero potuto morire per qualche altra causa che non fosse la malattia coronarica» spiega. «L’età media mediana era di 85 anni nelle coorti FAST-MI, un’età quindi piuttosto avanzata, e pensavo che le dosi convenzionali di statine potessero essere sufficienti, ma questo non è ciò che abbiamo mostrato».
Michael Nanna, della Yale University School of Medicine di New Haven, che ha studiato il trattamento e la cura degli anziani con malattie cardiovascolari, afferma che i trattamenti potenzialmente benefici sono spesso negati ai pazienti esclusivamente sulla base dell’età.
«Certamente, nel caso delle statine, non c’è motivo di credere che questi agenti non siano efficaci negli anziani, e questo studio lo supporta» sottolinea Nanna. «Abbiamo dimostrato nel registro PALM, e altri studi hanno dimostrato lo stesso, che l’apprensione sulla sicurezza con le statine negli anziani non è necessariamente corretta. I pazienti più anziani sembrano tollerare le statine altrettanto bene o meglio dei pazienti più giovani. Penso che la reticenza da parte dei medici sia probabilmente infondata».
Nanna prosegue affermando che spesso c’è una percezione errata secondo cui, una volta che i pazienti raggiungono una certa età, non beneficiano più della terapia preventiva perché non hanno abbastanza spettanza di vita. Tuttavia, uno dei più forti predittori dell’aspettativa di vita è quanto tempo una persona è già sopravvissuta, aggiunge, osservando che, se le persone hanno vissuto fino a 80 o 85 anni, possono aspettarsi di vivere per diversi anni in più.
«Quando si confronta questa analisi con uno studio randomizzato sulle statine, per esempio, e si guarda al tempo di follow-up di tali studi, è probabilmente più o meno lo stesso periodo» rileva Nanna. «Se ci si aspetta di vedere i benefici entro 4 o 5 anni, allora si dovrebbero prescrivere quei farmaci, perché il tempo per maturare quei benefici in termini di aspettativa di vita è questo»
L’età media della popolazione
Mentre le statine sono un modo consolidato per ridurre il rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare dopo infarto miocardico acuto, gli studi registrativi randomizzati e controllati non hanno incluso molti pazienti più anziani, principalmente perché avevano altre comorbilità e condizioni.
Per quegli studi che includevano pazienti anziani, «più vecchio» (older) era tipicamente definito come “dai 65 anni in su”. Lo studio PROSPER con pravastatina si è concentrato esclusivamente sull’uso di statine in pazienti anziani, per esempio, ma l’età media dei partecipanti allo studio era di 75 anni. Allo stesso modo, anche la Cholesterol Treatment Trialists Collaboration ha dimostrato che le statine avvantaggiano sia i giovani che gli anziani nella prevenzione secondaria, ma anche tale analisi ha definito gli anziani come soggetti di 75 anni e più.
«È molto difficile sapere se le conclusioni dei principali studi si applicano a pazienti molto anziani» afferma Danchin. «E per molto anziano intendo tutti coloro che hanno più di 80 anni».
L’analisi del registro FAST-MI
Il registro FAST-MI si concentra su un’istantanea di 1 mese delle caratteristiche, della gestione e degli esiti di tutti i pazienti con infarto miocardico con e senza sopraslivellamento del tratto ST (rispettivamente STEMI e NSTEMI) ricoverati in un reparto di cardiologia in Francia entro 48 ore dall’insorgenza dei sintomi.
Sulla base di indagini del 2005, 2010 e 2015, un totale di 2.258 pazienti aveva 80 anni e più: tra questi, 415 pazienti sono stati dimessi senza terapia ipolipemizzante, 866 con una statina di intensità convenzionale e 977 con una statina ad alta intensità (atorvastatina =/> 40 mg, rosuvastatina =/> 10 mg o qualsiasi dose di statine utilizzata in combinazione con ezetimibe).
