Tumore al polmone: la Commissione europea ha approvato l’anti PD-L1 sugemalimab in combinazione con la chemioterapia a base di platino per il trattamento di prima linea
La Commissione europea ha approvato l’anti PD-L1 sugemalimab in combinazione con la chemioterapia a base di platino per il trattamento di prima linea di pazienti adulti con carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico che non presentano mutazioni sensibilizzanti del gene EGFR o alterazioni genomiche dei geni ALK, ROS1 o RET.
La decisione è stata supportata dai dati dello studio di fase 3 GEMSTONE-302 (NCT03789604), nel quale il trattamento con sugemalimab più la chemioterapia ha dimostrato di migliorare in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola chemioterapia.
Infatti, i dati dell’analisi finale hanno mostrato che, con un follow-up mediano di 17,8 mesi (intervallo inter quartile: 15,1-20,9), la PFS mediana è risultata di 9 mesi (IC al 95% 7,4-10,8) nei 320 pazienti trattati con sugemalimab più la chemioterapia contro 4,9 mesi (IC al 95% 4,8-5,1) nei 159 trattati con un placebo più la chemioterapia, con una riduzione del 52% del rischio di progressione della malattia o di morte nel braccio sperimentale (HR stratificato 0,48; IC al 95% 0,39-0,60; P < 0,0001).
«Siamo estremamente entusiasti dell’annuncio di oggi, che rappresenta una pietra miliare importante nel percorso di CStone per diventare un’azienda leader a livello mondiale dedicata all’eradicazione del cancro», ha affermato in un comunicato stampa Jason Yang, amministratore delegato, presidente della R&S e direttore esecutivo del consiglio di amministrazione di CStone Pharmaceuticals. «Sugemalimab non è solo diventato il primo prodotto sviluppato in modo indipendente da CStone a ricevere l’autorizzazione all’immissione in commercio all’estero, ma è anche il primo anticorpo monoclonale anti-PD-L1 al mondo a ricevere l’approvazione regolatoria in Europa in combinazione con la chemioterapia come trattamento di prima linea per il carcinoma polmonare non a piccole cellule sia squamoso sia non squamoso».
«Questo risultato riflette il riconoscimento da parte delle autorità regolatorie internazionali dei nostri standard di R&S e produzione di alta qualità e infonde nuovo slancio alla nostra strategia di globalizzazione», ha aggiunto Yang. «Siamo onorati dal livello di interesse in una partnership per commercializzare sugemalimab da parte di aziende di tutto il mondo, che testimonia il grande bisogno non soddisfatto di farmaci più nuovi e migliori in questa classe. Stiamo collaborando attivamente con potenziali partner in Europa occidentale, America Latina, Medio Oriente e Africa, Asia sud-orientale e Canada e prevediamo di annunciare presto il completamento di questi accordi».
Lo studio GEMSTONE-302
GEMSTONE-302 è un trial multicentrico cinese, randomizzato, in doppio cieco, condotto in 35 ospedali e centri di ricerca, che ha arruolato pazienti di età compresa tra 18 e 75 anni con carcinoma polmonare non a piccole cellule squamoso o non squamoso confermato istologicamente o citologicamente in stadio IV, non portatori di mutazioni sensibilizzanti dell’EGFR o di fusioni di ALK, ROS1 o RET e non sottoposti in precedenza ad alcun trattamento sistemico per la malattia metastatica. Per potere essere inseriti nello studio, inoltre, i pazienti dovevano avere un performance status ECOG pari a 0 o 1.
I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale, secondo un rapporto 2:1, al trattamento con sugemalimab 1200 mg per via endovenosa una volta ogni 3 settimane più la chemioterapia oppure un placebo più la chemioterapia.
Come chemioterapia, i pazienti con istologia squamosa sono stati trattati con carboplatino con un’area sotto la curva (AUC) di 5 mg/ml e paclitaxel 175 mg/m2, mentre i pazienti con istologia non squamosa sono stati trattati con carboplatino con AUC 5 mg/ml più pemetrexed 500 mg/m2 per un massimo di quattro cicli.
Dopo il completamento della chemioterapia, i pazienti con istologia squamosa sono stati trattati con sugemalimab o un placebo corrispondente come mantenimento, mentre quelli con istologia non squamosa hanno ricevuto come mantenimento sugemalimab più pemetrexed o un placebo più pemetrexed. Sugemalimab o il placebo sono stati somministrati per un massimo di 35 cicli o fino alla progressione della malattia o alla comparsa di una tossicità inaccettabile.
L’endpoint primario dello studio era la PFS valutata dallo sperimentatore nella popolazione Intention-To-Treat.
Dati di OS ancora immaturi
Al momento dell’ultima valutazione, i dati erano ancora immaturi per condurre l’analisi finale della sopravvivenza globale (OS), che era l’endpoint secondario chiave dello studio
Un’analisi preliminare dell’OS ha mostrato una mediana di 22,8 mesi (IC al 95% 19,7-non raggiunto) per il braccio trattato con sugemalimab rispetto a 17,7 mesi (IC al 95% 12,8-20,8) per il braccio del placebo (HR stratificato, 0,67; 95% CI, 0,50-0,90; P = 0,0064), con tassi di OS a 12 e 24 mesi rispettivamente del 72,4% (IC al 95% 67,0%-77,0%) e 47,1% (IC al 95% 37,2%-56,4%) per il braccio sperimentale e rispettivamente del 62% (IC al 95% 53,6%-69,3%) e 38,1% (IC al 95% 27,2%-49,0%) per il braccio di controllo.
I dati di safety
Sul fronte della sicurezza, gli effetti avversi correlati al trattamento di grado 3/4 più comuni sono stati diminuzione della conta dei neutrofili (con un’incidenza del 33% in entrambi i bracci), diminuzione della conta dei globuli bianchi (14% con sugemalimab e 17% con il placebo), anemia (13% e 11%), diminuzione della conta piastrinica (10% e 9%) e neutropenia (4%; 4%). Effetti avversi seri correlati al trattamento di qualsiasi grado sono stati segnalati nel 23% dei pazienti trattati con sugemalimab e nel 20% dei controlli.
Nel 3% dei pazienti del braccio sugemalimab si è registrato un decesso correlato al trattamento, causato da polmonite con insufficienza respiratoria (un caso), mielosoppressione con shock settico (un caso), polmonite (due casi), insufficienza respiratoria (un caso), dolore addominale (un caso), insufficienza cardiaca (un caso), polmonite immunomediata (un caso) e causa non specificata (due casi). Eventi avversi correlati al trattamento hanno causato il decesso dell’1% dei pazienti del braccio placebo, dovuto a polmonite e sindrome da disfunzione multiorgano.