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Finerenone rimborsato per malattia renale cronica associata a diabete di tipo 2

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L’Agenzia Italiana del Farmaco ha ammesso alla rimborsabilità finerenone, un nuovo farmaco per il trattamento della malattia renale cronica associata a diabete di tipo 2

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha ammesso alla rimborsabilità finerenone, un nuovo farmaco per il trattamento della malattia renale cronica, stadi 3 e 4, associata a diabete di tipo 2 in pazienti adulti con presenza di albuminuria, in aggiunta allo standard di cura.

Finerenone ha ricevuto l’approvazione da parte dell’Autorità regolatoria statunitense (FDA) nel luglio 2021, ed europea (EMA) nel febbraio 2022.

Come agisce il farmaco
Il farmaco è il primo antagonista selettivo non steroideo dei recettori dei mineralcorticoidi (MR), in grado di inibire la trascrizione dei geni pro-infiammatori e profibrotici.

L’iperattivazione cronica dei mineralcorticoidi in corso di malattia renale diabetica, infatti, contribuisce al peggioramento della disfunzione d’organo nella malattia renale cronica, ipertensione, insufficienza cardiaca ed infarto del miocardio. Attraverso il blocco selettivo di questi recettori, finerenone esercita il proprio effetto antinfiammatorio e antifibrotico nel rene, nel cuore, nei vasi, dove contrasta anche la ritenzione di sodio ed i processi ipertrofici.

Malattia renale cronica 
La malattia renale cronica (CKD – Chronic Kidney Disease) è una grave condizione clinica, che consiste nel declino graduale della funzionalità renale. Colpisce circa il 10% della popolazione mondiale, con maggiore prevalenza nell’età avanzata. In Italia la prevalenza nella popolazione adulta è intorno al 7%9. Rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità a livello mondiale, con il diabete di tipo 2 (T2D) come sua prima causa. Si caratterizza per la sua irreversibilità e per la lenta, nonché progressiva evoluzione.

In Italia il 40% dei pazienti diabetici presenta CKD, che porta ad un danno renale graduale, ipertensione, problemi cardiovascolari, per arrivare allo stadio terminale della malattia, ossia alla dialisi o al trapianto.

Si stima che nel nostro Paese ci siano circa 50mila pazienti dializzati. Questo, oltre ad avere un forte impatto negativo su sopravvivenza e qualità di vita dei pazienti, comporta anche un onere significativo per la sostenibilità del SSN. Basti pensare che un paziente in emodialisi ha un costo di circa 40-50.000 euro all’anno.

Nelle fasi iniziali la malattia renale cronica è in genere asintomatica. Quando compaiono, i sintomi possono includere nausea, vomito, perdita dell’appetito, debolezza, disturbi del sonno, diminuzione della lucidità mentale, gonfiore a piedi e caviglie, ecc.
La CKD è una patologia complessa, ma le alterazioni patologiche di base, cioè la presenza di proteinuria e la riduzione della funzione di filtrazione renale, sono facilmente individuabili attraverso semplici analisi del sangue (creatininemia) e delle urine (albuminuria, ematuria).
La diagnosi precoce è fondamentale, per prevenire le complicanze, ritardare la progressione e trattare adeguatamente le alterazioni.

La malattia renale cronica si divide in 5 stadi clinici, di gravità crescente, in base alla presenza di alterazioni urinarie e al grado della funzione di filtrazione renale. Lo stadio 3 di malattia renale cronica corrisponde ad una riduzione della VFG (Velocità di Filtrazione Glomerulare) <60 ml/min/1.73m2 e alla presenza di albuminuria di grado variabile.

In questa fase compaiono diverse alterazioni del metabolismo, evidenziabili solo con esami di laboratorio. Negli stadi avanzati (4 e 5), la malattia renale cronica è di grado severo (VFG <30 ml/min/1.73m2) e le complicanze cliniche diventano evidenti e gravi.

Oltre alla gestione rigorosa dei fattori di rischio (iperglicemia, ipertensione e dislipidemia), diverse strategie farmacologiche mirano a ridurre la progressione della CKD, tra cui l’utilizzo di ACE inibitori o bloccanti del recettore dell’angiotensina (ARB) e, più recentemente, l’utilizzo degli SGLT2 inibitori (SGLT2i).

