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Leucemia mieloide: conferme per il farmaco chemioterapico CPX-351

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Il farmaco chemioterapico CPX-351 conferma la sua efficacia anche in pazienti affetti da leucemia mieloide acuta clinicamente difficili, come quelli portatori di mutazioni

Il farmaco chemioterapico CPX-351 conferma la sua efficacia anche in pazienti affetti da leucemia mieloide acuta clinicamente difficili, come quelli portatori di mutazioni di TP53 e quelli che presentano mutazioni di alto rischio anche in altri geni critici, fra cui ASXL1, SRSF2 e RUNX. A evidenziarlo sono i risultati di un’analisi di un ampio studio multicentrico osservazionale e un’analisi di uno studio monocentrico, entrambi italiani, sull’impiego di CPX-351, presentate di recente al congresso della European Hematology Association (EHA), a Madrid.

Al convegno, inoltre, sono stati presentati i risultati di un’ulteriore analisi nella quale si sono valutate la durata ottimale del trattamento con CPX-351 e il momento migliore per eseguire il trapianto allogenico di cellule staminali di consolidamento nei pazienti candidabili alla procedura. I risultati suggeriscono che il trapianto probabilmente andrebbe effettuato appena ottenuta una remissione completa e che i pazienti non candidabili al trapianto potrebbero comunque avere una sopravvivenza prolungata se sottoposti a due cicli di consolidamento con CPX-351.

CPX-351 meglio del regime 7+3
CPX-351 è un farmaco chemioterapico approvato per il trattamento dei pazienti affetti da leucemia mieloide acuta derivata dalla trasformazione di una precedente sindrome mielodisplastica (s-AML) o secondaria a una precedente chemioterapia o radioterapia (t-AML), forme entrambe caratterizzate da una prognosi infausta e per le quali l’unica opzione curativa è rappresentata dal trapianto allogenico. Dal 2019 CPX-351 è disponibile anche in Italia per queste indicazioni ed è generalmente considerato la terapia di scelta per i pazienti fit affetti da t-AML o s-AML.

Nello studio registrativo di fase 3 301, CPX-351 ha dimostrato di essere superiore come trattamento di induzione al regime chemioterapico convenzionale 3+7 in termini di tasso di risposta completa e di sopravvivenza in pazienti con s-AML o t-AML di 60 anni o più. I risultati di follow-up a lungo termine del trial hanno confermato questo vantaggio ed evidenziato che il beneficio di sopravvivenza è evidente sia nei pazienti poi sottoposti al trapianto allogenico sia in quelli non trapiantati.

Vari studi di real life condotti in Francia, Germania e anche nel nostro Paese hanno sostanzialmente riprodotto i risultati dello studio registrativo, confermando come i pazienti con il miglior outcome siano quelli che possono effettuare il trapianto. Tuttavia, questi studi hanno lasciato alcune questioni lasciate irrisolte e riportato risultati contrastanti per quanto riguarda, per esempio, l’attività di CPX-351 nei pazienti con s-AML o t-AML portatori di mutazioni di TP53, un dato non analizzato nello studio registrativo.

Lo studio italiano
Al fine di rispondere a queste domande e, da ultimo, ottimizzare l’impiego di CPX-351 nella pratica clinica, gli autori italiani hanno analizzato gli outcome del trattamento in un’ampia coorte di pazienti trattati con questo farmaco nel nostro Paese dopo la sua approvazione da parte dell’Aifa.

Nello studio, di tipo retrospettivo, sono stati inclusi 513 pazienti anziani (età mediana: 65,6 anni; range: 19-79) affetti da s-AML (il 78,9%) o t-AML (il 21,1%), trattati con CPX-351 in 38 centri italiani a partire dal gennaio 2019.

I pazienti potevano effettuare uno o due cicli di induzione con CPX-351 e fino a un massimo di due cicli di consolidamento col farmaco, come previsto dall’approvazione concessa dall’Aifa. I pazienti idonei potevano essere sottoposti al trapianto allogenico di consolidamento seguendo gli standard interni di ciascun centro.

