Vitiligine: i benefici di ruxolitinib crema, primo farmaco specifico


È una importante novità perché è il primo farmaco specifico nel trattamento della vitiligine. Parliamo di ruxolitinib crema, da poco approvata e disponibile anche in Italia

vitiligine

È una importante novità perché si tratta del primo farmaco specifico nel trattamento della vitiligine. Parliamo di ruxolitinib crema, da poco approvata e disponibile anche in Italia e che va incontro a tanti bisogni insoddisfatti dei pazienti che hanno una qualità di vita ridotta sia dal punto di vista sociale, che lavorativo. Se ne è parlato anche al 98^ congresso nazionale della SIDeMaST.

La vitiligine è il più comune disordine acquisito della pigmentazione e si presenta con delle macchie acromiche a limiti netti. La sua patogenesi autoimmune fa sì che non debba essere considerata esclusivamente un problema cosmetico e nemmeno solo un problema di pelle, in quanto ha una associazione con numerose patologie e determina un impatto elevato sulla qualità della vita dei pazienti.

«È facile immaginare quanto la malattia possa influire nello sviluppo psicofisico e sociale di una persona, considerando che in oltre la metà dei casi la vitiligine compare in giovane età, sotto i 20-25 anni» ha osservato il prof. Emiliano Antiga, Dipartimento di Scienze della Salute, Sezione di Dermatologia, Università di Firenze.

Dal punto di vista classificativo ne esistono due grandi varianti, ovvero la forma non segmentale che è la più comune e la forma segmentale, che hanno un andamento differente. La forma non segmentale tende piano piano a estendersi, ha un andamento bizzarro non del tutto definito ma è anche quella che risponde meglio alle terapie. La vitiligine segmentale compare generalmente tutta insieme ma resta limitata a determinati distretti corporei.

La prevalenza della malattia varia dallo 0,5 al 2% a seconda delle popolazioni e clinicamente si diagnostica con relativa facilità.

Comorbilità della vitiligine
Ci sono molte possibili comorbilità della vitiligine, con incidenza variabile, con i problemi psicosomatici al primo posto (13% circa). I pazienti soffrono più spesso di ansia di depressione, hanno problemi di inserimento sociale e difficoltà in ambito lavorativo, con una ricaduta anche in termini di costi per la società.

«Questo vale soprattutto per i bambini, che hanno ancora una ridotta consapevolezza di sé e che sono più soggetti a bullismo da parte dei compagni, e dei loro familiari» ha aggiunto. «I genitori dei bambini con vitiligine hanno più spesso ansia e depressione e questo suggerisce come gli interventi di educazione potrebbero migliorare questo aspetto decisamente importante».

Seguono le malattie organiche immunomediate e in primis le tiroiditi autoimmuni (10% circa), tanto che nelle linee guida più recenti si suggerisce lo screening degli anticorpi e della funzionalità tiroidea da ripetere annualmente. Altre manifestazioni possibili riguardano occhi e orecchie, dato che i melanociti sono presenti anche in questi distretti, e vale la pena di indagare eventuali alterazioni oftalmologiche e audiologiche, che non sono frequenti ma possibili.

Riguardo ai tumori cutanei i pazienti con vitiligine sembrano avere una minore incidenza di tumori cutanei e di neoplasie viscerali rispetto alla media della popolazione generale.

Patogenesi multifattoriale
La vitiligine è una malattia a patogenesi multifattoriale in cui fattori genetici predisponenti, combinati con fattori ambientali scatenanti (come stress, traumi o stress ossidativo) e associati in alcuni casi anche a difetti a carico dei melanociti e dei cheratinociti, inducono una risposta autoimmunitaria sia di tipo anticorpo-mediata che cellulo-mediata citotossica.

Più in dettaglio, nelle fasi iniziali i fattori predisponenti innescano un’attivazione dell’immunità innata, la quale a sua volta media lo scatenamento di una risposta autoimmune che è fondamentale anche per la progressione della malattia. Questa fase è mediata soprattutto dall’interferone gamma.

