La sentenza della Consulta sul payback dispositivi medici rischia di mandare sul lastrico oltre 2mila aziende: necessario salvare il sistema sanitario e i posti di lavoro
Salvare il sistema sanitario e i posti di lavoro (circa 200mila) dopo la sentenza della Consulta sul payback dispositivi medici, che rischia di mandare sul lastrico oltre 2mila aziende. È stato questo il tema, e l’appello, lanciato in una conferenza stampa organizzata da PMI Sanità, l’associazione nazionale delle piccole e medie imprese che riforniscono gli ospedali di materiali necessari a diagnosi e cure. Alla conferenza hanno partecipato il dott. Francesco Conti, l’avv. Giampaolo Austa e il dott. Gennaro Broya de Lucia, rispettivamente Responsabile Relazioni Istituzionali, Legal Team e Presidente di PMI Sanità.
«Una norma sbagliata e inutilmente dannosa», come sottolineato dal Presidente Broya de Lucia, quella sul payback, che rischia di impattare gravemente sulle imprese, sui lavoratori e sull’esercizio del diritto alla salute di tutti i cittadini. Un rischio che fino a pochi giorni fa era temibile, e ora la sentenza della Consulta ha reso imminente, richiamando l’urgenza di individuare una soluzione.
Oltre 8 anni fa, dal Governo Renzi, è stato pensato il sistema di tassazione del payback, di fatto, finora mai applicato, per la sua complessità nonché discussa legittimità. Il D.L. cosiddetto “Aiuti bis”, nel quale è stato inserito nell’ottobre 2022, definisce le regole per l’applicazione di un sistema di compartecipazione delle imprese, allo sforamento dei tetti regionali di spesa sanitaria. All’atto pratico, lo Stato sposta ex lege una parte dei costi per le cure indispensabili degli italiani sulle aziende private del settore che sono chiamate a sanare lo sforamento del tetto fissato sulla spesa regionale, con una mega tassa pari al 50 per cento dell’intero importo dichiarato dalle regioni, una cifra enorme, pari a 5 miliardi di euro del quale i fornitori non avevano contezza preventiva né controllo alcuno. Si tratta, di fatto, di una imposizione insostenibile – sottolineano i rappresentanti di PMI Sanità – applicata su forniture effettuate dal 2015 al 2018.
Un meccanismo questo che mette gravemente a rischio molte imprese, soprattutto quelle più piccole, che non sono in grado di sostenerlo. La Corte Costituzionale, con la sentenza n.140/2024 ha infatti respinto le questioni di legittimità promosse dal TAR Lazio, al quale erano stati rivolti circa 2000 ricorsi, ritenendo, in sintesi, che il payback: debba essere considerato come un «contributo di solidarietà» necessario a sostenere il SSN; è proporzionato vista la riduzione al 48 per cento disposta dal Governo per il periodo 2015-2018; era prevedibile visto che la legge è del 2015 nonostante i decreti con la determinazione del quantum siano stati pubblicati nel 2022. Sempre la Corte Costituzionale, con la sentenza n.139/2024, ha stabilito che la riduzione al 48 per cento per il payback 2015-2018 debba essere applicata a tutti gli operatori soggetti a tale misura e non solo a quelli che hanno rinunciato al ricorso. Con queste sentenze i rischi che fino a pochi giorni fa erano possibili, sono diventati imminenti, dipingendo uno scenario drammatico.
Secondo lo studio “Analisi dei meccanismi di ripartizione del payback per le imprese della filiera dei dispositivi medici” (settembre 2023), sviluppato da Nomisma per PMI Sanità, il payback coinvolge oltre 6.000 imprese di cui il 44 per cento circa ha meno di 10 addetti e il 70 per cento circa ha meno di 50 addetti. Un’impresa su 8 esistente nel 2015 è cessata o è già in stato di insolvenza per cui non potrà pagare. Due imprese su 5 si troverebbero in difficoltà economico-finanziaria se dovessero pagare il payback. Le imprese con almeno un fattore di criticità economico-finanziaria dopo l’applicazione del payback sono, in 3 casi su 4, con meno di 50 addetti, ossia PMI.
Lo studio Nomisma conferma che salvo qualche eccezione, – in proporzione – il payback va a colpire relativamente di più le imprese meno strutturate, condizionandone l’operatività e, in molti casi, la stessa esistenza sul mercato e che continuerà a generare debito e quindi gravi problemi per le società come una specie di tassametro impazzito fino alla sua eventuale abolizione. La scomparsa dal mercato di molte piccole e medie imprese determinerebbe minore concorrenza e, conseguentemente, un abbassamento della qualità dei dispositivi e un innalzamento generalizzato dei prezzi (per ammortizzare il «costo» del payback), che, giocoforza, farebbe ulteriormente aumentare anche l’inflazione (con effetto anche sulla revisione prezzi). Ultima conseguenza infine sarebbe l’eliminazione del gettito ricavato dalle imprese fornitrici che dovessero uscire dal mercato pubblico.
In conclusione il payback è «a conti fatti» uno strumento inefficace per contenere i costi vista la dinamica di aumento dei prezzi che ne deriverebbe almeno per il futuro. La riduzione di concorrenza nel mercato avrà l’effetto non solo di aumentare i prezzi, ma anche di ridurre la qualità dei dispositivi offerti perché pagati di più in altri mercati (es. USA). È imprescindibile sterilizzare gli effetti del payback per il passato (2015-2021) e abolire l’istituto per il futuro salvaguardando, in special modo, le PMI che sono il nocciolo duro dei fornitori del settore. Una soluzione intermedia, che potrebbe essere auspicabile, è quella della franchigia, che consentirebbe a molte imprese di evitare il fallimento, specie se micro, medie e piccole, eviterebbe la crisi delle forniture direttamente connessa alla crisi finanziaria dei fornitori di dispositivi medici e garantirebbe il mantenimento della concorrenza nel settore.
«Le conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale possono mettere a rischio molte imprese – dichiara il dott. Gennaro Broya de Lucia – Il payback dispositivi medici è un istituto che sposta artificiosamente miliardi di debito pubblico su malcapitate aziende private che da anni si prodigano quotidianamente per il funzionamento della sanità italiana, specialmente di quella pubblica. Aziende con oltre 30 anni di storia o nuove società, che vengono distrutte. Questo significa che 200.000 famiglie vedranno in pochi istanti azzerata la loro esistenza professionale e non solo. Per molte delle 6.000 imprese destinatarie della norma mostro, specialmente per le più piccole, significa uscire dal mercato non con una valanga di debiti impagabili imposti per legge e prima inesistenti, debiti enormi perché di una intera nazione. Le nostre società, i nostri collaboratori, i nostri medici e infermieri assistiti, non meritano tutto questo. Dinnanzi a questa legge profondamente sbagliata e foriera di irreversibili iniquità, il Governo ha ora la possibilità e il dovere di intervenire ed agire nell’interesse della tenuta del sistema sanitario, del lavoro e della Giustizia. PMI Sanità chiede un immediato tavolo di crisi con il Governo e con la Conferenza-Stato Regioni che comprenda le conseguenze sulle piccole e le medie imprese italiane e si adoperi per una soluzione definitiva che tuteli questo strategico comparto. Ai tanti colleghi chiedo: non perdetevi d’animo, non possiamo e non dobbiamo arrenderci!».