La popolazione analizzata
Nel 6% dei pazienti è stata trovata una mutazione di NPM1 e nel 4,6% una duplicazione tandem interna di FLT3 (FLT3-ITD).
Il 5,2% dei pazienti aveva un rischio favorevole, il 34,5% un rischio intermedio e il 60,3% era ad alto rischio secondo la classificazione ELN 2017
Inoltre, la maggior parte dei pazienti presentava comorbidità rilevanti (84%), principalmente malattie cardiovascolari (43%) e diabete di tipo II (39%).

Valutare l’impatto delle mutazioni di TP53, con o senza cariotipo complesso
L’obiettivo dell’analisi presentata da Todisco a Madrid era valutare l’impatto delle mutazioni di TP53 in un’ampia coorte di pazienti con s-AML e t-AML che hanno ricevuto il trattamento con CPX-351 disponibile in commercio in Italia dall’approvazione del farmaco, nonché valutare l’impatto del trapianto in base allo stato mutazionale di TP53.

Il gene TP53 è stato valutato in 335 pazienti (65%) e in 49 di essi, di cui 12 con t-AML e 37 con s-AML, è stata riscontrata la presenza di mutazioni del gene in questione. In 33 pazienti (9%), di cui 8 con t-AML e 25 con s-AML, le mutazioni di TP53 sono state riscontrate in pazienti che presentavano un cariotipo complesso.

Mutazioni di TP53 non impattano sul tasso di remissione completa, se non in presenza di cariotipo complesso
Dopo il primo ciclo di induzione, il 58% dei pazienti (297 su 513) ha ottenuto una remissione completa e i 72 che non l’hanno raggiunta sono stati sottoposti a un secondo ciclo di induzione. Dopo la seconda induzione, la remissione completa è stata raggiunta dal 66,3% dei pazienti (340 su 513).

Il tasso di remissione completa dopo il primo ciclo non è risultato significativamente inferiore tra i pazienti con mutazioni di TP53 (49%) rispetto a quelli con TP53 non mutato (wild-type) (56,6%), a meno che non presentassero anche un cariotipo complesso (33%).

Il 48,8% dei pazienti rispondenti al trattamento (166 su 340 ) è stato sottoposto al trapianto autologo di consolidamento una volta raggiunta la prima remissione completa. Di questi pazienti, 15 avevano una mutazione di TP53, 9 dei quali in presenza di un cariotipo complesso.

OS non influenzata dalle mutazioni di TP53, se non con cariotipo complesso
Dopo un follow-up mediano di 23,66 mesi (IC al 95% 23,11-26,01), l’OS mediana è risultata di 16,23 mesi (IC al 95% 13,6-18,9). Anche l’OS, al pari del tasso di remissione completa, non è risultata influenzata in modo significativo dalla presenza di mutazioni di TP53, a meno che non fosse presente anche un cariotipo complesso.

Inoltre, tra i pazienti con cariotipo complesso, la presenza di una mutazione di TP53 è risultata correlata in modo significativo con un esito peggiore (P < 0,05).

Nella landmark analysis eseguita sui pazienti vivi e in remissione completa al giorno 90, il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche è risultato il più forte predittore di sopravvivenza più lunga L’OS mediana, infatti, non era ancora stata raggiunta al momento dell’analisi nei pazienti che avevano effettuato il trapianto ed è risultata, invece, di 16,57 mesi per quelli non sottoposti al trapianto (P < 0,001).

Esiti peggiori nei pazienti TP53-mutati se presente anche un cariotipo complesso
Tuttavia, i pazienti TP53-mutati che presentavano anche un cariotipo complesso hanno avuto un esito significativamente peggiore, anche dopo il trapianto allogenico, con una mediana di OS pari a 14,3 mesi per i pazienti sottoposti al trapianto portatori di una mutazione di TP53 e con un cariotipo complesso e non raggiunta per i pazienti trapiantati con un cariotipo complesso, ma senza una mutazione di TP53 (P < 0,05).

