Imatinib efficace a lungo per tumori stromali gastrointestinali


Tumori stromali gastrointestinali ad alto rischio di ricaduta: benefici dal trattamento di mantenimento a base di imatinib prolungato a 6 anni

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In pazienti con tumori stromali gastrointestinali (GIST) ad alto rischio di ricaduta, il trattamento di mantenimento a base dell’inibitore delle tirosin chinasi (TKI) imatinib prolungato a 6 anni può migliorare del 60% la sopravvivenza libera da malattia (DFS) rispetto al mantenimento standard di 3 anni. Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 3 ImadGIST, presentati durante una sessione plenaria virtuale della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO).

Da una DFS a 3 anni del 55%, nei pazienti trattati con imatinib per 3 anni, si è passati all’87% nei pazienti trattati con il TKI per 6 anni (HR 0,40; IC al 95% 0,20-0,67; P= 0,008).

I maggiori benefici del mantenimento prolungato sono stati osservati nei pazienti che presentavano un rischio stimato di recidiva del 35-70%, anche se i pazienti con un rischio stimato superiore (>70%) hanno mostrato comunque un miglioramento se trattati con la terapia di mantenimento prolungata. Un’ulteriore analisi ha evidenziato che i pazienti con un rischio stimato di recidiva >70% e la cui massa tumorale è stata asportata intatta (senza rotture) durante l’intervento hanno tratto benefici significativi dal mantenimento prolungato, al contrario di quei pazienti che hanno avuto questa complicanza.

I dati relativi agli endpoint secondari, quali il tempo all’insorgenza della resistenza a imatinib e la sopravvivenza globale (OS), sono ancora immaturi, ha riferito Jean-Yves Blay, della Università Claude Bernard di Lione, durante la presentazione dei dati.

«L’estensione della durata standard di imatinib adiuvante da 3 anni a 6 anni offre una riduzione significativa del rischio di recidiva o di morte», ha detto Blay. «È stato bello vedere che la DFS mediana nel gruppo di pazienti ritrattati con imatinib alla progressione è stata di 40 mesi, molto coerente con quanto riportato nella prima linea, indicando che probabilmente l’esito in termini di sopravvivenza nei pazienti recidivati sarà lo stesso dei pazienti che non hanno recidivato. Questo dato ovviamente dovrà essere confermato con un ulteriore follow-up, ma è del tutto ragionevole ipotizzare che anche in questi pazienti emergerà una resistenza al trattamento successivo», ha continuato lo sperimentatore.

«I risultati dello studio ImadGIST sono a sostegno di una durata di imatinib adiuvante di 6 anni per i GIST ad alto rischio con un rischio di ricaduta superiore al 35%», ha aggiunto Blay.

Lo studio ImadGIST
Lo standard di cura per i GIST nei pazienti ad alto rischio consiste nel trattamento adiuvante di mantenimento per 3 anni. Tuttavia, circa la metà dei pazienti ha una ricaduta dopo la sospensione di imatinib.

Lo studio ImadGIST (NCT02260505), trial multicentrico, randomizzato, in aperto, condotto preso 14 centri francesi, è stato ideato per determinare se prolungare il mantenimento con imatinib oltre i 3 anni potesse migliorare la DFS nei pazienti con GIST ad alto rischio, portatori di mutazioni di KIT.

Dal 24 dicembre 2014 al 14 aprile 2023 sono stati arruolati nel trial 136 pazienti di almeno 18 anni e con un performance status ECOG ≤2, con diagnosi confermata di GIST localizzato KIT-positivo, pienamente resecato e con un rischio di recidiva ≥35%.

Dopo l’intervento chirurgico tutti i partecipanti sono stati trattati con imatinib per 3 anni e poi assegnati in modo casuale alla terapia di mantenimento per ulteriori 3 anni con imatinib o alla sua sospensione (controllo). I pazienti del braccio di controllo che presentavano una ricaduta al di fuori del disegno randomizzato potevano riprendere la terapia con imatinib.