I pazienti trattati con terapia ipolipemizzante ad alta intensità avevano maggiori probabilità di essere più giovani, di essere ricoverati per STEMI e di avere meno comorbilità, come diabete, insufficienza cardiaca e fibrillazione atriale, rispetto a quelli dimessi con dosi convenzionali o senza alcuna terapia. Le donne avevano anche meno probabilità di essere trattate con statine ad alta intensità.
I tassi di sopravvivenza a 5 anni sono stati del 58%, 47,5% e 36% per i pazienti dimessi, rispettivamente, con terapia ipolipemizzante ad alta intensità, terapia ipolipemizzante convenzionale e senza alcuna terapia ipolipemizzante ad alta intensità.
In un modello di regressione multivariata, la terapia con statine ad alta intensità è stata associata a un minor rischio di mortalità per tutte le cause a 5 anni (HR 0,78; IC 95% 0,66-0,92) rispetto a nessuna terapia, mentre le dosi convenzionali mostravano tale associazione (HR 0,93; IC 95% 0,80-1,09). Comparativamente, il trattamento ad alta intensità è stato associato a un minor rischio di morte a 5 anni rispetto a quello con statine a bassa intensità (HR 0,85; IC 95% 0,74-0,97).
Questi risultati sono stati coerenti nell’analisi di propensione abbinata e in vari sottogruppi. Non c’è stata alcuna interazione significativa in base all’età (da 80 a 85 anni rispetto a pazienti di 85 anni e oltre), al sesso, all’uso di intervento coronarico percutaneo (PCI) o al precedente uso di statine.
Danchin afferma che c’è stato un «enorme cambiamento» nella prescrizione di statine ad alta intensità a partire dal 2005. «Anche se la popolazione stessa non è molto diversa da un’indagine all’altra, la gestione è chiaramente diversa» evidenzia. Per quanto riguarda la possibilità che studi randomizzati e controllati con statine ad alta intensità (o terapia combinata) saranno condotti in futuro negli anziani, Danchin non è ottimista.
«La mia sensazione è che non ci siano molte probabilità che ciò accada» sostiene. «I dati osservazionali, a condizione che siano ben raccolti, meritano di essere presi in considerazione. Quindi penso che se i pazienti sembrano avere un’aspettativa di vita ragionevole, vale davvero la pena trattarli con dosi elevate».
Il valore dei dati osservazionali real-world
Per Nanna, questi risultati sono coerenti con i benefici osservati nella popolazione generale in prevenzione secondaria, compresi quelli visti in studi che hanno coinvolto pazienti settantenni. Tuttavia, fa notare, una componente importante del nuovo studio osservazionale è che coglie una popolazione più rappresentativa di persone veramente anziane.
«Anche se i pazienti più anziani sono stati inclusi in alcuni studi, spesso non sono pienamente rappresentativi della popolazione più ampia, che può avere sindromi geriatriche prevalenti e comorbilità» prosegue Nanna. «Utilizzando studi di coorte osservazionali, si potrebbe ottenere una popolazione più rappresentativa di anziani».
L’analisi FAST-MI, aggiunge, si spera rassicurerà i medici e li motiverà a prescrivere statine ad alta intensità ai pazienti più anziani, fiduciosi che ci sia un beneficio. «La popolazione sta invecchiando» afferma Nanna. “Gli anziani costituiscono la maggior parte dei pazienti di cui mi prendo cura e qualsiasi pubblicazione che porti in primo piano la cura delle persone anziane, e che dimostri che le terapie cardiovascolari che stiamo fornendo mantengono l’efficacia anche in età avanzata, è importante».
Fonte:
Fayol A, Schiele F, Ferrières J, et al. Association of Use and Dose of Lipid-Lowering Therapy Post Acute Myocardial Infarction With 5-Year Survival in Older Adults. Circ Cardiovasc Qual Outcomes. 2024 Apr 29:e010685. doi: 10.1161/CIRCOUTCOMES.123.010685. Epub ahead of print. leggi