Israele, Netanyahu al Time: “Dispiaciuto per il 7 ottobre ma non lascio”


Israele, Netanyahu: “Chiedo scusa per i fatti del 7 ottobre ma non lascio. A guerra finita tutti dovranno rispondere a domande pesanti, me incluso”

netanyahu

Il primo ministro Benjamin Netanyahu si è detto “profondamente dispiaciuto” per la strage avvenuta nel sud di Israele il 7 ottobre, ma rinvia l’indagine indipendente sui fatti di quel giorno alla fine dell’operazione militare nella Striscia di Gaza. Le dichiarazioni sono state rilasciate nel corso di un’intervista al Time, e poi rilanciate dalle testate israeliane e internazionali. Al giornalista che gli ha chiesto se intende chiedere scusa, Netanyahu ha risposto “Certo. Mi dispiace profondamente che sia accaduta una cosa del genere. Ti guardi indietro e ti ripeti: avremmo potuto fare qualcosa per evitarlo?”. Il premier si è quindi assunto la responsabilità della falla nella sicurezza che ha permesso ai combattenti palestinesi di portare a termine diversi attacchi in territorio israeliano, innescando scontri con l’esercito in cui sono morte circa 1200 persone, mentre oltre 200 sono state portate come ostaggi nella Striscia.

Il premier ha poi spiegato che non intende lasciare l’incarico finché non sarà certo di aver “assicurato la sicurezza al paese”, e che solo “a guerra finita” chiederà un’indagine sui fatti di quel giorno tramite “una commissione indipendente, che esaminerà tutto quello che è accaduto prima” del 7 ottobre, e “tutti dovranno rispondere a domande pesanti, me incluso”. In questi dieci mesi migliaia di israeliani hanno marciato per le strade contro il premier, chiedendo di fare di più per riportare a casa gli ostaggi, arrivando anche a denunciare la mancanza di volontà di riportarli vivi. A livello internazionale, se tanti sostengono che Israele ha diritto a difendersi – con gli Stati Uniti che si posizionano come primo fornitore di armamenti – molti altri hanno condannato la risposta militare che Israele ha attuato a Gaza dopo l’aggressione, invocando il cessate il fuoco e l’ingresso di aiuti umanitari per i palestinesi, che ad oggi hanno subito quasi 40mila morti.

A causa dei bombardamenti e degli scontri, i due milioni di abitanti sono quasi tutti sfollati, mentre la maggior parte delle abitazioni residenziali, ospedali, scuole, strade e impianti idrici ed elettrici sono stati distrutti. Anche in Cisgiordania e Gerusalemme est si registrano raid e morti. A livello legale, il Sudafrica ha denunciato Israele alla Corte di giustizia internazionale (Icj) per il crimine di genocidio a Gaza, mentre la Corte penale internazionale (Icc) è al lavoro per spiccare un mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità non solo contro i vertici di Hamas, ma anche su Netanyahu e membri del suo governo. Le accuse però non si limitano alle violenze commesse sui civili palestinesi: un’inchiesta della testata israeliana Haaretz ha rivelato che il 7 ottobre sarebbe stato attivato il cosiddetto “protocollo Hannibal”, che avrebbe consentito alle forze israeliane di aprire il fuoco contro i propri stessi militari e civili per scongiurare la loro cattura da parte dei combattenti palestinesi, ed evitare così che rivelassero informazioni sensibili o diventassero strumento di ricatto.