Sclerosi multipla: in fase 2 riduzione di attività di malattia con frexalimab


Sclerosi multipla: secondo nuovi dati, frexalimab in fase 2 riduce drasticamente l’attività di malattia alla risonanza magnetica a 48 settimane

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Frexalimab, un anticorpo monoclonale anti-CD40L di seconda generazione, sopprime l’attività di malattia in pazienti con sclerosi multipla (SM) alla risonanza magnetica a un livello insolitamente elevato, secondo nuovi dati di un follow up esteso di fase 2 a 48 settimane presentati a Nashville (USA) durante il meeting annuale 2024 del Consortium of Multiple Sclerosis Centers (CMSC).

I ricercatori hanno riscontrato una assenza pressoché totale di nuove lesioni cerebrali a 48 settimane nei pazienti trattati con la dose più alta. A questo livello di soppressione della malattia, non c’era evidenza di un aumento del rischio di infezione, che secondo i ricercatori potrebbe essere correlato al meccanismo d’azione del farmaco. Inoltre, non ci sono stati eventi trombotici, problema che ha interrotto lo sviluppo di un farmaco di prima generazione in questa stessa classe.

Tra i pazienti inizialmente assegnati in modo casuale a ricevere 1200 mg di frexalimab ogni 4 settimane, il 96% era privo di nuove lesioni positive al gadolinio (Gd+ T1) a 48 settimane, ha riferito il ricercatore Yang Mao-Draayer, direttore delle terapie cliniche e sperimentali presso il Centro di eccellenza per la sclerosi multipla della Oklahoma Medical Research Foundation di Oklahoma City. Anche i tassi annuali di recidiva erano bassi.

Conferma per le cellule CD40L come bersaglio nel controllo della patologia 
Come riportato in un precedente studio, i risultati di frexalimab a 12 settimane sono stati degni di nota perché hanno fornito la convalida delle cellule CD40L come bersaglio nel controllo della SM. Una delle caratteristiche uniche di questa terapia immunomodulatoria rispetto a molte altre analoghe è che ha mostrato scarso, se non nessuno, effetto sulla conta dei linfociti o sui livelli di immunoglobuline.

Nello studio randomizzato in doppio cieco di fase 2, 125 pazienti con SM di tutte le altre terapie per la SM sono stati randomizzati in un rapporto 4:4:4:1 a 1200 mg di frexalimab somministrato per via endovenosa ogni 4 settimane dopo una dose di carico, a 300 mg di frexalimab somministrato per via sottocutanea ogni 2 settimane dopo una dose di carico o a uno dei due bracci placebo corrispondenti. Per l’endpoint primario delle nuove lesioni Gd+ T1 alla fine dello studio in cieco, i tassi alla settimana 12 erano rispettivamente 0,2 e 0,3 nei gruppi di trattamento a dose più alta e più bassa e 1,4 nei gruppi placebo aggregati.

A 48 settimane, i risultati sono stati ancora migliori. A partire dalla settimana 12, il tasso di lesioni Gd+ T1 nel gruppo ad alto dosaggio ha continuato a diminuire, raggiungendo 0,1 alla settimana 24 e 0,0 alla settimana 48. Nel gruppo a basso dosaggio, c’è stato anche un calo graduale nel tempo con un valore di 0,2 alla settimana 48. Il tasso annuale di recidiva alla settimana 48 è stato di 0,4.

Impatto minimo sulla conta dei linfociti 
Nei gruppi placebo, lo stesso tipo di soppressione dell’attività della malattia è stato osservato dopo il passaggio alla terapia attiva alla fine della settimana 12. Alla settimana 24, il numero di nuove lesioni Gd+ T1 era sceso a 0,3 nei pazienti con placebo passati alla dose più alta e a 1,0 in quelli passati alla dose più bassa. Alla settimana 48, i tassi erano 0,2 in entrambi i bracci di switch.

Le percentuali di pazienti privi di nuove lesioni Gd+ T1 alla settimana 48 sono state del 96% nel gruppo che ha iniziato e mantenuto la dose più alta di frexalimab, dell’87% in quelli che hanno iniziato e mantenuto la dose più bassa, del 90% in quelli che hanno iniziato con placebo e sono passati alla dose più alta di frexalimab e del 92% dei pazienti con placebo sono passati alla dose più bassa.

«Il volume della lesione T2 dal basale fino alla settimana 48 è rimasto stabile nei pazienti che hanno continuato a ricevere frexalimab ed è diminuito nei partecipanti al placebo dopo il passaggio a frexalimab alla settimana 12», ha riferito Mao-Draayer.

La via co-stimolatoria CD40-CD40L che regola sia le risposte immunitarie adattative che quelle innate è stata perseguita come bersaglio per le terapie per la SM per decenni, ha detto Mao-Draayer. Un anticorpo monoclonale di prima generazione diretto a livelli elevati di CD40L, implicati nell’infiammazione che guida la SM, ha mostrato risultati promettenti, ma è stato abbandonato dopo essere stato associato a un aumento del rischio di eventi tromboembolici in uno studio di fase 1. Tuttavia, l’agente di seconda generazione è stato progettato per evitare un’interazione con le piastrine, che ha svolto un ruolo nel rischio di trombosi associato al fallimento del farmaco precedente.

Come con l’agente di prima generazione, frexalimab ha avuto un impatto minimo o nullo sulla conta dei linfociti o sui livelli di immunoglobuline G e immunoglobuline M. Entrambe sono rimasti stabili durante lo studio controllato a 12 settimane e attraverso l’estensione in aperto in corso, ha aggiunto Mao-Draayer. Questo potrebbe essere un fattore rilevante nello spiegare il basso livello di eventi avversi.

Aspetto ancora più importante: finora non ci sono stati eventi tromboembolici associati a frexalimab, ma i dati di follow-up mostrano anche tassi di infezione e di altri eventi, come la rinofaringite, che sono risultati paragonabili al placebo nello studio controllato di 12 settimane e non sono aumentati nel monitoraggio a lungo termine.

Anche eventi avversi come mal di testa e infezione da COVID-19 si sono verificati a tassi simili al placebo. Sono in corso due studi di fase 3, tra cui FREXALT in pazienti con SM recidivante-remittente e che ha arruolato pazienti con SM secondariamente progressiva non recidivante.

Dati molto promettenti ma necessari studi di fase 3
Nel corso del follow-up esteso, l’attività della SM nel sistema nervoso centrale misurata con le nuove lesioni Gd+ T1 è stata incredibilmente bassa, ha commentato Jeffrey Cohen, direttore del Mellen Center for Multiple Sclerosis della Cleveland Clinic, che non è stato coinvolto nella ricerca.

Cohen ha osservato che il follow-up in aperto di fase 2 continua a sostenere la promessa di frexalimab. Ma Cohen ha avvertito che questo non esclude la necessità di dati di fase 3. In particolare, ha affermato che un agente immunomodulatore che non influisce sulla conta dei linfociti ha un vantaggio teorico ma ha sottolineato che il beneficio è ancora presumibilmente mediato dal blocco delle vie che regolano l’attività autoimmune.

Anche se la conta dei linfociti non è influenzata, la via immunomodulatoria attraverso la quale frexalimab esercita il suo beneficio potrebbe comportare una serie diversa di rischi, ha specificato. «Non avremo dati sufficienti per giudicare la promessa di questo agente fino a quando gli studi di fase 3 non saranno completati» ha concluso.