Stanislao Sadlovesky: online il videoclip di “Latte”


Disponibile il videoclip di “LATTE” (Overdub Recordings) degli STANISLAO SADLOVESKY, brano estratto dal disco d’esordio “Il declamatore”

Stanislao Sadlovesky

“Latte” è un brano che, nell’arco di pochi minuti, spazia da un’elettronica ambient introduttiva ad un synth pop più suonato e sghembo. Passa da un rim shot danzereccio ad un finale dub che funge da buonuscita. Il tutto accompagna una filastrocca inversamente infantile, parzialmente scremata da sussurri maturi che ne contrastano lo stile.

Commenta la band a proposito del brano: “Latte è synth pop da imbranati suonato con mano a 4 dita mozzate. È vaneggiamento. È sballo senza farsi. È un’infanzia anziana, sottosopra, capovolta. Latte è profondo bianco. In esso si tuffano giochi di parole e ne escono, mondate, parole giocattolo”.

Il videoclip di “Latte”, ideato dai Stanislao Sadlovesky (Massimo Cavasin ed Alessandro Lazzarin) per la regia di Elena Supertramp, rispecchia visivamente il brano. Nel video, due enigmatici personaggi mascherati proclamano il loro credo, navigando inesorabilmente attraverso terre emerse, indifferenti al fumo che tenta invano di ostacolarne il cammino. Intanto, migliaia di persone, assetate di Latte, invocano sazietà, soddisfazione e appagamento con la costanza delle rondini e la pazienza dei forti.

Guarda il videoclip su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=i3vPwluIpM8

Biografia

Stanislao Sadlovesky. Un’entità ontologica emerge intermittente dall’oscurità, come lampi di magnesio portatori di codici semantici e lessicali altri. Non ha volto, non ha collocazione geografica o anagrafica. È la voce interiore che si colloca tra il metapensiero e il reale, un’allucinazione acustica ipnagogica. Viene da un mondo con cicli solari velocissimi e stagioni dispari, modulate su interferenti flussi di coscienza a più livelli. Domina un senso di sovvertimento di tutte le leggi semantiche e di natura. L’impressione è di conversare con il je est un autre di Rimbaud, osservando le albe di una città a due soli mentre l’asfalto suppura delle rivolte dei vivi, o dei morti che si credono vivi, in una danza macabra ematica. Il cranio viene infilato tra due elettrodi che funzionano come casse sintonizzate su due canali audio divergenti, declinando i pensieri in modi e tempi differenti. Ed ecco che poi il lessico familiare si fa sottolinguale, una sorta di filastrocca autistica, dipanata tra i denti all’inizio di un giorno già finito. Stanislao è un viaggio sonoro, visivo e sinestetico che ci lascia attoniti, stralunati, altrove, con la corteccia cerebrale avvolta nel nastro isolante. Echi sonori sembrano provenire da galassie sconosciute, forse già collassate.  Arrivano come un’onda gravitazionale in differita. È una nuova declinazione (o deviazione) di teatro distopico che spiega se stesso, ogni volta diversamente, senza necessità di esegesi, semplicemente esistendo.