Immunoterapia in gravidanza: arrivano conferme di sicurezza


L’esposizione di donne in gravidanza a inibitori dei checkpoint immunitari (ICI) non è risultata associata a una segnalazione di particolari esiti avversi specifici

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In uno studio francese pubblicato di recente su JAMA Network Open, l’esposizione di donne in gravidanza a inibitori dei checkpoint immunitari (ICI) non è risultata associata a una segnalazione di particolari esiti avversi specifici a carico della gestante, del feto e/o del neonato rispetto ad altri trattamenti antitumorali. Tuttavia, a causa di possibili rari eventi avversi neonatali immuno-correlati, nelle donne in gravidanza l’uso di ICI, in particolare della combinazione anti-PD1 più anti-CTLA4, dovrebbe essere evitato, quando possibile.

Gli autori, coordinati da Paul Gaugis, dell’Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (INSERM), U932 Immunity and Cancer, Institut Curie, Université Paris, lo affermano a conclusione di uno studio di coorte nel quale hanno valutato gli effetti dei trattamenti antitumorali, inclusi gli ICI, in 3558 donne in stato gravidico sottoposte a terapie oncologiche.

Esiti avversi a carico delle donne in gravidanza, dei feti o dei neonati sono stati segnalati nel 41,8% delle 91 donne esposte a ICI durante la gravidanza rispetto al 57,1% delle 3467 trattate con farmaci antitumorali non ICI (reporting odds ratio (ROR) 0,54; IC al 95% 0,35-0,82].

Problema di difficile gestione
«La gravidanza durante il trattamento attivo di un tumore è una condizione rara che si verifica nello 0,1% delle gravidanze e nello 0,07%-0,1% di tutti i tumori maligni», spiegano gli autori. I principali tumori che si possono riscontrare in una donna in gravidanza sono il cancro al seno, il cancro della cervice, il linfoma di Hodgkin, il melanoma e le leucemie.

«La gestione terapeutica delle donne in stato gravidico affette da cancro è particolarmente impegnativa poiché coinvolge sia la madre sia il feto e sono necessari dati clinicamente affidabili», proseguono Gaugis e i colleghi. «Gli ICI sono oggi ampiamente prescritti per vari tumori maligni; tuttavia, gli ICI possono, teoricamente, modificare il processo di immuno-tolleranza materno-fetale, causando complicazioni durante la gravidanza e il rigetto del feto, oltre a potere favorire l’insorgenza di patologie autoimmuni. Attualmente, l’uso degli ICI durante la gravidanza è scoraggiato a causa dell’assenza di dati sulla sicurezza ottenuti in tale contesto. Considerati i benefici importanti associati agli ICI, i dati provenienti da studi su larga scala che esplorino gli effetti tossici di questi agenti durante la gravidanza sono cruciali».

Metodologia di indagine
Per colmare questa lacuna conoscitiva, il gruppo di ricerca francese ha analizzato i dati del VigiBase, il database di farmacovigilanza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, estraendo i report di eventi tossici delle terapie antitumorali assunte da donne in gravidanza, in modo da potere valutare l’incidenza di reazioni avverse sperimentate dalla madre, dal feto o dal neonato legate all’esposizione a immunoterapie o a terapie antineoplastiche non immunologiche.

Le 3558 pazienti individuate in stato di gravidanza e, nel contempo, affette da un tumore avevano un’età media di 28,7 anni ( deviazione standard 12,4 anni); le neoplasie più frequenti in questa ampia coorte erano il tumore al seno (685 pazienti, 30,1%) e la leucemia mieloide cronica (611 casi, 26,9%). Tra le pazienti trattate con ICI le forme tumorali più comuni erano il melanoma (24 casi su 55 report, pari al 43,6%) e i linfomi (q5 su 55 report, pari al 27,3%). Nelle pazienti trattate con altri farmaci antineoplastici, le forme tumorali più frequenti erano, invece, il carcinoma della mammella (684 casi su 2220 report, il 30,8%) e la leucemia mieloide cronica (611 casi su 2220 report, 27,5%).

Gli esiti dello studio
Esiti avversi per la gravidanza, il feto e/o il neonato sono stati segnalati in 38 pazienti nel gruppo trattato con ICI (41,8%) e in 1980 pazienti (57,1%) nel gruppo esposto a farmaci antitumorali di altro tipo (ROR 0,54; IC al 95% 0,35-0,82).

Analizzando i diversi tipi di regimi di ICI, le nascite premature sono state significativamente più frequenti per le donne trattate con la combinazione anti-PD1 più anti-CTLA4 rispetto ad altri farmaci antitumorali – 12 segnalazioni su 15 (80,0%) vs 793 su 3452 (23,0%) (ROR 13,87; IC al 95% 3,90-49,28; P < 0,001) – ma non per quelle trattate con ICI in monoterapia: sei segnalazioni su 63 (9,5%) per le donne trattate con un anti-PD1 o anti-PD-L1 (ROR,0,36; IC al 95% 0,15-0,83) e una segnalazione su 13 (7,7%) per quelle trattate con un anti-CTLA4 (ROR 0,28; IC al 95% 0,04-2,19). Da segnalare che nella sottopopolazione di pazienti trattate con soli ICI, l’aborto indotto è risultato sovrarappresentato (ROR 3,37; IC al 95% 1,12-8,24).

Gli autori hanno individuato nel gruppo di donne trattate con ICI tre segnalazioni con complicazioni con probabile correlazione immuno-mediata a carico della gravidanza, del feto e/o del neonato (3,3%). Una madre ha sviluppato una combinazione di sindrome da anticorpi antifosfolipidi, polmonite e tiroidite associata ad aborto spontaneo (caso 1). Un rapporto menzionava una polmonite fetale, probabilmente correlata al sistema immunitario e che portava alla sindrome da distress respiratorio neonatale (caso 2). Un neonato ha presentato restrizione della crescita intrauterina, parto pretermine e ipotiroidismo congenito transitorio (caso 3).

Commenti all’analisi
«I risultati di questa analisi suggeriscono che l’uso degli ICI durante la gravidanza sembra essere meglio tollerato di quanto precedentemente considerato. Tuttavia, a causa di possibili rari eventi avversi neonatali immuno-correlati, l’uso dell’immunoterapia, in particolare della combinazione di un anti-PD1 o un anti-PD-L1 più un anti-CTLA4, nelle donne in gravidanza dovrebbe essere evitato quando possibile», scrivono Gaugis e i colleghi.

«La valutazione del rapporto rischio-beneficio per la madre, per il feto o neonato dovrebbe essere discussa caso per caso considerando l’urgenza oncologica. L’aborto sistematico di routine potrebbe non essere raccomandato, sebbene sia giustificato un monitoraggio approfondito dei neonati», concludono gli autori.

Bibliografia
P. Gougis, et al Immune checkpoint inhibitor use during pregnancy and outcomes in pregnant individuals and newborns. JAMA Netw Open 2024. leggi