L’endpoint primario era la DFS a 3 anni, mentre gli secondari includevano l’OS, la sicurezza e la tollerabilità, il tempo all’insorgenza di resistenze secondarie a imatinib e la qualità della risposta obiettiva dopo la reintroduzione di imatinib in caso di recidiva. Lo studio aveva la potenza statistica per rilevare un Hazard Ratio (HR) di 0,462, che rappresentava un miglioramento della DFS dal 75%, con 3 anni di imatinib, al 90%, con il mantenimento prolungato.

Risultati positivi nei pazienti ritrattati con imatinib
L’analisi dei dati ha incluso 71 pazienti nel braccio trattato con imatinib per 6 anni e 65 pazienti nel braccio trattato con il TKI solo per 3 anni. Un terzo circa dei pazienti nel braccio di controllo aveva un rischio di recidiva stimato del 35-70%, rispetto al 44% del braccio sperimentale. Inoltre, rispettivamente il 57% dei pazienti e il 48% presentava un rischio di recidiva stimato >70%. Circa l’84% circa dei pazienti era portatore di mutazioni dell’esone 11 del gene KIT.

L’analisi dei risultati in base alla stratificazione del rischio ha mostrato che tra i pazienti con rischio stimato del 35-70% hanno avuto recidive otto pazienti su 21 nel braccio di controllo rispetto a uno su 31 nel braccio trattato con il TKI per 6 anni (HR 0,08; P = 0,0016). Tra i pazienti con rischio stimato >70%, hanno avuto recidive 20 pazienti su 37 nel braccio di controllo e 14 su 34 nel braccio sperimentale (HR 0,68, P = 0,2581).

Tra i pazienti del braccio di controllo che hanno avuto una ricaduta successivamente all’interruzione di imatinib dopo 3 anni di terapia adiuvante, la sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana è stata di 40 mesi, simile a quanto riportato per i pazienti in prima linea, ha precisato Blay.

Tossicità aumentata
Tuttavia, il mantenimento più lungo ha comportato maggiori tossicità. Rispetto al trattamento per 3 anni, il mantenimento prolungato con imatinib è risultato associato a una frequenza di eventi avversi (di tutti i gradi) significativamente maggiore, tra cui spasmi muscolari (51% contro 22%), diarrea (44% contro 23%), astenia (30% contro 17%), dolore addominale (21% contro 11%), edema palpebrale (20% contro 3%) e mialgia (16% contro 8%).

Diverse domande chiave senza risposta
I risultati sono promettenti e in linea con le aspettative, ha dichiarato Hans Gelderblom, dello University Medical Center di Leiden, in Olanda, invitato dall’ESMO a discutere i risultati. Lo studio aveva un numero adeguato di partecipanti per valutare la DFS, ma è comunque lo studio più piccolo e con il follow-up più breve, il che ha reso l’analisi dei sottogruppi problematica.

Inoltre, lo studio lascia diverse domande chiave senza risposta. Per esempio, occorrerebbe capire meglio perché non si siano osservati benefici significativi nella popolazione complessiva ad alto rischio e nei pazienti che hanno avuto una rottura della massa tumorale durante l’asportazione chirurgica. Inoltre, i risultati migliori sono stati accompagnati da una tossicità più elevata, il che impone una valutazione della qualità della vita. Anche l’applicabilità dei risultati in un contesto reale, con pazienti anziani che hanno comorbidità multiple, rappresenta un tema da chiarire.

«Il punto principale a mio avviso è che non abbiamo ancora osservato un beneficio di sopravvivenza globale, quindi questo studio non cambia la pratica clinica», ha detto Gelderblom.

Alcune risposte potrebbero arrivare dallo studio 22 dello Scandinavian Sarcoma Group, che valuterà il mantenimento con imatinib per 3 o 5 anni nei pazienti ad alto rischio. «Sarebbe davvero interessante combinare tutti gli studi su trattamenti adiuvanti ed esaminare più approfonditamente le mutazioni, che sono i veri fattori di rischio, mediante i nuovi nomogrammi, e capire meglio cosa stiamo facendo e quali pazienti dovrebbero essere trattati con imatinib come adiuvante e per quanto tempo», ha aggiunto Gelderblom.

Bibliografia
J.Y. Blay, et al. A randomized study of 3 vs 6 years of adjuvant imatinib in patients with localized GIST at high risk of relapse. ESMO Virtual Plenary, 9 May 2024; abstract VP3-2024.