Fuori “Diaspora”, il nuovo album di Udde


 L’album è una scintilla che scocca nel 2014, quando Udde vede per la prima volta quell’immagine sospesa che ne diventerà copertina

Udde - Diaspora

L’idea di Diaspora nasce molto prima della musica che lo costituisce. L’album è una scintilla che scocca nel 2014, quando Udde vede per la prima volta quell’immagine sospesa che ne diventerà copertina.
La fotografia si rivela per un istante come un’illusione: la percezione del proprio velo di Maya.

Da allora, per anni, Udde insegue e studia quella momentanea suggestione.
Scrive più di 30 tracce ed innumerevoli bozze per decifrarla, per darle forma e sintetizzarla, alla fine, in 11 canzoni.
I padri ispiratori sono un ricordo: i vari Robert Wyatt, Wendy Carlos, Cocteau Twins, David Bowie, Scott Walker, Brian Wilson, John Foxx, Syd Barrett, come i cataloghi Warp, Kranky e Ghost Box, sono stati derubati, deturpati e traditi.
Al contrario di quanto fatto con il disco precedente album, in Diaspora l’autore si slega dalle restrizioni e dai vincoli formali autoimposti, lasciandosi trainare esclusivamente da quella suggestione e dalle note.

Il filtro del suo gusto personale è sempre orientato ad assecondare tanto gli impulsi verticali delle ascesi e delle depressioni, quanto il percorso che si srotola alternando momenti onirici e letargici a parentesi più ruvide e vivide.
Con naturalezza Udde si ritrova a plasmare Diaspora come un album che inciampa, avanza e si ritrova nel succedersi delle 11 tracce che lo compongono.

La forma canzone viene corteggiata e manipolata, talvolta stropicciata, talvolta sfiorata, sempre in funzione del disegno più ampio e del tragitto più lungo.
Strattonate dalle spinte dei sintetizzatori e dai colpi delle percussioni, avvolte dalle voci alterate e dai mellotron, fluttuano e si avvitano le armonie lunari, un cantato quasi sempre distaccato, bagliori psichedelici ed illusioni ipnagogiche. A sostegno dell’incanto e della narrazione, stavolta Udde sceglie di cantare in Italiano. Gli undici testi si fondono e confondono, mostrano e nascondono, vivono della loro individualità e dei loro simbolismi pur rimanendo, nonostante amnesie e dirottamenti, sempre ancorati all’unico incantesimo.

Nonostante la prima scintilla fosse del 2014, la scrittura, gli arrangiamenti e le registrazioni di Diaspora sono cominciate solo nel 2017 e sono proseguite in vari intervalli fino al 2022. Il disco, autoprodotto in solitudine come il precedente, è stato missato tra la Sardegna e la Grecia dallo stesso Udde durante il 2023, per essere pubblicato nel 2024 per PNR.

Diaspora è il nuovo lavoro di Udde, lo pseudonimo dietro cui si nasconde il compositore polistrumentista nato a Sassari, attualmente residente in Grecia.

Diaspora è un unico filo che si spezza e si avvolge in rotte circolari.
Diaspora è un dejà vu costante.
Diaspora è in aperto contrasto con scopo, spazio, tempo.
Diaspora è seminare per non raccogliere, partire e perdersi, crescere senza diventare.
Mai.

Udde non ha mai pubblicato il suo album di debutto ma, nel 2014, lo ha cestinato a metà dell’opera per dimenticarsene (mai del tutto, mai per sempre).
Nel 2017 pubblica l’album divertissement The Familiar Stranger, un carosello drama-synth-pop di undici canzoni influenzate, solo negli intenti, dalla parentesi The Dukes of Stratosphear degli XTC.
Al termine del missaggio di The Familiar Stranger Udde ritiene sia arrivato il momento di gettare le basi del successivo album, Diaspora, per il quale cambiano le coordinate, le rotte, le intenzioni, o forse ritornano ad essere quelle originali.