Il trapianto allogenico di cellule staminali, scrivono, potrebbe migliorare significativamente i risultati e potenzialmente portare a una sopravvivenza a lungo termine in una piccola percentuale di questi pazienti.

In futuro, aggiungono, l’aggiunta di nuovi farmaci mirati potrebbe migliorare ulteriormente i risultati.

Analisi dell’impatto prognostico di mutazioni ad alto rischio e dell’alto carico mutazionale
In uno studio monocentrico realizzato da un’equipe dell’Policlinico San Martino di Genova e presentato a Madrid, gli autori hanno, invece, valutato la rilevanza prognostica di mutazioni specifiche o pattern mutazionali notoriamente legati a un alto rischio di fallimento del trattamento con la chemioterapia convenzionale (quali TP53, ASXL1, SRSF2 e RUNX1 ) o con la combinazione di venetoclax e agenti ipometilanti (quali TP53, RUNX1, FLT3-ITD, N/KRAS, CBL e KIT) in una coorte di pazienti anziani con s-AML o t-AML trattati con CPX-351 nella pratica clinica.

Infatti, le informazioni sulla rilevanza prognostica di profili mutazionali altamente sfavorevoli e la loro correlazione con la clearance della malattia minima residua (MRD) nei pazienti trattati con CPX-351 sono ancora abbastanza limitate.

Lo studio, coordinato da Fabio Guolo, ha coinvolto 80 pazienti consecutivi (età mediana: 70 anni; range: 37-77) con una diagnosi di s-AML o t-AML trattati con CPX-351 presso il centro genovese. I pazienti sono stati analizzati mediante sequenziamento di nuova generazione (NGS) utilizzando il pannello Myeloid Solution di SOPHiA Genetics, che comprende 34 mutazioni di geni critici, e in tutti coloro che hanno raggiunto la remissione competa è stata misurata la MRD.

Alto carico mutazionale in oltre la metà dei pazienti
Il carico mutazionale, cioè il numero mediano di mutazioni per singolo paziente valutato mediante NGS è risultato pari a 5 (range: 2-10) e 42 pazienti presentavano un carico mutazionale elevato (presenza di almeno quattro mutazioni). Le mutazioni più frequenti riguardavano i geni TET2 (41%), RUNX1 (39%), ASXL1 (29%), DNMT3A (29%), SRSF2 (29%), CBL (27%) e TP53 (26%).

Complessivamente 50 pazienti (62,5%) mostravano caratteristiche molecolari correlate rispettivamente alla resistenza a venetoclax e 61 pazienti (76%) caratteristiche molecolari correlate a una resistenza al regime 3+7.

Dopo il primo ciclo di induzione, 64 pazienti (80%) hanno raggiunto la remissione completa e, di questi, 43 (67%) hanno raggiunto anche la negatività dell’MRD.

Efficacia di CPX-351 indipendente da mutazioni ad alto rischio e alto carico mutazionale sugli outcome
L’analisi uni- e multivariata ha mostrato che nei pazienti trattati con CPX-351 la probabilità di remissione completa e il tasso di negatività della MRD non erano influenzati da nessuna delle mutazioni ad alto rischio riscontrate nei pazienti né dalla presenza di un elevato carico mutazionale.

Dopo un follow-up mediano di 39,3 mesi, la OS mediana è risultata di 18 mesi (IC al 95% 15,66-19,89) e non è risultata influenzata da alcuna mutazione, da un elevato carico mutazionale o dalla presenza di un profilo di resistenza alla combinazione venetoclax-ipometilante (mediana di 13 mesi nei pazienti con profilo di resistenza vs 14 mesi nei pazienti senza profilo di resistenza, P = NS). L’ analisi multivariata ha mostrato che il più forte fattore prognostico indipendente di OS era il raggiungimento di una MRD negativa con il trattamento (P < 0,05).

