Tumore al seno: trastuzumab con pertuzumab efficaci senza chemioterapia


Tumore al seno: un regime terapeutico neoadiuvante chemo-free con trastuzumab e pertuzumab, con o senza una terapia endocrina, è efficace

abemaciclib pdta linfonodo sentinella sessualità elacestrant tumore al seno associazioni di volontariato

In donne con tumore della mammella in fase iniziale, positivo per il recettore HER2 (HER2+), un regime terapeutico neoadiuvante chemo-free con trastuzumab e pertuzumab, con o senza una terapia endocrina, basato sulla valutazione della risposta patologica completa (pCR) mediante tomografia a emissione di positroni con 18F-fluorodeossiglucosio (18F-FDG-PET), è sicuro e produce un tasso di sopravvivenza libera da malattia invasiva (iDFS) a 3 anni elevato, anche senza la chemioterapia. Lo mostrano i risultati di una seconda analisi dello studio di fase 2 PHERGain, pubblicata su di recente The Lancet.

A un follow-up mediano di 43,3 mesi (range: 0-63; cut-off dei dati: 4 novembre 2022), il tasso di iDFS a 3 anni è risultato del 94,8% (IC al 95% 91,4%-97,1%; P = 0,001) tra le pazienti trattate con un regime con solo trastuzumab più pertuzumab, con o senza terapia endocrina orale e senza chemioterapia. Inoltre, i risultati di iDFS a 3 anni sono risultati indipendenti dalla positività o meno per i recettori ormonali (HR), dallo stato dei linfonodi e dall’espressione del recettore HER2.

Nelle pazienti trattate con la sola terapia biologica sono stati stimati tassi di sopravvivenza libera da malattia (DFS) e di sopravvivenza libera da malattia a distanza (DDFS) a 3 anni rispettivamente del 94,8% (IC al 95% 91,4%-97,1%) e 96,5% (IC al 95% 94,3%-98,8%)

«Questo studio di fase 2, randomizzato, non comparativo, multicentrico, in aperto, ha mostrato che una strategia adattata in base risposta patologica completa osservata alla 18F-FDG-PET ha consentito di identificare un gruppo di pazienti con carcinoma della mammella in fase iniziale HER2+ che hanno potuto tranquillamente fare a meno della chemioterapia ed essere trattate soltanto con un doppio blocco di HER2 con trastuzumab e pertuzumab», scrivono Antonio Llombart-Cussac, dell’Ospedale Universitario Arnau de Vilanova di Valencia, in Spagna, e i suoi colleghi.

Lo studio PHERGain 
Il trial internazionale PHERGain (NCT03161353), ha arruolato donne di età pari o superiore a 18 anni con carcinoma mammario invasivo, operabile, non trattato in precedenza, confermato centralmente, HER2+, in stadio da I a IIIA, con una o più lesioni valutabili alla 18F-FDG-PET. Le pazienti dovevano inoltre avere un performance status ECOG di 0 o 1, una frazione di eiezione ventricolare sinistra pari o superiore al 55% e un’adeguata funzionalità d’organo. Sono state, invece, escluse dallo studio le donne che al momento dell’arruolamento presentavano una malattia in stadio IV/metastatico, un carcinoma mammario bilaterale o erano state trattate in precedenza per un carcinoma mammario invasivo.

Le partecipanti sono state assegnate a due bracci di trattamento, secondo un rapporto di randomizzazione 1:4. Nel braccio A, il trattamento consisteva in docetaxel endovena alla dose di 75 mg/m2, carboplatino endovena con un’area sotto la curva pari a 6 mg/ml/min, trastuzumab sottocute a dose fissa di 600 mg e pertuzumab endovena a una dose di carico di 840 mg, seguita da dosi di mantenimento di 420 mg (trattamento TCHP).

Nel braccio B, le pazienti sono state trattate con trastuzumab più pertuzumab, con o senza terapia endocrina orale, ogni 3 settimane. In questo gruppo, le pazienti con malattia HR+ sono state trattate con letrozolo orale 2,5 mg al giorno o tamoxifene orale 20 mg al giorno a seconda che fossero in postmenopausa o in premenopausa/perimenopausa rispettivamente.