Come si può rallentare la malattia renale cronica
Per rallentare la progressione della patologia verso la fase dialitica, negli ultimi anni la ricerca si è focalizzata sulla comprensione dei tre processi fisiopatologici della CKD associata a T2D: metabolico, emodinamico e infiammatorio/fibrotico, mettendo in luce la centralità di quest’ultimo. Ma se lo standard di cura (ACEi, ARB e SGLT2i) interviene principalmente sui meccanismi metabolici ed emodinamici, l’assenza di strategie terapeutiche per il meccanismo infiammatorio/fibrotico, ha fatto nascere l’esigenza di individuare una soluzione in questo senso. Da qui il razionale dello sviluppo di finerenone.

“Gli strumenti che, fino ad ora, abbiamo a disposizione non soddisfano pienamente le esigenze dei pazienti con malattia renale cronica associata a diabete di tipo 2 e dei clinici – afferma il Professor Luca De Nicola, Ordinario di Nefrologia dell’Università della Campania L.Vanvitelli di Napoli – Nonostante la recente introduzione delle gliflozine (SGLT2i), il rischio di progressione della patologia verso la fase dialitica resta ancora alto. Certamente le gliflozine hanno fatto compiere un enorme passo avanti. Hanno, infatti, ridotto il rischio residuo dei farmaci tradizionali, come ACE inibitori e ARB dal 42% al 38%. Ma non è ancora abbastanza. Il quadro delineato – conclude il Professor De Nicola – mette in evidenza quanto fosse urgente individuare ulteriori terapie nefroprotettive, per dare una risposta a questo importante unmet need”.

“L’azione mirata di finerenone su infiammazione e fibrosi, quale antagonista non steroideo del recettore mineralcorticoide, risulta essere complementare rispetto alle terapie attualmente disponibili – afferma la Professoressa Paola Fioretto, Ordinario di Medicina Interna presso l’Università di Padova – Le attuali terapie, che rappresentano lo standard di cura, agiscono principalmente sui meccanismi metabolici ed emodinamici, mentre i processi infiammatori e fibrotici, che giocano un ruolo cruciale nella progressione della malattia renale cronica, prima dell’arrivo di finerenone non venivano influenzati da alcuna strategia terapeutica. L’aggiunta di questo farmaco nell’armamentario terapeutico garantisce, quindi, una più completa nefroprotezione”.

Lo studio che ha portato all’approvazione di finerenone
Lo Studio registrativo FIDELIO – DKD (pubblicato sul New England Journal of Medicine nell’ottobre 2020) ha valutato l’efficacia e la sicurezza di finerenone verso placebo nel rallentare la progressione della malattia renale cronica e nella protezione CV in pazienti con CKD e T2D. FIDELIO – DKD è un trial multicentico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, che ha arruolato 5.674 pazienti pre-trattati con la dose massima tollerata di ACE- inibitori o ARB per 4 settimane.15 I pazienti erano eleggibili in base alla presenza di albuminuria persistente (da ≥30mg/g a ≤5000 mg/g), eGFR – estimated Glomerular Filtration Rate tra 25 e 75 mL/min/1,73m2 e potassemia ≤4,8 mmol/L, e sono stati randomizzati a finerenone (tra10mg e 20 mg/die, in funzione della potassemia e dei valori di eGFR) o placebo, con un follow-up mediano di 2,6 anni.

L’endpoint primario era il tempo al primo evento composito di insufficienza renale, riduzione dell’eGFR >40% rispetto al basale per più di 4 settimane, o morte renale. L’endpoint secondario era un composito di morte cardiovascolare, infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca.

Un aspetto particolarmente importante, che rafforza i risultati dello Studio, è il livello di compromissione della popolazione arruolata: l’83% dei pazienti era a rischio molto elevato e il 15% a rischio elevato.

L’endpoint primario dello Studio FIDELIO – DKD è stato pienamente raggiunto, dimostrando un significativo effetto di finerenone sul rallentamento della malattia renale, così come quello secondario, indicatore di una protezione cardiovascolare.

“Il recente trial registrativo FIDELIO-DKD, che ha arruolato un campione maggiormente rappresentativo di pazienti con CKD negli stadi 3-4, associata a T2D ed albuminuria nonostante la terapia ottimale con ACE inibitori o sartani, ha soddisfatto pienamente le aspettative della comunità nefrologica – ha dichiarato il Professor Loreto Gesualdo, Ordinario di Nefrologia presso l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari –  Lo Studio, ha dimostrato una diminuzione significativa del 18% dell’endpoint composito primario (ESRD – End Stage Renal Disease, riduzione persistente ≥40% del GFR, morte da causa renale), associata ad un marcato e persistente effetto antialbuminurico. Quale ulteriore conferma dell’effetto nefroprotettivo di finerenone, la riduzione relativa, corretta per il placebo, del rapporto urinario albumina/creatinina (UACR) nei pazienti randomizzati a finerenone, è stata del 31% al mese 4. Anche l’endpoint composito secondario (morte CV, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca) è stato pienamente raggiunto dimostrando un significativo effetto di finerenone nella protezione CV. Inoltre, lo studio ha dimostrato un ottimo profilo di sicurezza del farmaco”.