Epidemiologia della vitiligine
«Nel mondo soffrono di vitiligine dai 65 ai 95 milioni di persone, tante quante uno stato grande come la Germania. In Italia si può stimare una prevalenza dello 0,55% che corrisponde a 330mila pazienti di cui l’85%, circa 280mila, ha la forma non segmentale, un dato probabilmente sottostimato per via di un alto tasso di sottodiagnosi» ha spiegato Adriano Pagani, Partner & Managing Director di Kearney.

Per l’analisi presentata al congresso, di questi 280mila pazienti sono stati considerati soltanto quelli che ricercano una soluzione terapeutica, escludendo la quota dei non diagnosticati (intorno al 40%) e i pazienti che non si preoccupano della malattia e che normalmente sono persone sopra i 65 anni di età (poco meno del 5%), per un totale di 150mila pazienti, il 36% dei quali ha una patologia moderata-grave.

Un elevato costo sociale prevalentemente a carico del paziente
La vitiligine ha un forte impatto sulla vita personale poiché l’alterazione dell’aspetto può causare una scarsa accettazione di sé e portare a un grave disagio psicologico che influisce sulle azioni quotidiane e, in molti casi, sulla produttività, intaccata anche dal tempo speso per sperimentare approcci terapeutici a oggi non specifici.

Per stimare i costi della malattia sono stati considerati cinque fattori principali:

  • Il trattamento della malattia in termini di prodotti a uso topico, fototerapia, depigmentazione e chirurgia, oltre al costo delle visite specialistiche
  • Le comorbilità autoimmuni, come ipotiroidismo, artrite reumatoide, malattie infiammatorie intestinali
  • Le condizioni di salute mentale come ansia e depressione, includendo anche i costi relativi ai caregiver dei giovani pazienti
  • I prodotti non farmacologici, soprattutto la cosmesi per il camouflage
  • I costi sociali indiretti, relativi al tempo dedicato al trattamento della vitiligine o delle comorbilità di salute mentale e all’impatto in termini di disoccupazione.

Su queste basi l’analisi ha stimato un costo annuo di circa mezzo miliardo di euro, un terzo del quale legato alle condizioni di salute mentale, seguite dalle comorbilità autoimmuni e dai costi sociali indiretti legati al lavoro e ai prodotti non farmaceutici.

Oltre la metà del costo della vitiligine è attualmente pagato dal paziente o da chi lo assiste, un quarto è un costo sociale legato alla produttività persa e solo il 18% è sostenuto dal Sistema Sanitario Nazionale, con una importante inequità nella distribuzione dei costi per le parti interessate.

L’analisi del punto di vista del paziente, effettuata tramite sondaggi, ha mostrato che al 65% degli intervistati è stato riferito che la vitiligine non è trattabile, che un paziente su due ha interrotto il trattamento e che il numero medio di trattamenti provati dai pazienti è pari a 6. Tra gli aspetti positivi va sottolineato che il 60% dei pazienti celebra anche piccoli miglioramenti, il 64% spera in nuovi trattamenti per la vitiligine e il 42% considera la riduzione o l’arresto della diffusione dei sintomi come l’obiettivo principale del trattamento.

Assenza di terapie specifiche per la repigmentazione cutanea
Le linee guida prodotte da una task force mondiale sulla malattia hanno sottolineato l’importanza della precocità del trattamento al fine di ottenere la migliore risposta clinica, così come gli obiettivi principali della terapia, ovvero arrestare la perdita dei melanociti, favorire la repigmentazione inducendo la differenziazione e la proliferazione dei melanociti, e prevenire le recidive.

In mancanza di terapie specifiche per il trattamento della vitiligine al momento della stesura delle linee guida, per la gestione delle forme attive è stato posto l’accento sull’utilità della terapia OMP (Oral Mini-Pulse therapy) per arrestare la progressione della malattia. Anche metotrexato, ciclosporina e minociclina si sono dimostrati efficaci, anche se non indicati per la gestione della vitiligine. Tuttavia la fototerapia UVB narrow band (Nb-UVB) sembra più efficace per arrestare la progressione e ha il vantaggio di promuovere una repigmentazione più efficiente delle lesioni, con un crescente interesse nella combinazione con la OMP nelle forme molto attive.

