La città di Cannes, in apparenza così diversa da Venezia, ha qualcosa di essenziale in comune con la laguna: quando vai via, è come se non fosse mai esistita.
Credo sia la cifra delle città magiche dei festival e delle mostre del cinema. Città come lanterne che proiettano sulle proprie pareti di mare e di cielo le molecole celesti di personaggi, storie, sogni e racconti destinati a sparire nel giro di qualche settimana per sedimentarsi nel segreto del cuore, nel silenzio della memoria.
Quest’anno a Cannes è piovuto fin dal primo giorno e pioverà ancora, forse solo per i primi giorni. Dicono che la pioggia durante il Festival qui sia una tradizione.
È una pioggia leggerissima, che osservata sotto l’ala protettrice del red carpet coperto come una serra ha tutto l’aspetto di una tempesta marina, che risparmierà attori e attrici avvinti nel sogno degli abiti e dei film.
Il primo giorno, per un fotografo accreditato, è quello più difficile. Non certo per una questione di logistica: qui è tutto organizzato con perfezione quasi certosina, le file chilometriche di accreditati vengono smaltite che è una bellezza, grazie ad un personale numeroso, svelto e cortese.
“Allez-Ici!”, mi sussurrano in tanti mentre controllano la mia attrezzatura e a me questa lingua risuona dolcissima come una musica. Nessun fastidio, solo tanta stanchezza: il volo, il controllo delle fotocamere, delle schede e del pc, il pensiero di non riuscire a consegnare tutte le foto all’agenzia.
Poi appare Meryl Streep. Piove, ma lei sorride col suo panama e il maltempo e qualsiasi altra contrarietà svaniscono. Una Diva e la sua leggerezza.
E poi è la volta del red carpet e della Montée des Marches. Ancora un sogno che somiglia allo stordimento e all’ubriacatura. Ce l’hai fatta, le foto ci sono. Puoi concederti anche tu stessa una foto ricordo sulla Montée. Persino la pioggia si calma e Cannes è bellissima, perduta in una lontananza che è quasi donata.