Abortire a Napoli tra obiettori e umiliazioni: il racconto “dell’ancella” di Linda Feki. “Un ginecologo mi ha fatto credere di essere alla decima settimana
Abortire a Napoli, Italia, nel 2024. Linda Feki, in arte LNDFK, ha raccontato nei giorni su Instagram e oggi al Corriere della sera la trafila dell’umiliazione che ha dovuto subire tre mesi fa per interrompere la sua gravidanza. Tra personale obiettore, diritti negati a giorni alterni, e inquietanti “walk of shame”. Una lettura disarmante con la consapevolezza che l’artista potrebbe persino dirsi fortunata, visto che in alcune regioni italiani il percorso per l’aborto è addirittura più complicato, se non a volte impossibile.
Linda Feki la definisce “un’esperienza drammatica e violenta, mi sono sentita umiliata”. “Mi presento all’ospedale San Paolo di Napoli. Il ginecologo mi visita, non mi chiede nemmeno il nome, ma se avessi un partner e che lavoro facesse. E poi il suo conto non mi tornava. Dice che sono alla decima settimana. E aggiunge che se eravamo arrivati fino a questo punto voleva dire che il bambino in realtà volevamo tenerlo. Io ero convinta della mia scelta. Ed ero all’ottava settimana. Lo sapevo per certo perché il mio compagno vive in un’altra città. Il ginecologo allude che forse c’è un altro, dice che le macchine non sbagliano, e si rifiuta di firmare l’ecografia“.
Lei se ne va e consulta un ginecologo privato, “che mi spiega che erano stati messi dei parametri sbagliati. Conferma che ero all’ottava, come dicono anche al Caldarelli, dove decido di andare”. Nel più grande ospedale del Sud “le visite sono possibili solo il mercoledì perché negli altri giorni ci sono solo obiettori. La ginecologa decide per l’intervento, nonostante ci fossero le condizioni per utilizzare il farmaco, mi mettono in una stanza con altre due donne proprio di fronte alle partorienti. Né al mio compagno né a quello delle altre è consentito l’accesso. Eppure avere una persona accanto sarebbe importante. Non sono previsti degli antidolorifici e ad oggi mi chiedo se questo non fosse una sorta di punizione”.