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“L’assedio” è il primo album della cantante Evelina

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Fuori su tutte le piattaforme digitali L’Assedio“, concept album di debutto di Evelina, artista indipendente e queer che ha scelto l’anonimato

Fuori su tutte le piattaforme digitali L’Assedio“, concept album di debutto di Evelina, artista indipendente e queer che ha scelto l’anonimato per andare oltre ogni apparenza e proteggere la musica, le visioni e le parole da pregiudizi, sovradeterminazioni e semplificazioni.

Produttore, arrangiatore e parte integrante del progetto è MuČe Čengić, chitarrista bosniaco tra i fondatori dei Zabranjeno Pušenje, gruppo rock di culto nei Paesi della ex Jugoslavia – oltre che produttore discografico e ingegnere del suono, trasferitosi in Italia da Sarajevo alla metà degli anni ’90 dopo il conflitto in Bosnia ed Erzegovina.

“L’Assedio” è una sorta di kintsugi giapponese. Frammenti dispersi, uno schianto previsto quanto improvviso; e poi ricomposti pazientemente – in un tempo lento, dilatato, a tratti immobile e silenzioso – a restituire una forma perduta, forse non più capiente ma con le ferite impreziosite dall’oro. Un volo inceppato sul tempo, sospeso senza rimedio tra futuro e passato, sequestrato nel presente.
“Non sono qui per mostrarvi il lato migliore del volto che perderò, né per darvi in pasto le ore che mi restano o per addormentarvi il cuore e distrarvi la mente. Ho l’urgenza di trasmettere quello che mi attraversa e non mi appartiene fino in fondo. Mi chiedo e chiedo se sia ancora possibile farlo, se almeno le arti ne siano ancora capaci, ben oltre l’intrattenimento. Chi assedia chi?
Da che parte arriva il nemico? Vedo una fortezza in mezzo a un deserto. Una peste feroce che anestetizza da secoli chi ci vive dentro. E riduce al silenzio chi da secoli ne è esclusa. Un asfissiato giardino che pretende uno sconfinato deserto. Non ho parole, non ho note, non ho immagini oneste per raccontare quel che accade oltre queste mura, che non ho più conosciuto, che forse le mie radici estirpate avrebbero potuto ricordare e rispettare. Ma posso raccontare la peste qui dentro, perché abita e mina anche me. E sono voragini in miniatura, dalla geografia smarrita, dalle proporzioni starate. Tempeste nel bicchiere, costellazioni di sentimenti autoreclusi fondano la barbarie che siamo, che imponiamo (coscienti o meno) a chi la nostra storia deve subirla ancora una volta. Questo è un gesto tardivo e disperato di cura, di sabotaggio, di rivolta contro il rumore e il torpore che ci stordiscono in queste mura. Parole, note e immagini contro l’assedio che sono diventate le nostre esistenze dal caro prezzo altrui. Le ferite vanno cercate nel cuore ingannevole dell’educazione sentimentale. E curate nel personale, che deve riscoprirsi politico. Le ferite vanno cercate nel cuore omesso dell’umano. E curate restituendo misura e scala alla cognizione del dolore. Esattamente tutto quello che, da questo lato della linea abissale, non si può e non si vuole più vedere, capire, sentire. Un immenso, cinico, inutile sacrificio, che non ha salvato neanche chi l’ha preteso e poi dimenticato.”

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