Site icon Corriere Nazionale

Foto con la grigliata sulla diga del Vajont: indignazione sui social

vajont

Selfie con grigliata d’agosto e vista sulla diga del Vajont: lo sdegno dei superstiti e dei parenti delle vittime contro la mancanza di rispetto e “il macabro turismo dell’orrore”

Salsicce fumanti sulla griglia e sullo sfondo la diga del Vajont. È la foto della vergogna che circola da qualche giorno sui social e sta facendo indignare chi in quella valle ci vive e ci ha perso i propri cari. Per la tragedia della diga del Vajont morirono infatti quasi 2.000 persone, di cui 400 bambini. E quella foto è sì di una normale grigliata agostana, ma ha per sfondo quello che è pari ad un sacrario monumentale: appare perciò inopportuna e di cattivo gusto. Lo denunciano i residenti e anche i vari gruppi di superstiti e sopravvissuti come il Comitato Sopravvissuti Vajont.

Dai social, e poi sui quotidiani locali come il Gazzettino, cittadini, parenti delle vittime e sopravvissuti denunciano il “macabro turismo dell’orrore”, ormai diffuso sul luogo della strage, e atteggiamenti irrispettosi per chi in quella tragedia ha perso la vita o i propri familiari. Sotto quel monte franato, infatti, riposano ancora centinaia di corpi.

(dal gruppo Fb “Comitato sopravvissuti Vajont”)

Il turismo della memoria esiste, ma non è “banchettare” su quello che è un enorme cimitero. Per esempio, l’Ente Parco Naturale delle Dolomiti Friulane organizza  le visite guidate sul coronamento della Diga del Vajont a Erto e Casso, in provincia di Pordenone. Si tratta di una visita guidata breve di 50 minuti, “per non dimenticare”, come si legge sul sito dell’ente parco, “dove la suggestione del racconto storico si amplifica all’indignazione per una tragedia annunciata”. E ancora: “Portare rispetto a questi luoghi significa  portare rispetto alle 2000 persone scomparse tutte insieme in una notte- riporta la presentazione dei percorsi- Avviciniamoci con cura, portando la nostra presenza silenziosa”.

LA TRAGEDIA: COSA ACCADDE NEL 1963

Il 9 ottobre 1963, alle 22.39, una massa franosa di 260 milioni di metri cubi si staccò dalla parete del monte Toc e precipitò nel lago artificiale. Un’immensa ondata si proiettò sul versante opposto centrando gli abitati di Erto e Casso. L’ondata si divise in due: la prima parte risalì la valle, sommerse i paesi di Pineda, San Martino e Le Spesse e raggiunse il passo di Sant’Osvaldo. La seconda parte delle acque, invece, oltrepassò la diga del Vajont, riversandosi lungo la gola, su Longarone. In pochi minuti quella massa di acqua e detriti spazzò via case, scuole, paesini e soprattutto 1.910 vite, fra loro più di 400 bambini.

Exit mobile version