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96 Rue de-La-Fontaine pubblica tutte le poesie di Andrea Rossetti in “Cento Canti”

poesie

“96 Rue de-La-Fontaine” di Marco Bonalumi pubblica tutte le poesie di Andrea Rossetti, scrittore, musicista, autore teatrale e attore, nel volume intitolato “CENTO CANTI”

La casa editrice “96 Rue de-La-Fontaine” di Marco Bonalumi pubblica tutte le poesie di Andrea Rossetti, scrittore, musicista, autore teatrale e attore, nel volume intitolato “CENTO CANTI”. Alle nostre domande Rossetti ha risposto così.

“Posso chiederti una sorta di sinossi di questo libro?”

Trattandosi di poesia una sinossi rischia di essere pletorica, auto-celebrativa, ruffiana e comunque inutile.
Posso solo dire che in “CENTO CANTI” c’è tutta la vita che sin qui ho vissuta: essi ne cantano la contrazione galvanica quale inutilità dolorosa, la sua dissipazione nel tradimento di ogni naturale aspettativa, il nichilismo panico, l’amore carnale celebrato come ebbrezza compulsiva e quello ideale invece sommesso, appena sfiorato nella terza e ultima parte del libro. Riflessi nello specchio dolcemente tagliente della parola in musica dei versi – la scelta della metrica classica è infatti tutt’altro che casuale – l’odiosa mia vita, il suo orribile vuoto, la sua paurosa insensatezza, la marcia vanità del quotidiano, si lasciano andare in forma di canzoniere forse a fin di bene.

“Cos’è per te la scrittura?”

La scrittura è la mistificazione della verità nella parola, giacché ciò che di quella rimane, la sua essenza grafica, non è della parola stessa che segno, alfabeto, grammatica, sintassi. Mancano la voce, il suono, l’origine, il verso, il teatro. Tutto è già epocale, inaugurato, scelto. La verità nella parola è sempre un istante prima, quando essa mostra sé stessa senza dire. La verità della parola è nel silenzio che la precede e nel suono che l’accompagna e in cui infine si perde, come nei melismi gregoriani e nei gorgheggi operistici mozartiani o rossiniani. Ciò che di solito si definisce scrittura creativa non è in realtà che la celebrazione notarile di un’autoreferenzialità più o meno ben concepita. La poesia è altro: essa non può prescindere dall’abbandono, dall’insipiente esuberanza di una deriva.

“Per quanto tempo hai lavorato a questo libro?”

Ho impiegato anni per arrivare alla forma definitiva dei “CENTO CANTI”.
Mi piace immaginarla come una sorta di pianta che viene alla luce a partire dalle radici e dal fusto, rappresentati dalle meditazioni esistenziali che compongono la prima parte, ELEGIA DELLE CENERI, e che si libra poi nella fioritura di due rami, quello dell’esistenzialismo vitale e carnale degli amori consumati e perduti della seconda parte, GLI INCONTRI, e il nuovo stilnovismo che, nella terza parte, intitolata TRAÜMEREI, celebra invece la verità di un amore eterno e spirituale che trova nella figura di Chiara (richiamo diretto al mio ultimo romanzo, “L’ULTIMO VIAGGIO DI WERNER MÜDE”, uscito nello scorso giugno per i tipi delle edizioni Giacovelli) la sua icona ideale. Non a caso la struttura dei “CENTO CANTI”, per il numero dei componimenti e per la loro tripartizione accompagnata da una speculare e progressiva mutazione stilistica, rimanda esplicitamente a quella della “DIVINA COMMEDIA” (Dante, insieme a Leopardi e a Baudelaire, rappresenta da sempre il mio “lar familiaris”). Credo, infine, che la scelta sfrontata e orgogliosa, meditata a lungo e fortemente voluta, dell’uso di forme metriche che attingono all’intera storia della letteratura italiana, utilizzate, consentimi l’immodestia, con perizia tecnica non comune, conferisca a questo mio lavoro un ulteriore e quasi paradossale guizzo di assoluta e consapevole contemporaneità.

“Sei felice quando una tua opera viene pubblicata e vede la luce?”

La felicità è una lampada accesa sulla pietra angolare di un bordello. Io scrivo per stravedere una lucciola.

 

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