Site icon Corriere Nazionale

Carcinoma ovarico: linfoadenectomia non migliora la sopravvivenza

rucaparib

Carcinoma ovarico: inutile l’aggiunta della linfoadenectomia pelvica e para-aortica retroperitoneale alla chirurgia citoriduttiva

L’aggiunta della linfoadenectomia pelvica e para-aortica retroperitoneale alla chirurgia citoriduttiva durante la chirurgia primaria, o il suo utilizzo dopo la chemioterapia neoadiuvante, non ha migliorato in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (PFS) o la sopravvivenza globale (OS) nelle pazienti con carcinoma ovarico epiteliale avanzato, secondo i dati dello studio di fase 3 CARACO, presentati al meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), a Chicago.

Dopo un follow-up mediano di 9 anni, la PFS mediana per le pazienti non sottoposte alla linfoadenectomia retroperitoneale è risultata di 14,8 mesi, a fronte di 18,6 mesi per quelle in cui è stata eseguita (HR 0,96; IC al 95% 0,77-1,20; P = 0,712), mentre l’OS mediana è risultata rispettivamente di 48,9 mesi contro 58,8 mesi (HR 0,92; IC al 95% 0,72-1,17; P = 0,489). I risultati non sono stati significativamente diversi nel gruppo sottoposto alla chirurgia primaria (upfront) e in quello che ha effettuato prima la chemioterapia neoadiuvante e poi la chirurgia di intervallo.

«Lo studio CARACO è l’unico studio prospettico randomizzato che pone la questione dell’impatto della linfoadenectomia sistematica in caso di terapia neoadiuvante», ha sottolineato durante la sua presentazione Jean-Marc Classe, direttore del dipartimento di chirurgia oncologica presso l’Institut de Cancerologie de l’Ouest di Saint-Herblain (Loire Atlantique, Francia).

Lo studio CARACO
Lo studio CARACO (NCT01218490) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato, nel quale le pazienti sono state assegnate secondo un rapporto 1:1 all’esecuzione di un intervento chirurgico con linfoadenectomia o senza linfoadenectomia.

Sono state arruolate nella sperimentazione pazienti di età superiore ai 18 anni con carcinoma ovarico epiteliale e una scansione Tac o Rm toraco-addomino-pelvica senza linfonodi superiori a 2 cm. Inoltre, le partecipanti dovevano avere una malattia in stadio FIGO da III a IVA o doveva essere fattibile una chirurgia primaria ottimale o, in caso contrario, un intervento chirurgico di intervallo dopo la chemioterapia neoadiuvante.

Sono state, invece, escluse le donne con un carcinoma non epiteliale o borderline, una precedente resezione dei linfonodi retroperitoneali e una scansione Tac o Rm toraco-addomino-pelvica con linfonodi di oltre 2 cm prima di qualsiasi trattamento. Anche i tumori residui di oltre 1 cm e l’impossibilità di un intervento chirurgico completo dopo tre cicli su quattro di chemioterapia neoadiuvante erano motivo di esclusione dallo studio.

Il cut-off dei dati è stato fissato il 31 gennaio 2023. Sono state arruolate in totale 450 pazienti, di cui 379 sono state randomizzate e sono stati osservati 314 eventi. Da notare che dall’analisi finale mancavano 22 eventi.

L’endpoint primario era la PFS. Per centrare questo endpoint era richiesta una potenza dell’80% a un lato alfa = 5% per rilevare un HR di 0,76 con la linfoadenectomia retroperitoneale rispetto all’omissione di tale linfoadenectomia. Gli endpoint secondari includevano, invece, OS, sicurezza, esito chirurgico e qualità della vita.

Le caratteristiche del campione
Al basale, l’età mediana delle pazienti era rispettivamente di 65 anni e 64 anni, l’86% e l’87,6% aveva un carcinoma grave o endometrioide, e l’85,6% e 88,3% aveva eseguito un intervento chirurgico che non aveva lasciato un residuo di malattia. La durata mediana dell’intervento chirurgico è stata di 240 minuti contro 300 minuti, e rispettivamente il 26% e il 21% delle pazienti sono state sottoposte a una chirurgia primaria e il 74% e il 79% a una chirurgia di intervallo, dopo la chemioterapia neoadiuvante.

Tra le pazienti sottoposte alla linfoadenectomia retroperitoneale, il numero mediano di linfonodi resecati è risultato pari a 28 (IQR 19-36). Inoltre, il 43% delle pazienti aveva uno o più linfonodi coinvolti.

Aumento delle complicanze chirurgiche
Entro 30 giorni dall’intervento, il 29,7% delle donne non sottoposte alla linfoadenectomia retroperitoneale ha avuto una perdita di sangue o necessità di una trasfusione, rispetto al 39,3% di quelle sottoposte alla procedura (P = 0,049).

Rispettivamente il 3,1% contro 8,3% delle pazienti (P = 0,031) ha dovuto effettuare un nuovo intervento e il 3,8% di quelle sottoposte alla linfoadenectomia ha subito un danno urinario (P = 0,006), Inoltre, rispettivamente nell’1,1% contro 2,2% delle pazienti si è osservata la formazione di una fistola digestiva, nel 3,7% contro 1,6% un’embolia polmonare e lo 0,5% contro 1,1% delle pazienti è deceduto.

«Lo studio CARACO è il primo studio randomizzato a dimostrare che la linfoadenectomia sistematica dovrebbe essere omessa nel carcinoma ovarico epiteliale avanzato con linfonodi clinicamente negativi, anche in pazienti sottoposte alla chemioterapia neoadiuvante e poi alla chirurgia di intervallo. Questa de-escalation chirurgica permette di ridurre significativamente la morbilità post-operatoria grave», concludono gli autori dello studio.

Bibliografia:
JM Classe, et al. Omission of lymphadenectomy in patients with advanced epithelial ovarian cancer treated with primary or interval cytoreductive surgery after neoadjuvant chemotherapy: The CARACO phase III randomized trial. J Clin Oncol 42, 2024 (suppl 17; abstract LBA5505; 10.1200/JCO.2024.42.17_suppl.LBA5505 leggi

Exit mobile version