Malattie reumatiche: i Jak inibitori riducono il ricorso agli steroidi orali


La somministrazione in cronico di steroidi orali suggerisce come il loro impiego in concomitanza con i Jak inibitori possa essere ridotto

Artrite acuta sindrome metabolica

La somministrazione in cronico di steroidi orali, come è noto, può essere causa effetti collaterali dannosi per le ossa, il metabolismo, il sistema cardiovascolare e le infezioni. Uno studio italiano di recente pubblicazione su Frontiers in Immunology, condotto nella real life da ricercatori della Unità Operativa Complessa di Reumatologia presso il Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università “Tor Vergata” di Roma, suggerisce come il loro impiego (in concomitanza con i Jak inibitori) possa essere ridotto, migliorando in tal modo la sicurezza della terapia senza inficiarne l’efficacia complessiva.

Razionale e disegno dello studio
L’armamentario terapeutico dell’artrite reumatoide (AR) e dell’artrite psoriasica (PsA) si è ampliato nel corso degli ultimi anni con l’introduzione dei Jak inibitori, una nuova classe di farmaci che consente il raggiungimento della remissione o della ridotta attività di malattia e di prevenire il danno articolare.

Ad oggi, 4 Jak-inibitori (baricitinib, tofacitinib, upadacitinib, filgotinib) sono approvati per il trattamento dell’AR, tre Jak-i (tofacitinib, upadacitinib e filgotinib) lo sono per la PsA e altre molecole sono in fase di studio.
Le attuali linee guida terapeutiche collocano i JAK-i allo stesso livello dei farmaci biologici antireumatici (bDMARD), dopo il fallimento dei farmaci convenzionali modificanti la malattia (csDMARD) per i pazienti con AR e dopo il fallimento di almeno un bDMARD, come trattamento di seconda linea, per i pazienti con PsA.

Come è noto, EMA ha recentemente fornito raccomandazioni aggiornate per l’impiego di tutti i JAK-i approvati in Europa, relativamente ai pazienti di età superiore ai 65 anni, per i fumatori e per i pazienti con aumentato rischio di eventi cardiovascolari maggiori, cancro e coaguli di sangue nei polmoni e nelle vene profonde.

I glucocorticoidi orali (OGC), invece, sono indicati nella gestione acuta delle riacutizzazioni dell’AR; anche se il loro impiego in cronico è sconsigliato per i noti effetti dannosi cumulativi a livello metabolico, cardiovascolare, osseo e infettivo, nella pratica clinica gli OGC sono comunemente utilizzati per terapie di lunga durata.

Gli OGC, in quanto csDMARDs sono spesso associati ai bDMARDs e ai tsDMARDs, e i trattamenti combinati sono caratterizzati da una minore specificità del bersaglio e presentano il rischio di infezioni ed effetti collaterali gastrointestinali ed ematologici.

Per questi motivi, i ricercatori si sono proposti, con questo studio condotto nella pratica clinica reale, di studiare il possibile effetto di “risparmio di steroidi” (steroid-sparing) dei JAK-i in diverse popolazioni di pazienti.
A tal scopo, sono stati reclutati in modo prospettico 103 pazienti (88 affetti da AR, 15 da PsA) trattati con Jak-i.
Di questi:
– Il 24% era naïve ai bDMARD
– Il 76% aveva mostrato una risposta insoddisfacente ai bDMARD (bDMARD-IR)
– Il 40% era rappresentato dai cosiddetti “pazienti difficili da trattare”, ovvero pazienti caratterizzati da insuccesso terapeutico di più di 2 bDMARD con meccanismo d’azione differente

I ricercatori hanno raccolto per tutti i pazienti dello studio i dati relativi all’attività di malattia – espressa in base ai punteggi DAS28 (per l’AR), DAPSA (per la PsA), VAS-dolore  e GH (punteggio generale sullo stato di salute) – nonché sulla posologia di somministrazione degli OGC sia al reclutamento nello studio che dopo 3, 6 e 12 mesi di trattamento.

La maggior parte dei pazienti era di sesso femminile (76%), con un’età media di 60 anni e una durata media della malattia di 11 anni. Il 57% dei pazienti con AR presentava sieropositività al fattore reumatoide (RF), mentre il 48% era sieropositivo agli anticorpi ACPA.

In 56 casi, al basale erano presenti erosioni radiografiche delle mani e dei piedi (60,2% nei pazienti con AR e 20% nei pazienti con PsA). Un totale di 25 (24%) pazienti erano naive ai farmaci biologici 78 (76%) erano bDMARD-IR e 41 (40%)  erano pazienti difficili da trattare (D2T).

Al basale, 54 pazienti (52%) erano in trattamento concomitante con OGC (12 b-naive, 42 bDMARD-IR, 35 D2T) con una dose media giornaliera di 4,3 mg; 60 pazienti (58%) erano in trattamento concomitante con un csDMARD.

Risultati principali e implicazioni dello studio
Dall’analisi dei dati è emerso che in tutta la coorte e nei pazienti b-naïve è stata registrata una riduzione della dose di OGC per tutti i time-point considerati; i pazienti bDMARD-IR sono stati in grado di ridurre la dose di OGC a 3 mesi e a 12 mesi dall’inizio del trattamento; quelli D2T solo a 3 mesi dall’inizio del trattamento.

Lo studio ha documentato anche un miglioramento dell’attività di malattia e la sospensione del trattamento con OGC già a tre mesi di terapia, in tutti i time-point considerati, indipendentemente dalla linea di trattamento con bDMARD.

Nel commentare i risultati i ricercatori, pur convenendo sulla necessità di confermare questi risultati con trial clinici randomizzati anziché studi osservazionali, perché in grado di stabilire relazioni causa-effetto, hanno tenuto a sottolineare come il loro studio presenti numerosi vantaggi, come la possibilità di disporre di dati nel tempo che consentono di stabilire la sequenza temporale degli eventi, la raccolta accurata di dati in tempo reale per la valutazione dei tassi di remissione e di LDA e la stima dei fattori associati alla remissione clinica.

“Questo studio di vita reale – spiegano  – riflette da vicino le condizioni e le variabili della pratica clinica quotidiana, rendendolo più generalizzabile al mondo esterno. Inoltre, è stato possibile includere popolazioni diverse, come i pazienti con D2T, tipicamente esclusi dagli studi randomizzati controllati, e quelli con comorbilità che riflettono le complessità della pratica clinica quotidiana”.

In conclusione, il lavoro pubblicato fornisce importanti informazioni reali sulla possibilità di ridurre gli steroidi nei pazienti trattati. Questi dati permettono di prendere in considerazione questo tipo di trattamento per i pazienti in cui gli steroidi sono più dannosi, consentendo così un uso ridotto di questi farmaci.

Bibliografia

Conigliaro P et al. The steroid-sparing effect of JAK inhibitors across multiple patient populations. Frontiers Immunol 2024. https://doi.org/10.3389/fimmu.2024.1376476

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