Nella landmark analysis condotta sui pazienti vivi e in remissione completa a 90 giorni, quelli che hanno effettuato il trapianto (23) e quelli che lo hanno eseguito entro 3 mesi dal raggiungimento della remissione completa (8) hanno avuto un risultato significativamente migliore rispetto ai pazienti in remissione completa che non sono stati sottoposti al trapianto (41) o che lo hanno eseguito successivamente (15; P < 0,03).

Consolidamento con il trapianto resta chiave per sopravvivenza a lungo termine
I risultati di questa analisi dimostrano, quindi, che CPX-351 è in grado di indurre una remissione completa con MRD negativa in un’ampia percentuale di pazienti anziani con s-AML o t-AML, indipendentemente dal carico mutazionale o dal profilo di resistenza alla combinazione di venetoclax più un ipometilante.

Nonostante le mutazioni ad alto rischio abbiano, secondo questa analisi, un impatto trascurabile sugli outcome nei pazienti trattati con CPX-351, gli autori sottolineano come un consolidamento precoce con il trapianto di allogenico resti il fattore più importante per ottenere una sopravvivenza a lungo termine i questi pazienti.

Analisi della durata ottimale del trattamento e del timing del trapianto
Infine, in un’ulteriore analisi dello studio multicentrico italiano, Guolo e gli altri autori hanno valutato la durata ottimale del trattamento con CPX-351 e il momento più idoneo per l’esecuzione del trapianto allogenico.

L’OS è risultata influenzata in modo significativo dallo stato mutazionale di NPM1 (mediana di 24,6 mesi nei pazienti mutati; P < 0,05) e dal punteggio di rischio ELN 2017 (mediana non raggiunta nei pazienti a basso rischio; P < 0,05).

Di nuovo, nella landmark analysis sui pazienti vivi e in remissione completa a 90 giorni, l’aver effettuato il trapianto allogenico è risultato il fattore predittivo più forte di sopravvivenza prolungata, con una mediana di OS non raggiunta nel sottogruppo dei pazienti trapiantati, a fronte di 16,3 mesi per quello dei pazienti non sottoposti alla procedura (P < 0,05).

Il completamento di tutti i cicli di CPX-351 permessi è risultato di beneficio solo nei pazienti che non hanno eseguito il trapianto allogenico (OS mediana: 20,36 mesi nei pazienti trattati con due cicli di consolidamento contro 12,2 mesi nei pazienti trattati con meno di due cicli di consolidamento; P < 0,05).

Invece, nei pazienti sottoposti al trapianto, eseguire prima del trapianto stesso un ulteriore consolidamento con uno o due cicli di CPX-351 non ha migliorato in modo significativo i risultati rispetto all’eseguire il trapianto direttamente dopo il primo ciclo di induzione con CPX-351, se il paziente era in remissione completa. In quest’ultimo sottogruppo la mediana di OS non è stata raggiunta, mentre è risultata di 35 mesi nei pazienti che sono andati al trapianto dopo un ciclo di consolidamento con CPX-351 e 28,4 mesi in quello sottoposto al trapianto dopo due cicli di consolidamento c (P = non significativo).

Meglio due cicli di consolidamento con CPX-351 nei pazienti non inviabili al trapianto
Pertanto, concludono Guolo e o colleghi, nei pazienti idonei il trapianto andrebbe effettuato appena si raggiunge una risposta completa (ed è disponibile un donatore).
Tuttavia, sottolineano gli autori gli autori, anche i pazienti non inviabili al trapianto possono ottenere un beneficio di sopravvivenza se trattati con due cicli di CPX-351 come consolidamento.

Bibliografia
E. Todisco, et al. Prognostic relevance of TP53 mutations with or without concomitant complex karyotype in patients treated with CPX-351: evidence from a large real-world italian study. EHA 2024; abstract P573. leggi

C. Riva, et al. High risk mutations in critical genes do not affect remission rates and MRD clearance in acute myeloid leukemia patients receiving CPX-351 induction. EHA 2024; abstract P596. leggi

F. Guolo, et al. Optimal duration of CPX-351 treatment and best timing for consolidation with allogeneic stem cell transplantation: evidence from a large real-world Italian study. EHA 2024; abstract P546. leggi

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