Secondo un nuovo studio le persone perdono generalmente la concentrazione dopo otto secondi, evidenziando gli effetti sul cervello di uno stile di vita sempre più digitalizzato
La durata media dell’attenzione del pesce rosso, notoriamente poco concentrato, è di nove secondi, ma secondo un nuovo studio di Microsoft Corp. le persone perdono generalmente la concentrazione dopo otto secondi, evidenziando gli effetti sul cervello di uno stile di vita sempre più digitalizzato. I ricercatori canadesi hanno intervistato 2.000 partecipanti e hanno studiato l’attività cerebrale di altri 112 utilizzando l’elettroencefalogramma (EEG). Microsoft ha scoperto che dal 2000 (ovvero da quando è iniziata la rivoluzione dei cellulari) la durata media dell’attenzione è scesa da 12 a 8 secondi.“
Così riportava il Time il 14 maggio 2015, in un articolo dal titolo „Ora hai una capacità di attenzione inferiore a quella di un pesce rosso“, corredato peraltro dall’indicazione che il tempo di lettura dell’articolo stesso era di due minuti, un‘impresa erculea a questo punto per il lettore/pesce rosso. Su questi e molti altri analoghi risultati, quali, per fare solo qualche esempio, la riduzione del sorriso spontaneo tra sconosciuti con smartphone in tasca (dimostrato da uno studio sperimentale della Georgetown University), la scomparsa delle introduzioni musicali e la celerità di comparsa del ritornello nei brani musicali (dimostrata dal laureando in Storia della musica dell’Università dell’Ohio, Léveillé Gauvin), la tendenza ad usare lo smartphone come ciuccio (Maryanne Wolf) o come pupazzo della nanna (Laurent Karila), etc etc, Lisa Iotti ha scritto nel 2020 l’interessante libro „8 secondi. Viaggio nell‘era della distrazione“ (Il Saggiatore). Il filo conduttore è, se ci fosse bisogno di esplicitarlo, il fatto che la digitalizzazione abbia comportato non solo un’accelerazione dei tempi, cosa di cui tutti/e siamo consapevoli, ma un peggioramento delle nostre capacità cognitive, come alcuni dati più recenti studi relativi ai risultati scolastici sembrano confermare: „l ’uso intensivo e precoce degli smartphone nei ragazzini non favorisce l’apprendimento, anzi, riduce le performance scolastiche di una parte consistente della popolazione studentesca“.
Siamo dunque digitalmente condannati a regredire a pesci rossi (con smartphone) nelle acque da cui ci siamo sviluppati? Lo smartphone è la quanto mai azzeccata pena del contrappasso per la nostra übris ύβρις destinata a farci ritornare stupidi vantando al contempo la sua intelligenza? L’accelerazione fa inevitabilmente rima con frettolosità e quest’ultima con una superficialità ben lontana da quella hegeliana („Non c’è niente di più profondo di ciò che appare in superficie“ Georg Wilhelm Hegel)?
Il vantaggio dei deterministi tecnologici, utopici o distopici che siano, è che hanno generalmente molti dati al loro arco, che vengono da loro interpretati univocamente come conferma dell’effetto, in questo caso deleterio, della tecnologia sulla società umana.
A questo punto però, nella mia memoria, martoriata temo più dall’età del mio cervello che dal mio smartphone, si è fatto strada un ricordo, un altro dato di accelerazione contenuto in uno splendido libro, La scomparsa del prossimo dello psicoanalista junghiano Luigi Zoja (Einaudi, 2009). Zoja cita infatti il risultato di una ricerca del 2006 di Richard Wisemann, dell’Università dello Hertfordshire, secondo la quale la velocità media dei pedoni sarebbe aumentata nell’arco di soli 12 anni, (rispetto ad una analoga misurazione effettuata nel 1994 da Robert Levine, della California State University) del 10% e nei luoghi di piú forte sviluppo economico, come la Cina e Singapore, tra il 20 e il 30 per cento. Un’accelerazione correlata dunque non solo agli smartphone, ai social, all’AI ma al complessivo sviluppo economico, sociale e culturale. Zoja, che non vede andare le frecce in una sola direzione, intravede in questa accelerazione e in tanti altri esempi, uno dei tanti segni della scomparsa della prossimità nello spazio e nel tempo.
Lo psicoanalista sostiene infatti, esempi alla mano, che, a partire soprattutto dal ventesimo secolo ci siamo progressivamente allontanati l’uno dall’altro, siamo diventati cioè sempre meno vicini e fratelli solidali e sempre più rivali, conseguentemente sempre meno interessati al nostro prossimo ed alla solidarietà con l’altro/a. Di pari passo la presenza fisica del prossimo è andata sempre più scomparendo dalla casa, dal posto di lavoro, dalle chiese, dalle associazioni, dalla politica etc., salvo poi ripresentarsi in forma di comunità virtuale (amici/amiche di Facebook, giocatori/giocatrici di giochi virtuali) o astratta. Mentre i migranti sono divenuti il capro espiatorio dell’esclusione sociale, le distanze tra CEO e lavoratori si sono straordinariamente accentuate, le disuguaglianze cresciute, lo sviluppo economico, sociale e culturale si è organizzato intorno all’ inarrestabile crescita del desiderio individuale. Ciò che qui interessa non è tanto la tesi di Zoja, secondo la quale con gli sviluppi della rivoluzione francese, siamo sì passati da una società teo- e patro-centrica ad una fraterno-centrica ma abbiamo anche assistito ad un progressivo scivolamento degli ideali di uguaglianza, fraternità, a favore di quelli di libertà, sempre più intesa come desiderio individuale. Decisivo è piuttosto il fatto che la trasformazione digitale, con i suoi effetti positivi e negativi, venga inserita all’interno dello sviluppo economico, sociale e culturale, di cui è prodotto e al tempo stesso forza stimolante e disruptive, il ché porta a sua volta al concetto di trasformazione digitale come cambiamento di senso (Epifani).
Gli otto secondi di durata media di attenzione devono certo essere preoccupantemente visti come possibile effetto della digitalizzazione ma al tempo stesso come espressione di un mondo in cui l’equilibrio tra solidarietà e libertà si è radicalmente trasformato, mettendo il desiderio piuttosto che la fraternità al centro delle nostre preoccupazioni. Nel momento in cui siamo capaci di ritrovare, tramite la sostenibilità, il legame di solidarietà con le generazioni successive, possiamo forse ritrovare anche la vicinanza. Concludo con le parole di Zoja:” la tecnologia… può riavvicinare un prossimo lontano?”