Il posto in terapia di finerenone
Finerenone ha dimostrato, dunque, un’importante capacità protettiva sia renale che cardiovascolare in pazienti con CKD associata a diabete di tipo 2, in presenza di una buona safety
Questo interesse è stato ampiamente riconosciuto dalla recente introduzione di finerenone all’interno delle ultime Linee Guida delle società ADA14 – American Diabetes Association e KDIGO10,15 – Kidney Disease Improving Global Outcomes, e del documento di consensus tra queste società.

Un tema cruciale, discusso ed esplicitato attraverso la costruzione di nuovi algoritmi terapeutici dalle società scientifiche citate, è stato quello di posizionare finerenone quale terzo “pillar” per la gestione della CKD, con persistente albuminuria, associata a T2D, sulla base delle importanti e promettenti evidenze di preclinica.

“L’evoluzione della strategia multifattoriale prevede, quindi, l’impiego dei RASi (inibitori del sistema renina – angiotensina) e di un SGLT2i, attualmente riconosciuti come standard di cura in questo setting di pazienti, con l’aggiunta di un MRA non-steroideo, finerenone, per ridurre ulteriormente l’elevato rischio residuo – continua il Professor Gesualdo – Nel documento di consensus ADA-KDIGO finerenone entra, dunque, nell’algoritmo di terapia come ‘Additional risk-based therapy’, on top alla prima linea di trattamento. Il fatto estremamente rilevante è che stiamo parlando di una popolazione di pazienti ad elevato rischio, caratterizzati da uno stadio avanzato della patologia (stadi 3 e 4) e da albuminuria persistente (≥30 mg/g)”.

Infine, oltre a quello nefrologico e diabetologico, anche nell’ambito della prevenzione cardiovascolare, le Linee Guida dell’ESC – European Society of Cardiology raccomandano, per la prima volta, l’impiego di finerenone con il massimo livello di raccomandazione ed evidenza, sia nei pazienti con CKD associata a T2D per la prevenzione di eventi CV e di danno renale, che in quelli con insufficienza cardiaca cronica.

Ruolo di Bayer
“Con l’introduzione di finerenone nel nostro Paese, siamo lieti di rendere disponibile per clinici e pazienti una nuova soluzione terapeutica in grado di portare un importante cambiamento nella gestione di una patologia così insidiosa come la malattia renale cronica associata a diabete di tipo 2 – dichiara Arianna Gregis, Country Division Head Pharmaceuticals di Bayer Italia – Questo traguardo ci rende particolarmente orgogliosi, perché entriamo per la prima volta nell’area nefrologica con un trattamento terapeutico unico nel suo genere, dimostrando, ancora una volta, come l’impegno continuo di Bayer nella ricerca di soluzioni innovative, sia in grado di affrontare le esigenze insoddisfatte di alcune patologie, fornire un aiuto concreto ai pazienti e contribuire alla sostenibilità del sistema sanitario”.

“Per questo, siamo convinti – conclude Arianna Gregis – che sia necessario proseguire in questo percorso di innovazione su diversi fronti: scientifico, organizzativo, terapeutico e tecnologico. Per Bayer, innovare significa creare un costante scambio tra industria, realtà innovative di ricerca, clinici e pazienti. È cruciale condividere esperienze e competenze per sviluppare soluzioni che rispondano al meglio alle esigenze dei pazienti”.

Abbiamo visto quanto il ruolo dell’infiammazione sia cruciale nella progressione della malattia renale cronica associata a diabete di tipo 2. E quando parliamo di infiammazione è sempre più diffuso il riferimento a qualcosa che riguarda l’intero organismo, non a un evento locale. Oggi ci confrontiamo con fenomeni di infiammazione cosiddetti ‘a bassa intensità’, che spesso durano a lungo nel tempo. L’infiammazione da cibo, ad esempio, è una realtà ormai appurata. Oltre a fornire i nutrienti necessari per il funzionamento del nostro corpo, ciò che mangiamo può influire anche sulla presenza di uno stato infiammatorio nel nostro organismo.

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