Alopecia areata: focus su qualità di vita e terapie consigliate dalle linee guida


L’importanza della qualità di vita e le terapie consigliate dalle linee guida sono state oggetto di due relazioni al congresso SIDeMaST

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Per la gestione del paziente affetto da alopecia areata è importante conoscere a fondo la sua storia, come vive la malattia e le sue aspettative, in modo da instaurare una buona relazione medico-paziente e selezionare l’approccio terapeutico più idoneo. L’importanza della qualità di vita e le terapie consigliate dalle linee guida sono state oggetto di due relazioni tenute nel corso dell’edizione 2024 del congresso della SIDeMaST.

«Quando abbiamo davanti a noi un paziente con alopecia areata dobbiamo in primo luogo cercare di capire quali sono le sue aspettative, dato che vuole comprendere quale sia la causa della malattia chiedendo accertamenti, è spesso convinto che l’alopecia sia dovuta allo stress come suggerito dai medici a cui si è rivolto in precedenza, vuole sapere qual è la sua prognosi e spesso crede che non ci siano speranze di migliorare» ha esordito la relatrice Antonella Tosti, Professore di Dermatologia Clinica presso la Leonard Miller School of Medicine Università di Miami, Florida USA.

Non si conosce la causa dell’alopecia areata. È noto che si tratta di una malattia autoimmune e che c’è una predisposizione genetica, tuttavia non si conoscono i trigger e non è disponibile una vera cura, ma vi sono trattamenti efficaci che devono comunque essere continuati nel lungo periodo.

Per instaurare fin da subito una buona relazione con il paziente bisogna avere la pazienza di ascoltare la sua storia personale, l’esordio della malattia e la sua progressione, per quanto possa essere poco rilevante ai fini dell’anamnesi. È invece importante chiedere l’età del primo episodio, quando la malattia si è ripresentata, la storia familiare, la storia personale per le malattie autoimmuni e soprattutto la gravità, l’attività della malattia e la risposta ai trattamenti precedenti, elementi fondamentali anche per la prescrizione dei nuovi farmaci.

È inoltre fondamentale conoscere come il paziente vive il problema e quindi la sua qualità di vita, un parametro oggi tenuto in grande considerazione dalla Fda statunitense per l’approvazione di tutti i farmaci. Spesso questo elemento viene sottovalutato dai medici, che talvolta minimizzano l’impatto dell’alopecia sulla qualità di vita sulla base del fatto che non si tratta di una malattia grave pericolosa per la vita, ma con conseguenze prevalentemente estetiche. Per chi ne soffre, avere a che fare con questa condizione è una sfida quotidiana e anche nei momenti in cui i capelli ricrescono il paziente vive nel terrore che il problema si possa ripresentare.

Approcci terapeutici secondo le linee guida italiane
Le linee guida italiane, che non differiscono molto da quelle del resto del mondo e hanno dovuto affrontare un problema di scarsità di dati a supporto, possono essere divise in due parti, prima e dopo i JAK inibitori, ha spiegato Alfredo Rossi, Professore Associato presso la Clinica dermatologica Università di Roma “la Sapienza” e Responsabile del Centro sulla fisiopatologia degli annessi cutanei.

Le linee guida si basano su tre cardini fondamentali, ovvero l’età del paziente, l’evoluzione e l’estensione della malattia, e la sua attività, che devono essere ben chiari quando si ha di fronte un paziente, in modo da suggerire la terapia più appropriata.

Nel caso dei bambini al di sotto dei 10 anni di età va prestata attenzione all’uso del cortisone anche per via topica, che può creare problemi di mineralizzazione ossea e a livello del surrene. Dipende molto dall’estensione della malattia e quindi dalla quantità di cortisone da applicare, che potrebbe determinare una certa quota di assorbimento sistemico anche in virtù del minore spessore della cute del bambino. Per ovviare a questi problemi è possibile utilizzare in associazione altri farmaci, come l’antralina (riduce il turn-over cellulare e inibisce la funzione dei neutrofili, esercitando un’azione antinfiammatoria), cercando di ottimizzare la sinergia dei trattamenti.

Nel momento in cui i capelli dovessero ricominciare a crescere allora è possibile utilizzare un booster come il minoxidil, che sarebbe invece inutile o anche dannoso in fase cronica o attiva della malattia, nelle quali è più opportuno utilizzare altri immunosoppressori.

Nei pazienti con più di 10 anni, nelle forme attive e soprattutto non localizzate e in fase di estensione, si può utilizzare una terapia sistemica corticosteroidea, mentre sulle piccole chiazze possono essere usate le iniezioni intralesionali o i cortisonici topici.

Nei soggetti adulti con forme estese e in attività è più opportuno un approccio aggressivo con cortisonici ad alta potenza sia sistemici che topici, cercando di ridurre nel più breve tempo possibile l’attività linfocitaria, facendo attenzione a non interrompere la terapia non appena si vedono i risultati ad effettuando una riduzione lenta e graduale del dosaggio, senza comunque sospendere il trattamento.

«In base alle linee guida più recenti, in un paziente con SALT maggiore del 50% (Severity of Alopecia Tool, una scala che va dallo 0% al 100%, dove 100 indica la perdita completa dei capelli), alopecia di insorgenza precoce e malattia attiva, la terapia più idonea è rappresentata oggi dai JAK inibitori, senza tuttavia dimenticare di associare la terapia cortisonica per inibire i linfociti che sono già stati prodotti e che attaccano il follicolo pilifero» ha concluso Rossi.

Referenze

Tosti A. Qualità della vita dei pazienti con alopecia areata.

Rossi A. Overview sul trattamento dell’alopecia areata: le linee guida italiane.