«Per la repigmentazione le evidenze che provengono da metanalisi supportano la combinazione dell’esposizione solare o della fototerapia Nb-UVB con gli inibitori topici della calcineurina (uso off label) o con cortisonici topici ad alta potenza (es. clobetasolo), tuttavia i risultati non sono molto soddisfacenti e permangono elevati bisogni insoddisfatti» ha spiegato Angelo Valerio Marzano, Direttore della Struttura Complessa di Dermatologia, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, Professore Ordinario e Direttore della Scuola di Specializzazione in Dermatologia e Venereologia, Università degli Studi di Milano.

Oltre il 40% delle lesioni va incontro a una nuova depigmentazione nell’anno successivo al trattamento e per la prevenzione delle recidive si utilizzano molto il tacrolimus nelle forme localizzate della malattia e la fototerapia nelle forme diffuse.

Approvata di recente la prima target therapy per la vitiligine
Alle opzioni terapeutiche definite dalle linee guida di recente si sono aggiunti i JAK inibitori, che possono avere un ruolo importante nella gestione delle forme attive. Dal 25 maggio scorso in Italia è rimborsata la crema a base di ruxolitinib all’1,5%, un inibitore JAK/JAK2 che agisce sulla segnalazione JAK/STAT, un percorso cruciale nella patogenesi della vitiligine.

Gli studi registrativi di fase III TRUE-V1 e TRUE-V2, randomizzati, in doppio cieco e con disegno identico, avevano come endpoint primario una riduzione di almeno il 75% rispetto al basale nel Facial Vitiligo Area Scoring Index (F-VASI 75).

Dopo 24 settimane la crema di ruxolitinib ha consentito il raggiungimento di tale risposta nel 30% circa dei pazienti, percentuale salita a circa il 50% al termine di un anno di trattamento. Un obiettivo più ambizioso, la risposta F-VASI 90, è stato raggiunto da circa il 30% dei partecipanti in trattamento attivo per 52 settimane. (Figura 1)

L’endpoint secondario di una risposta T-VASI 50 (Total VASI) è stato raggiunto da poco più del 20% dei pazienti con una differenza significativa vs placebo alla 24a settimana, una percentuale di pazienti che è cresciuta al 50% dopo un anno di trattamento.

In termini di sicurezza l’assorbimento del principio attivo è tale da non dare effetti collaterali sistemici. In una percentuale ridotta di pazienti si è verificata acne, più spesso follicolite, nella sede di applicazione della crema.

Ruxolitinib crema mantiene l’efficacia nel lungo termine
Nello studio a lungo termine TRUE-V LTE, il 69% dei pazienti che hanno continuato il trattamento fino alla settimana 104 ha mantenuto la risposta F-VASI 75, così come il 39% circa di quelli che hanno invece interrotto la terapia dopo la settimana 52, con la metà delle recidive che si sono verificate dopo 4 mesi dalla sospensione del trattamento.

La risposta F-VASI 90 è persistita nel 62% dei soggetti in trattamento continuativo per 2 anni e in circa il 21% di quanti hanno interrotto l’applicazione di ruxolitinib. Dopo la sospensione del trattamento il tempo medio di mantenimento della risposta era di 6,5 mesi.

Nei pazienti che hanno interrotto ruxolitinib e poi l’hanno ripreso dopo una recidiva, Il 75% ha riguadagnato la risposta F-VASI 75 in un tempo mediano di 12 settimane e il 70% circa ha ottenuto nuovamente la risposta F-VASI 90 in un tempo mediano di 15 settimane.

Tra i partecipanti che non avevano ottenuto una repigmentazione soddisfacente (< F-VASI 90) dopo 52 settimane, il 34% ha raggiunto questo obiettivo proseguendo il trattamento fino alla settimana 104. Lo stesso per il 28% di soggetti nel gruppo placebo che sono passati a ruxolitinib a partire dalla 52a settimana.

«Il significato di quest’ultimo risultato è che bisogna istruire i pazienti a non mollare e ad andare avanti con la terapia, perché la repigmentazione può richiedere anche molto tempo» ha concluso Marzano.

Referenze

– Antiga E. Vitiligine: non solo questione di pelle.
– Pagani A. La vitiligine in numeri.
– Marzano AV. Allineare obiettivi clinici e aspettative dei pazienti: una sfida possibile?