Alfa-bloccanti non riducono il rischio di cancro alla prostata di alto grado


Gli alfa-bloccanti, farmaci utilizzati per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, non sembrano ridurre il rischio di cancro alla prostata di alto grado

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Gli alfa-bloccanti, farmaci ampiamente utilizzati per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, non sembrano ridurre il rischio di cancro alla prostata di alto grado o di morte per cancro alla prostata e, in più, sono risultati associati a un aumento del rischio di cancro alla prostata di basso grado. A suggerirlo sono i risultati di un ampio studio osservazionale svedese, pubblicato di recente sul Journal of the National Cancer Institute.

I risultati non confermerebbero, dunque, l’effetto antitumorale degli alfa-bloccanti suggerito da precedenti studi preclinici.

Lo studio svedese
Su 351.297 uomini svedesi inseriti nel Stockholm PSA and Biopsy registry, 39.856 (l’11,3%) avevano ricevuto almeno due prescrizioni di un antagonista dei recettori alfa-1-adrenergico (alfa-bloccante).

Nel corso di un follow-up mediano di 8,9 anni, riferiscono gli autori, l’uso di alfa-bloccanti non ha mostrato alcuna associazione con il cancro alla prostata di alto grado e con la mortalità specifica per cancro alla prostata o per qualsiasi causa.

I soggetti che assumevano alfa-bloccanti, tuttavia, hanno mostrato un aumento significativo, pari all’11%, del rischio di sviluppare un cancro alla prostata e un aumento del 22% del rischio di cancro alla prostata di basso grado.

Gli alfa-bloccanti sono stati assunti per una media di 4,4 anni e i ricercatori riferiscono che gli uomini trattati con alfa-bloccanti avevano eseguito test del PSA e visite mediche più frequenti.
Gli alfa-bloccanti utilizzati includevano alfuzosina, terazosina e tamsulosina. I ricercatori hanno considerato anche l’uso degli inibitori della 5-alfa-reduttasi, tra cui finasteride e dutasteride.

In conclusione
«I nostri risultati non evidenziano un’associazione significativa fra esposizione agli antagonisti dei recettori alfa-1-adrenergici e riduzione della mortalità da tumore alla prostata o del tumore alla prostata di altro grado. Sebbene le evidenze precliniche mostrino un potenziale effetto chemiopreventivo, i risultati del nostro studio non li confermano», scrivono gli autori nelle conclusioni.

Pertanto, conclude il team svedese, «Considerando l’uso diffuso di farmaci per la gestione dei sintomi del tratto urinario inferiore, i nostri risultati hanno implicazioni cliniche significative, confermando che gli α1-antagonisti non possono servire come strategia riproposta per la chemioprevenzione del tumore alla prostata».

Bibliografia
L. Björnebo, et al. Prostate cancer incidence and mortality in men exposed to α1-adrenoceptor antagonists. J Natl Cancer Inst. Published online May 16, 2024; doi:10.1093/jnci/djae108. leggi