Nei pazienti con mielofibrosi vi è ancora un forte bisogno non soddisfatto di nuove terapie per gestire il carico trasfusionale e trattare l’anemia
Nei pazienti con mielofibrosi vi è ancora un forte bisogno non soddisfatto di nuove terapie per gestire il carico trasfusionale e trattare l’anemia, così come i sintomi costituzionali della malattia e la splenomegalia.
A suggerirlo sono i risultati di un’analisi delle caratteristiche cliniche e demografiche dei pazienti arruolati in un programma di accesso anticipato (MAP, Managed Access Program) a momelotinib, nuovo farmaco in sviluppo per il trattamento della mielofibrosi, risultati presentati in occasione del congresso annuale della European Hematology Association (EHA), a Madrid.
Bisogni insoddisfatti dei pazienti con mielofibrosi
La mielofibrosi è una neoplasia ematologica cronica, progressiva e potenzialmente letale, caratterizzata da fibrosi midollare ingravescente, splenomegalia, sintomi costituzionali debilitanti e citopenie.
«Già alla diagnosi, circa la metà dei pazienti presenta un’anemia che può essere anche severa e circa il 40% mostra una riduzione della conta piastrinica. Purtroppo, l’anemia e la piastrinopenia sono destinate a progredire a peggiorare progressivamente e inesorabilmente nel tempo e ad oggi questi pazienti hanno un carico di sintomi sicuramente più elevato rispetto a quelli senza tali citopenie e spesso necessitano di un supporto trasfusionale. Inoltre, fino ad oggi non avevamo mai avuto a disposizione risorse terapeutiche realmente efficaci in questa specifica tipologia di pazienti, che erano quindi orfani di terapie mirate», ha sottolineato l’autrice.
Momelotinib
Momelotinib, è un inibitore first-in-class della Janus chinasi (JAK) 1, di JAK2 e del recettore di tipo 1 dell’attivina A (ACVR1), che ha dimostrato di apportare benefici a livello dei sintomi, della milza e dell’anemia in tre studi di fase 3 in pazienti con mielofibrosi, sia già trattati con JAK inibitori sia naïve a questi farmaci.
«Momelotinib è un inibitore di seconda generazione, sviluppato sulla base di una precedenza esperienza con ruxolitinib», ha spiegato Palandri. «Così come ruxolitinib inibisce JAK1, riducendo così la produzione delle citochine proinfiammatorie che sostengono i sintomi della malattia; inoltre, al pari di ruxolitinib inibisce JAK2, che sostiene l’alterata mieloproliferazione caratteristica della mielofibrosi, correlata allo sviluppo della splenomegalia. A differenza dei precedenti inibitori di JAK, tuttavia, momelotinib è in grado di inibire anche ACVR1, che è un recettore fondamentale per il metabolismo del ferro, rendendo così il ferro più disponibile per l’eritropoiesi. In questo modo, momelotinib riesce a fornire un beneficio significativo anche al paziente con mielofibrosi che presenta anemia».
Il Managed Access Program di momelotinib
Il MAP di momelotinib è stato istituito nel settembre 2022 (nel dicembre 2022 in Europa) con l’obiettivo di fornire accesso al farmaco prima dell’autorizzazione regolatoria per i pazienti con mielofibrosi senza alternative terapeutiche adeguate disponibili.
Potevano essere inseriti nel programma pazienti di almeno 18 anni di età con una diagnosi di mielofibrosi primaria, mielofibrosi post-policitemia vera o mielofibrosi post-trombocitemia essenziale che presentavano splenomegalia o sintomi correlati alla malattia e anemia, sia naïve ai JAK-inibitori sia già trattati con questi farmaci. Erano, invece, esclusi i pazienti con una conta piastrinica <25×109/l (a meno che non fossero disponibili altre opzioni terapeutiche), con un’infezione attiva o un sanguinamento, positivi all’HIV o ai virus dell’epatite, in gravidanza o in allattamento.
Ad oggi il programma è stato approvato e aperto in 19 Paesi, tra cui Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Israele, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti.
Pazienti per lo più con malattia avanzata e ad alto rischio
Alla data del 6 febbraio 2024 erano stati arruolati nel MAP 994 pazienti, di cui 404 nel Regno Unito e in Italia, Grecia, Austria e Belgio. Al congresso di Madrid sono stati presentati i dati relativi ai pazienti di questi cinque Paesi, di cui il 38,9% provenienti dal Regno Unito e il 36,9% dall’Italia.
L’età media del campione analizzato era piuttosto elevata, 71 anni (SD 9-14), il 40,3% era di sesso femminile e il tempo mediano dalla diagnosi di mielofibrosi era pari a 3,2 anni.
Complessivamente, la maggior parte dei pazienti aveva una mielofibrosi con caratteristiche di una malattia avanzata e ad alto rischio di progressione.
Nella maggior parte dei casi, la ragione per cui era stato richiesto momelotinib era rappresentata dalle citopenie, in particolare dall’anemia (54% dei casi).
Circa due terzi dei pazienti (il 65,3%) erano già stati esposti ad almeno un JAK-inibitore, nella maggioranza dei casi (il 63,6%) rappresentato da ruxolitinib, seguito da fedratinib (nel 17,1% dei pazienti); solo un paziente (lo 0,2%) aveva ricevuto pacritinib.
Al basale il livello mediano di emoglobina era pari a 8,4 g/dl (range: 5,3-15,6 g/dl), senza differenze significative fra pazienti naïve ai JAK-inibitori e quelli già trattati, e la conta piastrinica pari a 120×109/l (range: 8-1928×109/l), più alta nei pazienti naïve ai JAK-inibitori (196×109/l) e più bassa in quelli già trattati (108×109/l). Inoltre, secondo quanto riferito dagli sperimentatori, al basale la maggior parte dei pazienti (l’80,2%) era dipendente dalle trasfusioni di globuli rossi.
In conclusione
Le caratteristiche dei pazienti analizzati del MAP di momelotinib evidenziano ulteriormente il forte bisogno di nuove terapie per la mielofibrosi, in grado di contrastare la necessità di trasfusioni e l’anemia, in aggiunta alla riduzione dei sintomi costituzionali e della splenomegalia, anche nei pazienti non ancora esposti ai JAK-inibitori.
Con momelotinib, ha concluso Palandri, «oggi abbiamo a disposizione una risorsa in più: un farmaco che attraverso l’inibizione di JAK1 e JAK2 è efficace nel contrastare la splenomegalia e i sintomi correlati alla mielofibrosi, ma che grazie all’inibizione di ACVR1 può dare un vantaggio significativo anche nei pazienti che presentano anemia, e che si può utilizzare anche in quelli con una conta piastrinica al di sotto di 50×109/l, molto bassa, pazienti che erano finora orfani di terapie specifiche».
Bibliografia
C. Harrison, et al. Momelotinib Managed Access Program for patients with myelofibrosis: baseline characteristics in the UK, Italy, Greece, Austria, and Belgium. EHA 2024; abstract P2009. leggi