Le persone esposte alla luce tra le 00:30 e le 6:00 sono risultate avere una probabilità 1,5 volte superiore di sviluppare il diabete di tipo 2 rispetto a quanti rimanevano al buio
Le persone esposte alla luce tra le 00:30 e le 6:00 sono risultate avere una probabilità 1,5 volte superiore di sviluppare il diabete di tipo 2 rispetto a quanti rimanevano al buio nello stesso intervallo di tempo, come rilevato da uno pubblicato sulla rivista The Lancet Regional Health – Europe.
L’interruzione del ritmo circadiano è stata fortemente implicata nello sviluppo del diabete di tipo 2, dato che l’esposizione alla luce notturna sposta i tempi e indebolisce il segnale del pacemaker circadiano centrale nell’ipotalamo. Questo pacemaker centrale orchestra i tempi dei processi metabolici necessari per l’omeostasi del glucosio, compresi i ritmi circadiani nella capacità di secrezione dell’insulina che raggiungono il picco durante il giorno e i ritmi circadiani nella secrezione di glucosio che raggiungono il picco durante la notte.
La mancata corrispondenza dei ritmi circadiani interni con i ritmi ambientali e comportamentali esterni può causare uno stato prediabetico negli esseri umani sani. L’esposizione prolungata alla mancata corrispondenza interno-esterno è associata a un rischio più elevato di diabete di tipo 2 in chi lavora a turni e nelle persone sottoposte a jet lag sociale (dormire poco durante la settimana e tentare di recuperare il sonno perduto nel weekend). Dal momento che i modelli di esposizione alla luce sono un fattore esterno modificabile che influenza la fisiologia circadiana interna, possono anche essere un fattore di rischio modificabile per lo sviluppo del diabete di tipo 2.
La luce nelle ore notturne può aumentare il rischio di diabete
Il presente studio si basa su un numero crescente di evidenze che collegano l’esposizione notturna alla luce al rischio di diabete di tipo 2, tuttavia a differenza dei precedenti studi di grandi dimensioni che si basavano su dati satellitari dei livelli di luce esterna, questo nuova ricerca ha valutato l’esposizione personale alla luce, ossia la luce misurata direttamente sugli individui e registrata grazie a un sensore indossato al polso.
«Gli studi precedenti probabilmente sottostimavano l’effetto perché non catturavano la luce degli ambienti interni» ha affermato l’autore senior Andrew Phillips, professore di salute del sonno alla Flinders University di Adelaide, in Australia.
I ricercatori hanno utilizzando i dati di 85mila partecipanti al database U.K. Biobank, realizzando così lo studio più ampio condotto fino a oggi che collega il rischio di diabete all’esposizione personale alla luce notturna. I partecipanti (età media 62,3 anni, 58% femmine) hanno indossato i sensori di luce per una settimana, registrando la luce diurna e notturna da tutte le fonti, ovvero luce solare, lampade, lampioni o schermi digitali. Sono poi stati monitorati per 8 anni.
«Circa la metà delle persone che abbiamo valutato erano sottoposti a livelli di luce molto fiochi durante la notte, meno di un lux, che equivale a meno della luce di una candela, ed erano i soggetti protetti contro il diabete di tipo 2» ha detto Phillips.
Invece i partecipanti esposti a una maggiore luce notturna, nelle ore comprese dalle 00:30 alle 6:00, avevano un rischio più elevato di sviluppare il diabete di tipo 2 che aumentava con una relazione dose-risposta, quindi quanto era maggiore l’esposizione alla luce tanto il rischio di diabete era più elevato.
Il 10% dei soggetti con la più alta esposizione alla luce, equivalente a circa 48 lux o a un’illuminazione ambientale relativamente scarsa, aveva una probabilità 1,5 volte maggiore di sviluppare il diabete rispetto a quelli che trascorrevano le stesse ore al buio, un aumento del rischio pari a quello derivante da una storia familiare di diabete di tipo 2, hanno fatto presente i ricercatori.
L’alterazione dei ritmi circadiani influenza il controllo glicemico
L’endocrinologa Susanne Miedlich, professoressa presso il Medical Center dell’Università di Rochester, New York, non coinvolta nello studio, non è stata molto sorpresa dai risultati. La luce notturna può infatti interrompere il ritmo circadiano o il ciclo interno di 24 ore dell’organismo, ed è noto da tempo che tale ritmo è importante per tutti i processi biologici, compreso il modo in cui vengono gestiti i livelli di zucchero nel sangue.
L’orologio interno regola l’assunzione di cibo, l’assorbimento dello zucchero e il rilascio di insulina. La disregolazione del ritmo circadiano è associata alla resistenza all’insulina, un precursore del diabete di tipo 2.
Phillips ha ipotizzato un ruolo anche per la melatonina, l’ormone del sonno. «Tra le altre azioni, la melatonina gestisce la glicemia e le nostre risposte all’insulina. Quindi l’esposizione cronica alla luce durante la notte riduce il livello di melatonina che, a lungo termine, potrebbe portare a scarsi risultati metabolici. In passato è stata valutata l’integrazione di melatonina per aiutare a gestire il diabete, ma senza successo».
Sono necessari studi interventistici per confermare se strategie come spegnere gli schermi, le luci o utilizzare tende oscuranti possano servire a ridurre il rischio di diabete. «Detto questo, non c’è motivo di non dire alle persone di adottare schemi salutari di esposizione alla luce e di sonno, soprattutto nel contesto del diabete» ha aggiunto.
Da notare che uno studio pubblicato il mese scorso sulla rivista Diabetologia e che ha coinvolto una popolazione statunitense diversificata dal punto di vista razziale ed economico, ha rilevato che gli adulti con durate del sonno subottimali persistenti (< 7 o > 9 ore notturne per una media di 5 anni) avevano maggiori probabilità di sviluppare il diabete. L’associazione più forte è stata trovata tra i partecipanti che riferivano cambiamenti estremi e una maggiore variabilità nella durata del sonno.
Referenze
Windred DP et al. Personal light exposure patterns and incidence of type 2 diabetes: analysis of 13 million hours of light sensor data and 670,000 person-years of prospective observation. The Lancet Regional Health – Europe 2024;42:100943 Published Online 5 June 2024.