Le pazienti sono state sottoposte a valutazione centralizzata con 18F-FDG-PET, controllata centralmente, al basale e dopo due cicli di trattamento. Le pazienti del gruppo A sono state trattate con sei cicli di docetaxel più carboplatino in concomitanza con trastuzumab e pertuzumab, indipendentemente dalla risposta alla PET.

Le pazienti del gruppo B, invece, dopo i primi due cicli di terapia biologica hanno ricevuto un trattamento che dipendeva dai risultati della PET. Quelle che secondo la PET risultavano responder, cioè che avevano mostrato una riduzione di almeno il 40% del valore di captazione standardizzato massimo (maximum standardized uptake value, SUVmax) rispetto al basale, hanno continuato con trastuzumab e pertuzumab, con o senza terapia endocrina, per altri sei cicli, mentre le non-responder sono passate al trattamento con sei cicli di TCHP.

Le pazienti che hanno interrotto la fase neoadiuvante del trattamento hanno potuto iniziare un’altra terapia neoadiuvante o sottoporsi a un intervento chirurgico al di fuori dello studio. L’intervento, secondo il protocollo, poteva prevedere una chirurgia conservativa oppure una mastectomia con biopsia del linfonodo sentinella o in una dissezione ascellare, e veniva eseguito da 2 a 6 settimane dopo l’ultimo ciclo di terapia neoadiuvante.

Dopo l’intervento chirurgico, le pazienti del gruppo B che avevano ottenuto una risposta secondo la 18F-FDG-PET, ma non una risposta patologica completa, sono state trattate con ulteriori sei cicli di TCHP. Tutte le pazienti di entrambi i gruppi hanno completato un massimo di 18 cicli di trastuzumab più pertuzumab in assenza di progressione di malattia, tossicità inaccettabile, ritiro per decisione della paziente o dello sperimentatore. Infine, le pazienti sono state sottoposte a terapia endocrina e radioterapia adiuvante in base allo stato di HR e alla pratica in uso presso il centro.

Gli endpoint primari di PHERGain erano la risposta patologica completa in tutte le pazienti del gruppo B responder alla PET dopo due cicli di trattamento, secondo una valutazione locale, e l’iDFS a 3 anni nelle pazienti del gruppo B sottoposte a chirurgia secondo il protocollo.

In totale, 356 partecipanti provenienti da 45 ospedali di 7 Paesi sono state assegnate al gruppo A (71) o al gruppo B (285), tra il 26 giugno 2017 e il 24 aprile 2019. In entrambi i gruppi, il 66% delle pazienti aveva una malattia HR+, il 48% un coinvolgimento linfonodale e il 76% era in stadio II.

Complessivamente, quasi tutte le pazienti (96% del gruppo A e 99% del gruppo B), sono state trattate con almeno un farmaco in studio e di queste sono state sottoposte all’intervento chirurgico l’89% nel gruppo A e il 94% nel gruppo B. Nessuna paziente era più in trattamento al momento della scrittura del lavoro.

Già centrato il primo endpoint primario
PHERGain aveva centrato il suo primo endpoint primario già alla prima analisi pianificata (pubblicata su The Lancet Oncology nel 2021). In totale, l’80% delle pazienti del gruppo B era risultato responder alla 18F-FDG-PET e il 40% di queste aveva ottenuto una risposta patologica completa (IC al 95% 31,6%-44,5%; P < 0,0001 rispetto al tasso storico).

La recidiva a distanza è risultato l’evento osservato più di frequente nell’analisi dell’iDFS a 3 anni (3%). Sette delle otto pazienti con recidiva a distanza non hanno raggiunto una risposta patologica completa, cinque erano responder alla 18F-FDG-PET, sei avevano linfonodi positivi e due una malattia in stadio II con linfonodi negativi. Gli altri eventi di iDFS nel gruppo B sono stati: recidiva locoregionale omolaterale (tre pazienti), secondo tumore primario non mammario nell’ovaio (due pazienti) e una morte per suicidio.

