Dalla progettazione degli studi clinici alla prescrizione dei farmaci, sono tante le azioni da mettere in atto per rendere più ecologica l’oncologia
Gli studi clinici sono indispensabili per sviluppare nuovi trattamenti e per valutare e ottimizzare gli strumenti oggi disponibili, ma non possiamo trascurare l’impatto ambientale della ricerca clinica.” Lo scrive Pawel Sobczuk, oncologo presso l’Istituto nazionale di ricerca oncologica Maria Skłodowska-Curie di Varsavia, in Polonia, in un articolo pubblicato su ESMO Daily Reporter, il sito di aggiornamento ufficiale della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO).
Nella visione cosiddetta di One Health, il benessere dell’ambiente, quello degli esseri umani e quello degli animali, sia selvatici sia domestici e d’allevamento, sono strettamente legati per raggiungere obiettivi di “salute globale”. In quest’ottica, anche l’oncologia e la pratica medica in genere devono rivolgere uno sguardo all’ambiente, cercando di preservarlo il più possibile senza nulla togliere alla salute e alla cura dei pazienti.
Un’impronta pesante per l’ambiente
Considerando un solo anno, gli studi clinici nel mondo sono responsabili di circa 100 megatonnellate di emissioni di equivalenti di anidride carbonica (CO2e), una quantità all’incirca pari a quella prodotta annualmente da un Paese come il Belgio, dove risiedono 11,5 milioni di persone. “Per un ricercatore clinico sarebbe utile conoscere l’impatto ambientale di ciascun singolo studio clinico per ridurre l’impronta di carbonio [la cosiddetta “carbon footprint”] derivante dalle attività di ricerca” spiega Sobczuk. Il ricercatore è anche membro della ESMO Climate Change Task Force, un gruppo di esperti europei che cercano di valutare e ridurre l’impatto ambientale delle attività di ESMO.
Alcune ricerche stanno andando in questa direzione. Per esempio, in un articolo pubblicato nel 2023 sulla rivista BMJ Open, gli autori hanno stimato che nei primi 3 anni di una ricerca oncologica sul tumore del polmone sono state prodotte circa 1.632 tonnellate di CO2e. “Quando sarà concluso, l’impronta di carbonio totale avrà superato le 3.000 tonnellate di CO2e, con un’emissione media di 5 tonnellate per partecipante, simile all’emissione annuale di un cittadino spagnolo o danese”, ha precisato Sobczuk, ricordando che lo studio è attualmente ancora in corso. Com’è anche riportato nell’articolo su BMJ Open, l’esperto ha chiarito che oltre il 50 per cento delle emissioni proveniva dalle unità di sperimentazione clinica e dalle loro operazioni, mentre quasi il 15 per cento era derivato dalla gestione globale dello studio (per esempio, da viaggi e spostamenti necessari per le riunioni del gruppo).
In un altro articolo su ESMO Daily Reporter, Sobczuk ha illustrato anche il legame tra l’impatto ambientale della medicina e dell’oncologia e pratiche quotidiane che non hanno a che fare con la conduzione di studi clinici. Un contributo importante viene, per esempio, dall’utilizzo di materiale monouso potenzialmente sostituibile con altri riutilizzabili; dallo smaltimento non corretto di alcuni tipi di rifiuti (per esempio materiali “puliti” che sono stati smaltiti come “pericolosi”, anziché venire riciclati, con impatti ambientali maggiori); i viaggi che dipendenti e pazienti devono compiere per raggiungere l’ospedale. La lista non si ferma qui: per esempio, include anche gli spostamenti per congressi e riunioni, o la produzione dei farmaci e la scelta di quali farmaci prescrivere da parte dei medici.
È tempo di agire
Di fronte a questi numeri e alla sempre maggior consapevolezza dell’importanza di rendere sostenibili le attività umane, inclusa la pratica medica, diverse associazioni si stanno attivando per cercare di cambiare le cose. Per esempio, la Sustainable Healthcare Coalition è una partnership di aziende sanitarie e sistemi sanitari nazionali, in Inghilterra e Scozia, che cerca proprio di ispirare pratiche sostenibili nella sanità attraverso la collaborazione dei propri membri. All’interno della coalizione, il Low Carbon Clinical Trials (LCCT) Working Group ha definito una strategia per ridurre le emissioni degli studi clinici. Questa comprende, tra l’altro, strumenti per calcolare l’impatto ambientale dello studio clinico e alcune raccomandazioni per decentralizzare gli studi, in modo da ridurre la distanza tra ospedali e pazienti, riducendo gli spostamenti.
Nella pratica quotidiana è importante che i medici prestino attenzione anche a piccoli gesti quali il corretto riciclo dei rifiuti o le prescrizioni di esami a volte inutili. Com’è riportato nei risultati di uno studio, pubblicati nel 2020 sul Medical Journal of Australia, un singolo esame del sangue completo comporta l’emissione di circa 116 grammi di CO2e. “Ciò significa che prescrivere 1.000 esami equivale a percorrere circa 770 chilometri in auto” spiega Sobczuk.
Il ricercatore sottolinea infine che la telemedicina e l’intelligenza artificiale possono aumentare la sostenibilità della pratica medica e dell’oncologia, ma perché ciò accada servirà un cambio drastico di mentalità e un impegno concreto di tutti contro i cambiamenti climatici.