I pazienti con insufficienza cardiaca acuta in trattamento con dapagliflozin che hanno ricevuto una terapia diuretica hanno sperimentato una rapida decongestione
I pazienti con insufficienza cardiaca acuta in trattamento con l’inibitore del cotrasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2) dapagliflozin che hanno ricevuto una terapia diuretica hanno sperimentato una rapida decongestione con degenze ospedaliere più brevi. È quanto riferiscono i ricercatori dello studio ENDORSE-HF, i cui risultati sono stati esposti all’Heart Failure Association of the European Society of Cardiology (HFA-ESC) 2024, che si è appena concluso a Lisbona.
L’aggiunta di dapagliflozin alla terapia diuretica nei pazienti con insufficienza cardiaca acuta «aumenta anche la natriuresi e migliora la frazione di eiezione» ha affermato il presentatore dello studio Ioan Radu Lala, cardiologo presso l’Arad County Emergency Clinical Hospital, Arad (Romania).
Lo studio ENDORSE-HF è stato condotto su 100 pazienti assegnati in modo casuale alla terapia standard con o senza dapagliflozin entro 24 ore dalla presentazione e ha rivelato una forte riduzione della congestione polmonare nel momento in cui i pazienti sono stati dimessi quando è stata somministrata la combinazione.
L’aggiunta dell’inibitore SGLT2 consente «una decongestione rapida ed efficiente, che facilita l’introduzione precoce dei quattro pilastri delle terapie per l’insufficienza cardiaca» ha sottolineato Lala, vale a dire gli inibitori SGLT2, gli inibitori del recettore dell’angiotensina-neprilisina, i beta-bloccanti e gli antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi.
«Sappiamo già che questo migliora la prognosi, quindi abbiamo la soluzione nelle nostre mani» ha affermato. Lala ha anche sottolineato che la combinazione non è stata associata ad alcun effetto avverso grave.
Rafforzati i risultati dello studio DICTATE-AHF
“Il messaggio importante è che l’avvio del trattamento con inibitori SGLT2 durante la congestione acuta è sicuro» ha detto durante un’intervista la co-presidente della sessione Maria Rosa Costanzo, cardiologa presso il Midwest Cardiovascular Institute di Naperville, Illinois.
Questo nuovo studio rafforza i risultati dello studio DICTATE-AHF, che ha incluso adulti con insufficienza cardiaca acuta ipervolemica, che hanno ricevuto un protocollo di trattamento standard con diuretici dell’ansa endovenosa (IV).
Questi risultati, presentati all’HFA-ESC 2023, avevano dimostrato che l’inizio precoce di dapagliflozin prima della dimissione dall’ospedale era risultato sicuro e aveva migliorato la diuresi e la natriuresi riducendo la dose di diuretico.
Costanzo aveva scritto in un editoriale che accompagnava DICTATE-HF secondo cui «l’importanza di ridurre le dosi di diuretici dell’ansa endovenosa non è insignificante» perché «tali farmaci perpetuano il circolo vizioso dell’attivazione neuroormonale che accelera la progressione dell’insufficienza cardiorenale».
ENDORSE-HF ha visto anche una riduzione delle dosi diuretiche con l’aggiunta di un inibitore SGLT2, ma il risultato non è stato statisticamente significativo. Lala ha detto che ciò potrebbe essere dovuto al fatto che non avevano specificato un protocollo per l’uso di diuretici per via endovenosa, affidandosi invece al «puro giudizio clinico» dei medici partecipanti, che forse erano abituati a somministrare dosi più elevate per decongestionare rapidamente il paziente.
La rapidità è un aspetto positivo, ma qui è anche in gioco una questione di efficienza, ha detto, aggiungendo che l’inibizione SGLT2 fornisce quell’efficienza con una riduzione più uniforme della congestione rispetto alla terapia diuretica, «il che è molto importante in quanto l’insufficienza cardiaca non riguarda solo l’edema periferico».
Precedenti promettenti nelle persone con diabete
Lala ha detto che il team di ENDORSE-HF ha ritenuto di dover esaminare l’efficacia dell’aggiunta di dapagliflozin alla terapia con diuretici dell’ansa quando hanno visto i risultati molto buoni nei pazienti che erano in trattamento con inibitori SGLT2 e che avevano il diabete così come i dati emergenti che evidenziavano come i farmaci non fossero associati a ipotensione o anomalie elettrolitiche. Così hanno pensato: perché non somministrare i farmaci ai pazienti scompensati con insufficienza cardiaca acuta?
Lala ha detto che voleva che i risultati sfidassero la mentalità prevalente sulla gestione dell’insufficienza cardiaca, che tende ad essere che «la terapia dell’insufficienza cardiaca cronica migliora la prognosi, mentre la terapia acuta no».
Costanza si è detta d’accordo; molti ospedali negli Stati Uniti interrompono ancora gli inibitori SGLT2 quando i pazienti vengono ricoverati. «Quindi penso che il messaggio di cambiare la mentalità sia molto importante» ha detto.