Tra le pazienti del gruppo B responder alla 18F-FDG-PET, con una risposta patologica completa e non trattate con la chemioterapia durante lo studio (86), il tasso stimato di iDFS a 3 anni è risultato del 96,4% (IC al 95% 92,4%-100%). In questa popolazione si sono verificati tre eventi di iDFS: una recidiva locoregionale omolaterale e due secondi tumori primari all’ovaio.

Tra le pazienti del gruppo A sottoposte a chirurgia secondo il protocollo (63), i tassi stimati di iDFS, DFS e DDFS a 3 anni sono risultati tutti del 98,3% (IC al 95% 95,1%-100%). Nel gruppo A si è verificato un decesso, attribuito a un evento di recidiva a distanza.

I tassi di sopravvivenza libera da eventi stimati a 3 anni sono risultati rispettivamente del 98,4% (IC al 95% 95,3%-100%) nel gruppo A e del 93,5% (IC al 95% 90,7%-96,5%) nel gruppo B, mentre i tassi di sopravvivenza globale (OS) stimati a 3 anni sono risultati rispettivamente del 98,4% (IC al 95% 95,3%-100%) e del 98,5% (IC al 95% 97,1%-100%).

Profilo di sicurezza confermato
Tra le 351 pazienti incluse nell’analisi di sicurezza, l’81% del gruppo A (55 su 68) e l’86% del gruppo B (244 su 283) sono state trattate con tutti i cicli di trattamento programmati dello studio. L’analisi della sicurezza ha incluso per il gruppo B: il 90% delle responder con risposta patologica completa (77 su 86), l’88% delle responder senza risposta patologica completa (124 su 141) e il 77% delle non-responder (43 su 56). In totale, il 9% delle pazienti del gruppo A e il 2% del gruppo B hanno interrotto il trattamento.

Gli autori non hanno osservato nuovi segnali di sicurezza. Gli eventi avversi più frequenti tra le pazienti trattate con la chemioterapia neoadiuvante o adiuvante sono stati diarrea, affaticamento, stomatite, anemia, neutropenia e alopecia, mentre gli eventi di grado 3 o superiore più comuni tra le pazienti trattate con la sola terapia biologica sono stati affaticamento e diarrea.

Per quel che riguarda gli eventi avversi emergenti durante il trattamento di tipo ematologico, quelli di grado 3 o superiore sono stati anemia (7% in entrambi i gruppi), neutropenia (28% nel gruppo A e 11% nel gruppo B), trombocitopenia (4% e 4%) e neutropenia febbrile (21% e 13%). Gli eventi avversi emergenti durante il trattamento di tipo non ematologico di grado 3 o superiore più frequenti sono stati affaticamento (16% e 7%), diarrea (10% e 6%), nausea (0% e 2%), stomatite (9% e 1%), alopecia (1% e 1%), vomito (1% e 2%) e rash (1% e < 1%).

Nel gruppo A, scrivono gli autori, sono stati registrati tassi numericamente più elevati di eventi correlati al trattamento (62%) ed eventi seri (28%) rispetto a quelli del gruppo B (33% e 14%, rispettivamente). Le pazienti responder alla 18F-FDG-PET e con risposte patologiche complete del gruppo B hanno mostrato l’incidenza più bassa di eventi correlati alla terapia di grado 3/4 (1%) e nessun evento serio.

In conclusione
«Il nostro studio offre un’alternativa terapeutica nuova da considerare nella nostra pratica clinica quotidiana, che in questa popolazione di pazienti consente una significativa riduzione della tossicità senza comprometterne l’efficacia», concludono gli autori.

Bibliografia
J.M. Pérez-García, et al. 3-year invasive disease-free survival with chemotherapy de-escalation using an 18F-FDG-PET-based, pathological complete response-adapted strategy in HER2-positive early breast cancer (PHERGain): a randomised, open-label, phase 2 trial. Lancet. 2024;403(10437):1649-1659. doi:10.1016/S0140-6736(24)00054-0  leggi