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Alla Fondazione Giuseppe Iannaccone prosegue “Voce di moltitudini”

VOCE DI MOLTITUDINI

Fino al 25 ottobre negli spazi della RSA Vittoria di Brescia – Korian la mostra “Voce di moltitudini”, ideata e realizzata dalla Fondazione Giuseppe Iannaccone

Nel contesto della battaglia culturale contro la violenza di genere – oggetto di indagine artistica da parte della Fondazione Giuseppe Iannaccone e tema approfondito da un ciclo di conferenze promosso da Korian ha aperto da poco negli spazi della RSA Vittoria di Brescia – Korian la mostra Voce di moltitudini, ideata e realizzata dalla Fondazione.

Fino al 25 ottobre, in un crocevia di narrazioni e testimonianze da luoghi del mondo in cui discriminazione e violenza di genere sono drammaticamente attuali, le opere di Zehra Doğan, Shadi Ghadirian, Terence Koh, Iva Lulashi e Zanele Muholi dialogano con gli spazi della RSA offrendo un contesto libero in cui le espressioni possano trascendere ogni barriera culturale, economica e geografica, consentendo a tutti gli oppressi di emergere con forza e dignità.

Il titolo Voce di moltitudini rimanda alla capacità degli artisti di dare voce a messaggi universali e, in questo caso, a tutte quelle donne che nella quotidianità affrontano situazioni difficili e sono prive dei mezzi necessari per agire nel tessuto sociale.

Voce di moltitudini vuole superare i confini della semplice esposizione, diventando un riconoscimento e un invito alla riflessione, opponendosi a una realtà, spesso invisibile, di discriminazione e negazione dei diritti elementari.

Zehra Doğan (Nusaybin, 1989) ha vissuto una drammatica esperienza di detenzione per aver pubblicato sui social network un post che evidenziava le atrocità commesse dallo Stato turco sul popolo curdo.

Attraverso le sue opere porta alla luce le ingiustizie subite dal suo popolo, riflettendo un impegno che trascende i confini geografici per toccare le corde generali dell’umanità e della resistenza.

La scelta di utilizzare materiali di recupero per la sua produzione è metafora della resilienza e della trasformazione del dolore in espressione liberatoria.

Shadi Ghadirian (Teheran, 1974), con la sua fotografia, esplora l’identità femminile nell’Iran post-rivoluzionario, sottolineando le contraddizioni tra modernizzazione e tradizione. Le sue opere, ironiche e provocatorie, mettono in scena la spersonalizzazione della donna, piegata a una funzione meramente domestica e sottoposta al controllo sociale.

Iva Lulashi (Tirana, 1988) attraverso la pittura indaga la memoria collettiva e la tradizione del potere, esaminando le dinamiche di genere con uno sguardo critico che interroga i paradigmi di una passata dittatura fatta di privazioni e controllo, proponendoci nuove narrazioni capaci di sovvertire l’ordine stabilito.

Zanele Muholi (Umlazi, 1972), attivista visivƏ sudafricanƏ, usa la fotografia per documentare e celebrare la comunità LGBTQIA+ del suo Paese che, da decenni, subisce violente ingiustizie. Attraverso i suoi scatti crea un archivio visivo che sfida le rappresentazioni stereotipate e promuove una comprensione più profonda delle questioni identitarie.

Nello spazio espositivo popolato da artiste donne emerge la presenza di una piccola figura maschile di marmo bianco, scolpita dalle mani dell’artista queer Terence Koh (Pechino, 1977).

Il marmo, freddo e duro, piegato dalla tecnica dell’artista diventa un riflesso di vulnerabilità e introspezione. Il piccolo uomo, rannicchiato in posizione fetale, è simbolo universale di nascita, di rinascita e di speranza così come di pentimento e dolore. È l’essere umano che si confronta con la sua fragilità, riconoscendo la parte più intima e nascosta di sé e del suo agire.

In un’esposizione in cui le voci femminili si alzano potenti raccontando storie di resistenza e denuncia, la presenza di quest’opera è un invito al dialogo e alla comprensione, un abbraccio silenzioso, un gesto di rispetto e di empatia. È la rappresentazione tangibile della consapevolezza che la lotta contro la violenza di genere è una battaglia condivisa, che richiede il coinvolgimento di tutti, senza distinzione.

Questo progetto ha l’ambizione di raccontare quanto l’arte possa essere strumento di cambiamento sociale, un invito a riflettere e agire. Ogni opera e ogni storia presenti nel percorso creano un ponte tra le esperienze individuali degli artisti e una consapevolezza collettiva, invitando i visitatori a non limitarsi a osservare, ma a contribuire attivamente alla costruzione di un futuro in cui la parità di genere possa essere garantita.

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