L’assunzione di metformina sembra essere associata a un rischio significativamente ridotto di sviluppare neoplasie mieloproliferative, specie se protratto per almeno 5 anni
L’assunzione di metformina sembra essere associata a un rischio significativamente ridotto di sviluppare neoplasie mieloproliferative, specie se protratto per almeno 5 anni, il che potrebbe avere implicazioni nella prevenzione anche di altri tumori. A suggerirlo sono i risultati di uno studio caso-controllo danese, pubblicato di recente su Blood Advances, il primo, secondo gli autori, a indagare sull’associazione tra uso di metformina e rischio di neoplasie mieloproliferative.
L’odds ratio (OR), con il quale è stata misurata l’associazione tra l’impiego di metformina e lo sviluppo di sindromi mieloproliferative , per i pazienti che hanno utilizzato metformina per meno di un anno è risultato pari a 0,84 (IC al 95%, 0,73-0,96), mentre l’OR aggiustato (aOR) è risultato pari a 0,70 (IC al 95% 0,61-0,81). Per i pazienti classificati come utilizzatori di lunga durata, cioè quelli che avevano assunto metformina per almeno 5 anni, l’OR è risultato pari a 0,57 (IC al 95% 0,42-0,79) e l’aOR pari a 0,45 (IC al 95% 0,33-0,63), valore, quest’ultimo, corrispondente a una riduzione del 55% del rischio di sviluppare una neoplasia mieloproliferativa.
«Siamo rimasti sorpresi dall’ampiezza dell’associazione che abbiamo riscontrato nei dati. L’effetto maggiore lo abbiamo visto nelle persone che avevano assunto la metformina per più di 5 anni, rispetto a quelle che avevano assunto il farmaco per meno di un anno», ha dichiarato in un comunicato stampa l’autore principale dello studio, Daniel Tuyet Kristensen, dell’Aalborg University Hospital, in Danimarca.
Potenziale antitumorale da chiarire
La metformina è un farmaco largamente utilizzato per il trattamento del diabete mellito di tipo 2 per le sue note proprietà ipoglicemizzanti.
Metanalisi precedenti sul suo impiego in oncologia avevano messo in luce una riduzione del rischio di tumori solidi e della mortalità nei pazienti in trattamento col farmaco, ma i risultati non erano coerenti tra i diversi studi e i diversi tipi di tumore, spiegano gli autori nell’introduzione dello studio. Inoltre, studi preclinici avevano mostrato un effetto antileucemico della metformina nelle neoplasie mieloidi.
Sulla base di questi presupposti, i ricercatori danesi hanno deciso di valutare meglio l’associazione tra consumo di metformina e rischio di neoplasie mieloproliferative.
«Ci interessava valutare l’effetto antinfiammatorio della metformina, in quanto le neoplasie mieloproliferative sono malattie caratterizzate da uno stato di infiammazione molto alta», ha spiegato Anne Stidsholt Roug, anche lei dell’Aalborg University Hospital in Danimarca e co-autrice della ricerca.
Lo studio danese
A tale scopo, gli autori hanno eseguito uno studio caso-controllo basato sulla popolazione danese, utilizzando vari registri nazionali, e confrontando l’uso di metformina tra i pazienti con una diagnosi di neoplasia mieloproliferativa (casi) e una popolazione abbinata di controllo, estratta dalla popolazione generale danese, nel periodo tra il 2010 e il 2018.
Gli autori hanno definito utilizzatori saltuari di metformina coloro che avevano ritirato una prescrizione prima della prima data di diagnosi di neoplasia mieloproliferativa registrata nel Danish National Chronic Myeloid Neoplasia Registry (DCMR), mentre è l’uso a lungo termine è stato definito come un impiego consecutivo di metformina per almeno 5 anni prima della diagnosi di neoplasia mieloproliferativa.
La durata cumulativa del trattamento, inoltre, si è basata sulla dose giornaliera di metformina di 2000 mg stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, più un ulteriore 25% di giorni, per tenere conto delle variazioni nella compilazione delle prescrizioni e della mancata osservanza delle stesse.
Sono stati analizzati in totale 3816 casi e 19.080 controlli appaiati. Il 34,2% dei pazienti aveva una diagnosi di policitemia vera, il 34,3% di trombocitemia essenziale, il 15% di mielofibrosi e il 16,5% di neoplasia mieloproliferativa non classificata. Complessivamente, per il 96% dei casi analizzati erano disponibili anche i risultati dei test genetici, che indicavano la prevalenza della mutazione JAK2-V617F (78,4% dei casi) e delle mutazioni del gene CALR (5% dei casi).
In totale, sono stati classificati come utilizzatori saltuari di metformina il 7% dei casi e l’8,2% dei controlli ,e come utilizzatori di lungo termine del farmaco l’1% dei casi e il 2% dei controlli.
Chiara relazione dose-risposta
Dopo aver aggiustato i dati tenendo conto dei possibili fattori confondenti, è emersa una chiara relazione dose-risposta, con una riduzione del rischio di sviluppare la neoplasia via via maggiore all’aumentare della durata del trattamento con metformina, con un aOR di 0,79 (IC al 95%, 0,62-1,00) per un utilizzo inferiore a un anno, 0,78 per un uso per un periodo compreso fra un anno e 4,99 anni, di 0,42 per un uso per un periodo compreso fra tra 5 e 9,99 anni e di 0,56 per un’assunzione durata oltre 10 anni.
Sui pazienti che avevano fatto uso di metformina per almeno 5 anni prima della diagnosi di neoplasia mieloproliferativa sono state condotte ulteriori analisi. Per esempio, i risultati sono stati stratificati in funzione dell’età, senza trovare in questo caso differenze significative fra i pazienti anziani e quelli più giovani.
In questo sottogruppo, in particolare, l’aOR è risultato di 0,47 per i pazienti di età inferiore ai 60 anni, di 0,45 per quelli di età compresa tra i 60 e i 75 anni e di 0,46 per quelli di età superiore ai 75 anni.
Inoltre, i risultati sono apparsi coerenti per entrambi i sessi, anche se l’effetto dell’assunzione di metformina è risultato più pronunciato negli individui di sesso maschile, con un aOR di 0,37, contro 0,56 in quelli di sesso femminile.
Effetto protettivo in tutti i sottotipi di tumore mieloproliferativo
L’effetto protettivo della metformina è stato osservato, inoltre, per tutti i sottotipi di tumore mieloproliferativo, incluse la policitemia vera (aOR 0,45), la trombocitemia essenziale (aOR 0,33), la mielofibrosi (aOR 0,65) e la neoplasia mieloproliferativa di origine sconosciuta (aOR 0,46).
Per quanto riguarda i sottotipi molecolari, è stato riscontrato un effetto protettivo della metformina in presenza sia della mutazione JAK2-V617F (aOR, 0,47) sia di mutazioni del gene CALR (aOR 0,53).
In ultimo, non è stata osservata nessuna differenza per i soggetti con malattie autoimmuni. Infatti, quando l’analisi è stata limitata ai casi e controlli che non presentavano marker di malattia autoimmune, l’effetto protettivo è risultato della stessa entità di quello emerso nell’analisi primaria (aOR 0,46).
Bibliografia
D.T. Kristensen, et al. Metformin use and risk of myeloproliferative neoplasms – a Danish population-based case-control study. Blood Adv. 2024; doi:10.1182/bloodadvances.2023012266. leggi